Ho avuto modo di dire che la manovra (se effettivamente venisse portata a termine, cosa di cui dubito ogni giorno di più, tanto più se andremo verso elezioni) era recessiva appena è uscita dalle slide di Renzi in conferenza stampa. Recessiva vuol dire: “che genera di per se stessa una diminuzione dell’occupazione rispetto all’anno precedente”. Punto. Ad altri fattori (quali la domanda esterna) di salvarci. Mettiamoci cioè nelle mani del caso, del fato, della Cina e degli Stati Uniti: alla faccia del sogno geopolitico.
E ciò lo affermavo malgrado l’avanzo primario fosse leggermente in calo da 1,7% del PIL del 2014 all’1,6% del 2015. Semplicemente perché basandosi la manovra su tagli di spesa praticamente uguali ai tagli di tasse i primi avrebbero dominato i secondi (i tagli di tasse convertendosi in maggiore PIL solo per quella parte – piccola in presenza di pessimismo prevalente – non risparmiata).
Ora sappiamo con certezza che essa è recessiva, perché lo è anche formalmente. Dopo gli aggiustamenti richiesti dall’Unione europea, l’avanzo primario salirà infatti da 1,7% del PIL a 1,9% nel 2015.
Non ci sarebbe niente altro da dire di fronte ad una manovra gattopardesca, che ripete gli errori italiani ed europei del passato, se non di inserire questo ennesimo “dato in più” della manovra Renzi all’interno della lunga carrellata di “dati” che abbiamo a disposizione, provenienti da altre manovre che hanno tentato di usare la spesa pubblica in diversi momenti del ciclo economico. Esaminando episodi – 50% avvenuti in recessioni e 50% in espansioni nei paesi più ricchi, quelli Ocse – il lavoro già citato http://www.gustavopiga.it/2014/lerrore-di-renzi-seguire-alesina-e-giavazzi-invece-di-krugman-e-stiglitz/ di Daniel Riera-Crichton, Carlos Vagh e Guillermo Vuletin costruisce un’ottima segmentazione ideale per comprendere la disastrosa storia europea di politica economica di questi anni.
In rosso vedete le tante follie che nel passato si sono adottate, come si fa ora in Europa, simil Fiscal Compact, scegliendo di ridurre la spesa pubblica in una recessione. Nel 46% delle recessioni avvenute nei paesi ricchi si è deciso di ridurre la spesa pubblica, affossando l’economia, come stiamo facendo noi oggi.
L’austerità certo che va fatta, ma quando le cose vanno bene, quando l’economia è in espansione. Così è avvenuto tuttavia (in rosa) solo il 59% delle volte: quando l’economia tira e si mettono da parte risorse per i tempi bui. Non rientra in questi casi la folle gestione europea dei primi anni dell’euro dove si spese in abbondanza in alcuni paesi (Italia compresa), viste le buone entrate fiscali che l’espansione generava: questa casistica fa parte del 41% in color ocra. Se oggi abbiamo un problema è per il sommarsi di due errori: quello “ocra” dei primi anni dell’euro e quello “rosso” del post 2008. E non è che commettere un secondo errore dopo il primo porta questo a cancellarsi: si sommano idioticamente, generando il pantano in cui ci siamo ficcati e dal quale non sappiamo più uscire.
E l’unico modo per uscirne, quello cerchiato in verde, è di fare quello che si è fatto nel 54% delle recessioni finora (ma mai nella ottusa Europa del Fiscal Compact): un aumento della spesa pubblica a sostegno del settore privato via appalti per investimenti pubblici produttivi e spesa per stipendi altrettanto produttiva. Esattamente, lo ripetiamo, il contrario di quello che Renzi fa in accordo con l’Unione europea.
10/11/2014 @ 08:59
Fassina twitta a Bagnai:
“mattinata interessante a #goofy3 grazie @AlbertoBagnai. Superamento euro deve diventare opzione politica”
https://twitter.com/StefanoFassina/status/531438228117946368
Il 22 Fassina va a un convegno del “Coordinamento nazionale sinistra contro l’euro”
Ieri il deputato Lauricella, un renziano, a un convegno di signori anti euro dell’associazione “Riscossa italiana” ha dichiarato che è intenzionato a presentare un disegno di modifica costituzionale della legge 81 che istituisce il pareggio di bilancio in costituzione.
Nel frattempo Napolitano si dimette e dalle pagine del Telegraph Ambrose Evans Pritchard scrive che se i tedeschi si ostineranno a opporsi al QE Draghi si dimetterà, l’euro automaticamente crollerà e lo stesso Mario Draghi gestirà la svalutazione competitiva della nuova lira in quel ruolo di presidente della repubblica che Giorgio gli sta tempestivamente liberando.
http://www.telegraph.co.uk/finance/comment/ambroseevans_pritchard/11211973/Mario-Draghis-efforts-to-save-EMU-have-hit-the-Berlin-Wall.html
Direi che se uno si fa un po’ di acquisti a termine di dollari da qui a un anno si fa come minimo il 10% e rischia di fare il 30-40 se le cose vanno per il verso…giusto?…o sbagliato?
Ma non importa se è giusto o sbagliato, quelle sono valutazioni “politiche”…”ideologiche”…roba superata…vecchie carte ingiallite…l’uomo al passo coi tempi fa come il Razzi di Crozza e pensa solo ai casi suoi…
16/11/2014 @ 13:14
Andare lunghi sul dollaro presume che questo si apprezzi rispetto all’euro in caso l’Italia esca. Non vedo perché. Immagino che l’euro senza Italia possa anche apprezzarsi. Andare lungo sul cambio dollaro-liretta non si può, per assenza ad oggi della liretta.
Sul resto, auguri a tutti noi, perderemo altri due anni inutilmente, pensando che il pezzo di carta cambierà le dinamiche politiche che ci vedranno invece ancora più in mano agli altri che decideranno sempre di più per noi.
16/11/2014 @ 20:44
Cito:
“Andare lungo sul cambio dollaro-liretta non si può, per assenza ad oggi della liretta”
Come non si può?
Se mi compro delle obbligazioni o polizze assicurative in dollari quando l’Italia esce e io voglio incassare i soldi me li danno nella valuta locale, cioè le nuove lire. Eventualmente me li potrebbero dare in dollari e poi uno li cambia.
L’acquisto a termine in effetti non so come funzionerebbe nel caso di uscita dell’Italia dalla moneta unica però diciamo che per adesso va benino.
Ne parlavo però per alludere al fatto che oggi ci sono motivi per preferire di investire in speculazioni piuttosto che in attività produttive.
Lei è convinto dell’efficacia delle politiche espansive, io pensando al periodo storico contingente molto meno ma certamente l’esperto è lei.
Solo che anche lei accenna al piccolo conflittuccio “privato vs. pubblico” il che comporta delle implicazioni politiche e sociali con le quali anche lei dovrà confrontarsi in un periodo di tempo non lunghissimo.
E direi che finché non affronta esplicitamente le radici storiche e sociali di questo conflitto lei politicamente non dice nulla di nulla, quindi la gente la legge con interesse ma con perplessità per questa sua reticenza e quindi, finchè si resta in questi termini, si può fare solo i consiglieri di qualche principe (come diceva Bellofiore) sperando umilmente che sia bene intenzionato.
Adesso salta fuori Civati…credo che lo voterò ma se Pippo spera di “aggiustare” le cose convinto che il sistema sia buono e vada solo “riformato” temo rimarrà molto deluso.
Anche questa delusione però è un passo necessario e ineludibile verso la formazione di un fronte politico interclassista.
P.S.: Il conflitto “privato vs. pubblico” lo hanno attivamente sostenuto e coltivato per anni quelli che votavano per la Thatcher, Reagan e partiti similari nel mondo e in Italia. Sì, facevano anche spesa pubblica a modo loro ma la realtà era che si trattava di rappresentanti di élites che hanno condotto una spietata battaglia per l’affermazione del liberismo sfrenato approfittando dell’aiuto dei servi sciocchi di quella middle class che negli anni ’70 vedeva la propria rendita di posizione sociale ed economica minacciata dall’avanzare dei lavoratori e dei sindacati.
Adesso la middle class si rende conto di non essere più funzionale al nuovo capitalismo dei dominanti e con l’eroico opportunismo che la contraddistingue sta tornando a più miti posizioni socialdemocratiche.