La relazione del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Luigi Signorini, alle Commissioni Riunite di Camera e Senato ha il pregio di mostrare a tutti gli italiani quello che questo Governo sta meravigliosamente, con superba capacità comunicativa, nascondendo a tutti: l’ovvio contenuto recessivo della legge di stabilità in discussione al Parlamento.
https://www.bancaditalia.it/interventi/intaltri_mdir/signorini-031114/signorini-03112014.pdf
Lasciate stare le assurde promesse del passato, barrate con una croce rossa, del primo tentativo comunicativo di questo Governo, anche questo intriso di convinto ottimismo, in primavera, con il Documento di Economia e Finanza che prometteva una crescita quest’anno dello 0,8%: peccato che la Commissione europea abbia ieri sentenziato che sarà recessione, del -0,4%. Un minuscolo errore (?) di previsione in 6 mesi di soli 1,2% di PIL: che volete che sia?
Guardate piuttosto la zona destra del riquadro: dove la Banca d’Italia mostra chiaramente come il deficit scenderà dal 3% di PIL di quest’anno al 2,6%, come vuole l’Europa, la stupida Europa, che facciamo finta di criticare con frasi ad effetto ma a cui ci adeguiamo sempre senza cercare di costruirla con cambiamenti veri ed effettivi.
0,2% di PIL di questa diminuzione di deficit sarà dovuta ad una minore spesa per interessi. E gli altri 0,2%? A cosa sono dovuti?
A maggiori tasse ed entrate fiscali? Quasi, ma no: le entrate fiscali in percentuale del PIL restano, come vedete, fisse al 48,3% del PIL, immobili, per aumentare poi al 48,7% del 2016. Già, le tasse non scendono, aumentano.
A minori spese grazie alla fantastica spending review mai avviata sinora? Quasi, ma no: anche le spese correnti rimangono costanti in percentuale del PIL, fisse al 42,9% del PIL. la loro riduzione, come sempre, è rinviata al … 2016.
La riduzione dello 0,2% di PIL è ovviamente dovuta alla riduzione delle spese in conto capitale, solito capro espiatorio di qualsiasi Governo passato negli ultimi 10 anni, anche di quelli più comunicativi: dal 3,7% al 3,5% del PIL. Le spese per investimenti pubblici, le uniche che potrebbero rilanciare, se ben indirizzate, la crescita che non c’è in questo Paese. E ovviamente, continueranno a scendere anche dopo.
Insomma. Queste sono le premesse per ribaltare il Paese?
Benvenuti nel Paese delle Meraviglie dove tutti quelli che parlano credono a quello che dicono, ma nessuno dice quello in cui crede. A cosa crede, Sig. Governo?
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«Allora dovresti dire quello a cui credi», riprese la Lepre Marzolina.
«È quello che faccio», rispose subito Alice; «almeno credo a quello che dico, che poi è la stessa cosa.»
«Non è affatto la stessa cosa!» disse il Cappellaio. «Scusa, è come se tu dicessi che vedo quello che mangio è la stessa cosa di mangio quello che vedo!»
06/11/2014 @ 09:38
Forse ci si aspetta che gli investimenti provengano dai privati?
06/11/2014 @ 13:06
Vorrei aggiungere la seguente notizia che se vera getterebbe una ulteriore luce sinistra su questo governo e sulle sue finalità.
“Il favore di Padoan a banche d’affari Privilegiate in caso di default Italia” ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/05/favore-padoan-banche-daffari-privilegiate-in-caso-default-italia/1194818/ )
Grandi preparativi per il fallimento del nostro paese?
06/11/2014 @ 14:15
Veramente nella nota di aggiornamento al Def, il Governo dice che la legge di stabilità avrà un effetto migliorativo del pil di solo lo 0,1% (al netto dell’incidenza della misura del bonus bebè e della riduzione irap).
Il problema è che nessuno e dico nessuno lo evidenzi.
06/11/2014 @ 16:21
Caro Professor Piga,
lo scrivente è un pubblico dipendente sicché il suo reddito familiare è parte della spesa corrente. La propaganda neoliberista anti-spesa pubblica mi dipinge, in quanto lavoratore pubblico, come con-causa del grande male italiano, l’enorme debito pubblico. Come se invece all’origine di tale male non ci fossero il famoso divorzio tra Tesoro e Bankitalia, del 1981, e poi la rinuncia alla sovranità monetaria nazionale senza contropartita di una sovranità monetaria europeo-confederale, che ci ha messi nella condizione di sudditi dell’Eurogermania neomercantilista e di vittime dei mercati finanziari. Oltretutto appartengo ad una categoria di dipendenti pubblici, quelli provinciali, la cui sorte è appesa ad un filo per via di una propaganda demagogica che, per placare la rabbia popolare (il classico sistema del capro espiatorio), ha indicato nelle Province, la cui incidenza sulla spesa pubblica è del solo 1,7% a fronte di ben più alti livelli comunali, regionali e ministeriali, la cloaca di tutti gli sprechi (attualmente, mentre altrove si continua tranquillamente a sprecare e rubare, grazie ai tagli loro imposti – 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016, 3 miliardi nel 2017 – da questa legge di stabilità targata Renzi/Padoan, le Province non sono più in grado di erogare tutti i servizi – nel 2017 non saranno più in grado di erogare alcun servizio – e rischiano il formarsi di forti contigenti di esuberi tra il proprio personale). Premesso questo, vengo a chiederle cosa si dovrebbe fare a suo giudizio per la spesa corrente. Lo scrivente, pur non essendo uno scienziato dell’economia come Lei, è di “sentimenti” keynesiani. Quindi concordo con Lei quando dice che la spesa in conto capitale, di investimento, è il volano per uscire dalle recessioni ma anche per sostenere l’economia in tempi normali. Vedo che Lei nel novero delle spese in conto capitale mette anche le pubbliche forniture di beni e servizi. Occupandomi anche di pubbliche forniture ed avendo verificato che acquistare sebbene per il funzionamento interno della macchina amministrativa, e non direttamente per i servizi al cittadino, comunque apporta liquidità alle imprese ed al mercato, concordo con Lei per l’estensione del concetto di spesa pubblica di investimento ricomprendendovi dunque, insieme ai lavori pubblici, anche le forniture ed i servizi. Resta però il problema, che è anche umano, della spesa corrente del personale pubblico. A rigor di logica anche detta spesa alla fine finisce in spesa a favore delle imprese e del mercato. Tuttavia derivando essa dalla fiscalità potrebbe pesare sulle imprese, in una sorta di partita di giro tra Pubblica Amministrazioen e mercato. D’altro canto che ne facciamo degli eventuali esuberi, anche considerando che, data la specialità del lavoro pubblico, un pubblico dipendente difficilmente (se anziano poi non ne parliamo nemmeno) può riciclarsi nel privato? Infatti, quale impresa è mai interessata a persone il cui curriculum professionale comprende la sola esperienza nell’istruttoria di determine e delibere, di bandi di gare e concorsi, di contabilità finanziaria, etc.. Tutti atti e procedure pubbliche del tutto ignote ad un’organizzazione aziendale privata (e questo sia detto a confutazione del solito luogo comune per cui lo Stato sarebbe un’azienda: le imprese private non espletano complesse gare d’appalto per raggiungere i loro obiettivi né hanno le procedure stabilite da leggi e regolamenti). Quindi secondo Lei quale potrebbe essere una soluzione? Pensavo, tra me, che tale potrebbe essere un sistema di monetizzazione da parte della Banca Centrale della spesa pubblica di investimento (magari nel concetto allargato di cui sopra) in modo che, poi, la crescita del Pil potrebbe sostenere una equa ed equlibrata fiscalità a copertura della rimanente spesa corrente. O che altro, caro Professore? Sarei curioso di un suo conforto o parere.
Con stima, la ringrazio in anticipo dell’eventuale risposta salutandola cordialmente.
Luigi
08/11/2014 @ 10:48
Forse mi sono perso qualche passaggio ma non mi sembra che il professore abbia mai indicato la spesa pubblica per beni e servizi come componente della spesa in conto capitale. Invece ha giustamente sostenuto che con una adeguata banca dati accessibile ( ed obbligatoria ) per tutti i soggetti pubblici, si potrebbe molto risparmiare sulla spesa corrente della P.A. senza togliere NIENTE ai servizi ( si compera la stessa quantità e qualità di beni spendendo meno ).
19/11/2014 @ 14:02
Forse sbaglio ma mi sembra di ricordare un qualche intervento del professore dove giustamente egli si chiedeva perché mai le forniture pubbliche per beni di uso corrente non debbano anch’esse essere annoverate tra gli investimenti dal momento che dette forniture, anche se hanno per obiettivo beni strumentali all’apparato organizzativo della P.A. e non serivizi offerti al pubblico, comunque apportano liquidità al mercato. Quando il mio Ente acquista arredo da ufficio eroga spesa pubblica a favore della ditta vincitrice dell’appalto sicché non si capisce perché detta spesa, relativa ad beni per uso “interno”, non debba essere considerata un investimento come la realizzazione di un ponte autostradale. Oltretutto mi pare che il professore abbia anche affermato che persino gli stipendi – citava quelli dei ricercatori universitari, se non erro – sono un incentivo per la ripresa economica. Credo però che su tutto questo solo il professore potrebbe meglio darci chiarimenti.
Luigi
23/11/2014 @ 18:04
Luigi, assolutamente. Ancora una volta: comprare una sedia se la sedia c’è già, è una follia, esattamente come per il ponte. Ma le sedie servono eccome per studiare o lavorare e devono essere di una certa qualità se vogliamo che nella P.A. lavorino persone di qualità che altrimenti andrebbero a lavorare nel settore privato.