E’ bello vedere che l’intramontabile duo A&G oggi sul Corriere decide di invertire la semantica “dell’altissimo rapporto debito-PIL”, trasformandola in quella del “bassissimo rapporto PIL-debito” che caratterizza il nostro Paese.
Circa tre anni fa, quando A&G si dilettavano col proporre manovre di austerità che hanno distrutto PIL per vanamente tentare di ridurre il debito pubblico, proponemmo di modificare il Fiscal Compact in un Growth Compact che obbligasse gli stati membri dell’UE a raggiungere nel tempo rapporti PIL-debito via via più alti tramite politiche esclusivamente dedicate alla crescita.
http://www.gustavopiga.it/2013/rispettiamo-il-trattato-europeo-innalziamo-il-rapporto-pil-su-debito/
Che A&G ora chiedano meno parole e più crescita dopo aver chiesto meno debito pubblico per anni, dovrebbe comunque rallegrarci. O no? Beh dipende. Non avendo mostrato in passato grande competenza sul tema, il rischio è che qualcuno li ascolti anche stavolta, facendoci perdere altri 3 o 4 anni di opportunità. E’ già accaduto, perché non dovrebbe ripetersi?
Anche perché i due loquaci A&G a parole vanno forte. Ma a buone idee, meno, molto meno.
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Ad ascoltarli bene, A&G sembrano preoccuparsi della scarsità d’investimenti privati in Italia dal 2008 al 2014. Giusta (seppur tardiva) preoccupazione. E’ noto tuttavia a qualsiasi economista che i maggiori problemi dell’Italia di quegli anni specifici (includendo anche gli ultimi due, il 2015-16) sono problemi ciclici e non strutturali, dovuti a carenza di domanda e non di offerta. Ti aspetteresti che A&G raccomandino dunque una gigantesca ripartenza degli investimenti pubblici, magari prendendo spunto dal terribile terremoto (lo dice pure un architetto come Renzo Piano che possiamo farci beffe del Fiscal Compact in un tal caso) e magari nel campo della protezione della nostra infrastruttura critica (compresa quella legata a arte, cultura, territorio).
Macché. Il problema ciclico degli investimenti privati lo risolviamo secondo loro con … “imprese nuove e imprese relativamente grandi”. Come no. Perché gli investimenti privati in Italia dal 2008 al 2014 sono crollati perché… c’erano troppe poche imprese grandi. E lo risolviamo rapidamente, perché … è facile mettere su imprese “relativamente (?)” grandi.
Ma per favore. Pur di non dire facciamo più investimenti pubblici A&G sono disposti a mettersi alla berlina, incredibile.
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Detto questo, A&G avrebbero potuto fare qualcosa di più corretto (e quindi più credibile) metodologicamente. Far notare cioè che il “problema” italiano di PIL non nasce solo nel 2008 ma che vi è una parte della performance economica italiana che poco ha a che fare con la crisi da domanda e che vien più da lontano. Che ci rende i malati d’Europa ben prima della crisi del 2008. E qui argomentare che il problema italiano è quello della dimensione media dell’impresa italiana.
Supponiamo dunque che avessero così, più correttamente, argomentato. Li avremmo per questo dovuti ascoltare? Rilassatevi, la risposta è sempre la stessa: NO. Perché per curarci dal “problema” dimensionale le loro ricette sono, come al solito, disastrose e qualsiasi Ministro dello Sviluppo che le volesse seguire verrebbe ricordato come i suoi predecessori: un utile servo della grande impresa italiana, inutile per il Paese e per le sue chance di ripresa strutturale.
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Partiamo dalla semantica. Citando impropriamente Guido Carli che da buon pediatra dell’economia italiana ricordava come il problema italiano fosse uno di generare “le condizioni favorevoli per la nascita di nuove imprese e per la loro successiva crescita”, A&G ricordano piuttosto ricordano il Dott. Von Frankestein Junior immersi come sono l’esigenza di “contrastare il nanismo della nostra struttura produttiva”. Per A&G le due cose sono equivalenti, per noi diametralmente opposte.
Eh già, perché avrete capito che mentre Carli si concentrava a richiamare l’esigenza di mettere al mondo e permettere lo sviluppo armonico di bellissime creature (imprese) che un giorno così potranno diventare grandi e forti, A&G hanno in mente un piano eugenetico, quello di operare su di un (abominevole? non lo dicono ma lo pensano) nano e farlo diventare in quattro e quattr’occhi un gigante di grandi dimensioni. Von Frankestein, Junior, appunto.
Le nostre medie e grandi vanno bene, sostengono A&G, sono le piccole che non vanno quanto a produttività.
E allora che facciamo? Tutta una serie di cose non mirate alle piccole: minore tassazione per tutte le imprese (ma non andavano bene quanto a produttività le nostre medie e grandi?), riforme della vigilanza bancaria (siamo sicuri sia questo il problema per le piccole imprese italiane che le rende poco produttive?), una maggiore enfasi sulla concorrenza (che spesso aiuta le imprese più efficienti, non quelle meno efficienti perché più piccole). E non a caso ricordano al Ministro Calenda di accelerare sulla legge sulla concorrenza piuttosto che su quella, mancante all’appello da 4 anni, esclusivamente dedicata per la piccola impresa: che strano eh?
Le parole contano anche se A&G dicono che non bastano. Certo, perché quando si vuole “contrastare” la piccola c’è poco da fare, la soluzione è una sola: bisogna aiutare la grande. Se mai si volessero veramente “creare le condizioni” per la piccola, si dovrebbero fare interventi ben diversi, esclusivamente mirati ad essa, come negli Stati Uniti: regolazione asimmetrica imposta alla grande ma non alla piccola, appalti pubblici riservati alle piccole imprese, assistenza dedicata nei tribunali per i piccoli imprenditori a spese della Pubblica Amministrazione, formazione manageriale specifica, assistenza specifica all’internazionalizzazione. Con fior fiore di quattrini messi da parte per tali operazioni, piuttosto che per ridurre la tassazione per tutti quando quei tutti si affermano da soli nel mercato mondiale.
Le parole contano, un buon pediatra lo sa. Chi parte da “piccolo è brutto” genera mostri. Chi parte da “crescere è bello” genera bellezza. Chiedetelo ad una madre, come si fa crescere un bambino: con protezione ed attenzione, specie nei primi anni di vita. Questo è un Paese dove è difficilissimo nascere e crescere per gli immensi costi di fare impresa che imponiamo alle piccole italiane rispetto a quelle francesi, tedesche o americane: cominciamo da qui con una vera politica per la Piccola per ridare crescita di lungo periodo al nostro Paese. Ministro, se ci sente, batta un colpo e lasci perdere i Dott. Von Frankestein.
PS: Questo post è stato pubblicato alle ore 17, poche ore prima della scomparsa del grande attore Gene Wilder, protagonista di Frankestein Junior (vedi foto), uno dei miei film preferiti.
30/08/2016 @ 15:20
Piu che criticare A&G sul come la pensano (ognuno e’ libero di avere un suo pensiero sul tema), mi preoccuperei di piú dei politici che li ascoltano. Frasi del tipo “X sbaglia ad applicare le politiche suggerite da Y” sono migliori di quelle che dicono “I suggerimenti dell’economista Y sono sbagliati”. Se si vuole cambiare la rotta delle politiche, andrebbe fatta informazione sul come certi politici hanno adottato certe (sbagliate) politiche additandone a loro la colpa (non ad A&G: non e’ una colpa avere un punto di vista su un tema). I cittadini scelgono i loro politici, non i loro economisti.
30/08/2016 @ 15:33
Vero, fino a un certo punto.
Non è un caso che mi focalizzo cosi tanto su di loro. Quello che scrivono è la razionalizzazione migliore che esiste delle scelte degli attuali politici (ultimi 5 anni). Non si può che attaccare la fonte per essere più credibili, piuttosto che criticare slogan politici che per definizione non hanno fondamenta chiare.
31/08/2016 @ 21:04
Caro Piga,
vedo che anche Lei ha di che criticare i colleghi. A&G sono veramente stupefacenti. Non si può seguirne il ragionamento, perché le loro non sono contraddizioni (magari!). Semplicemente fiutano il vento e ne seguono la direzione per curare la loro carriera. Nell’Università si fa così, dovrebbe saperlo, oppure anche Lei, come me, si ostina ad andare contro-vento?
PS: A&G, nota compagnia USA fallì nel 2009. I nostri fanno fallire noi.
31/08/2016 @ 21:19
Fiutano il vento. Sì è possibile. Come qualsiasi buon consulente, che più che “assistere col consiglio”, “conferma col consiglio”.
03/09/2016 @ 09:27
Davvero ha scritto questo articolo con l’accenno a Gene Wilder poche ore “prima” della morte del celebre attore?
Allora lei ha proprio il dono naturale. Bisognerà venire bene attrezzati a leggere il suo blog.
03/09/2016 @ 12:33
Senta. Lei tocca un tasto che avrei voluto evitare di commentare esplicitamente. Ma meglio così. Quando ho pubblicato il pezzo alle 17 non avevo (ovviamente) messo il PS. Alla luce di quanto avvenuto poche ore dopo, ho sentito il dovere di fare il PS perché non volevo che qualcuno pensasse che io scrivessi pezzi così a valle della scomparsa di una persona. Punto. Detto questo, rimane quello che dice lei: la mia incredulità riguardo alla scomparsa di un attore da me molto amato, ma a cui non pensavo da anni, subito dopo aver dedicato 5-6 ore di energie a scrivere ed anche a ricordare quegli anni di Frankenstein Junior e Gene Wilder, quando ero più giovane. Non me lo spiego, e siccome non credo alle coincidenze, rimane una meraviglia dentro di me, che mi tengo stretta. Un caro saluto e grazie di questo suo simpatico messaggio.