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Perché l’Europa non vuole combattere la disoccupazione pur sapendo come fare?

La semantica del Draghi americano, con la Buba a distanza di sicurezza grazie alle onde dell’Atlantico, è stata assai nuova e diversa. E questo non tanto per l’assenso ad una minore austerità da tutti fatta notare, quanto per l’avversione alle più rilevanti e pericolose conseguenze dell’austerità: disoccupazione ed emarginazione. Atteggiamento nuovo, da accogliere favorevolmente, specie per un rappresentante di una istituzione, la BCE, che per motivi misteriosi non deve per mandato preoccuparsi dell’occupazione, come invece la Fed, concentrandosi solo sull’inflazione.

http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp140822.en.html

L’enfasi sulla “tragedia con effetti duraturi” della disoccupazione, la comprensione – senza richiami alla sacralità dell’indipendenza del banchiere centrale – per quelle “pressioni politiche” che crescono quando la disoccupazione cresce, il richiamo finale al fatto che la minaccia vera alla “coesione di lungo termine dell’area euro” deriva dalla possibilità di non raggiungere alti livelli di occupazione ovunque nell’Unione.

Tutto giusto. Eppure.

Eppure del discorso di Draghi porterò a casa soprattutto due conclusioni, legate tra di loro indissolubilmente: la pochezza delle soluzioni da lui proposte per uscire dalla crisi e l’assoluta contraddittorietà della sua analisi rispetto ai dati da lui stesso generosamente forniti.

Il che porta in ultima analisi a chiedersi perché Draghi, e soprattutto con lui l’Europa che “decide”, voltino il loro sguardo altrove per non porre fine a questa assolutamente assurda recessione europea. E la risposta che mi do è semplice e devastante ed in piena contraddizione con l’apparente nuova benevolenza di Francoforte sul tema: questa Europa, l’Europa che decide intendo, non è interessata a combattere la disoccupazione. Il perché sarà presto detto, di nuovo grazie ai dati forniti da Draghi stesso.

*

Come suggerisce Draghi di porre fine a questa mattanza europea? Oltre che grazie alle solite riforme, l’enfasi dei giornali si è concentrata su quella che Draghi ha chiamato “la spinta (boost) alla domanda aggregata”.

Peccato che quelli di Draghi siano 4 strumenti pressoché inutili per uscire da questa crisi: 1) ulteriori margini di flessibilità, cioè meno austerità ma sempre austerità, inutile per generare meno disoccupazione ed emarginazione là dove questa cresce; 2) il Piano Juncker di 300 miliardi investimenti pubblici nell’Unione europea in 3 anni, 0,75% di PIL dell’area, utile per rallentare il declino, non per arrestarlo; 3) un passaggio al finanziamento con maggiori tasse di una riduzione del cuneo fiscale, su cui commenterò più avanti e 4)  “una discussione sulla posizione fiscale complessiva dell’area euro”, che parrebbe essere l’ennesimo richiamo ad avviare una lenta cessione di poteri fiscali (tassazione e spesa) ad un governo europeo. Lenta, appunto, e dunque capace solo di distrarci dal lavoro odierno.

Le soluzioni di oggi di Draghi sono errate, ancorché più benevolenti di ieri, perché tradiscono una voglia di non guardare in faccia alla realtà. Chi lo dice? Credeteci o no è Draghi stesso, che con la sua analisi smonta una per una la rilevanza delle sue stesse proposte. Ed è di nuovo Draghi, con un contorsionismo affascinante, a rifiutarsi di prendere atto delle logiche conclusioni a cui i suoi dati e le sue affermazioni inevitabilmente conducono per mano il lettore sbigottito.  Le chiameremo le quattro negazioni di Draghi, che crede siano fantasmi irreali i quattro convitati di pietra di questa mancata ripresa.

*

La prima negazione: il fantasma del Fiscal Compact, che conta eccome.

Il grafico che Draghi propone all’inizio del suo discorso mostra l’andamento della disoccupazione dal 2008 negli Stati Uniti e nell’area euro. Notate due cose: l’andamento simile fino ad un certo punto e poi il brusco separarsi delle curve, con la disoccupazione statunitense che crolla e quella europea che schizza verso l’alto. E quando avviene questa divergenza? Toh, guarda caso, a primavera del 2011, quando viene annunciato in Europa dal Consiglio europeo (la data esatta è il 15 marzo 2011) l’accordo trovato sul Fiscal Compact. Casuale mi direte? Forse. Ma forse no. Perché se credete, come il Premio Nobel Sims, che le decisioni di imprese e famiglie dipendono dagli annunci politici e dal quadro istituzionale a riguardo della futura austerità, beh, ci vuole poco a capire che imprese e famiglie abbiano cominciato a percepire proprio allora un clima avverso al sostegno nei loro confronti in caso di avversità. Ed abbiano rinunciato a spendere. Ad investire.Ma Draghi non fa mai cenno a questo evidente correlazione. Ne cita invece un’altra per spiegare la crescita della disoccupazione.

La seconda negazione: il fantasma dello spread, che non è causa ma effetto della crisi

Beh, ognuno sceglie le sue correlazioni. Io la mia ve l’ho fatta vedere, Draghi la sua la fa vedere subito dopo. Con questo strano grafico qui, che mostra come i paesi che hanno avuto un crollo occupazionale nell’area euro (Spagna, Grecia, Portogallo Irlanda e Italia) sono gli stessi che hanno subito una crisi di fiducia nei mercati dei titoli di Stato (vedasi negli spread).

Le correlazioni possono spesso essere lette in due direzioni: Draghi pare scegliere la sua, spiegando la disoccupazione con la crisi di fiducia dei mercati (con quali canali? forse pensando che là dove gli spread salgono crolla il credito all’investimento). Il che porta poi Draghi a spiegare, lo vedremo meglio dopo, come la sola soluzione possibile per combattere la disoccupazione fosse quella di rassicurare i mercati, con un’austerità accelerata. Peccato che alla fine del suo discorso, come già dicevo prima, sostenga proprio il contrario: che è dalla disoccupazione alta che provenga la più seria minaccia alla sopravvivenza dell’area euro, il che farebbe pensare che il suo grafico non faccia altro che confermare come mercati preoccupati della mancanza di crescita e occupazione fossero quelli considerati più a rischio di uscita dall’euro e dunque colpiti da spread maggiore. Il bell’articolo di Boitani e Landi oggi sul Fatto Quotidiano illustra bene come gli spread sono scesi di più là dove l’austerità è stata minore!

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/23/austerity-piccoli-effetti-indesiderati/1095488/

Se così fosse, allora è evidente che si sarebbe dovuto fare il contrario di quel che si fece, espansione invece di austerità, via minori tasse, maggiori investimenti pubblici e maggiori deficit. La crescita avrebbe poi aiutato a ridurre il rapporto debito PIL di ognuno dei paesi, al contrario di quanto non abbia fatto con l’austerità.

La terza negazione: il fantasma degli stipendi pubblici e della spesa corrente, che contano eccome

Draghi testualmente ammette che dalla prima fase della crisi se ne uscì, in tutta l’area dell’euro, creando occupazione via “pubblica amministrazione, istruzione, sanità”, ammortizzando lo shock. Ma, secondo Draghi, dal 2011 in poi ci si fermò dal fare questo per “le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito”, avviando la “necessaria austerità per ridare fiducia ai mercati, creando una … riduzione verso il basso delle assunzioni nel settore pubblico che si è aggiunta alla già avanzata contrazione dell’occupazione in altri settori”. Così è stato per l’Italia. Ricordo che la spesa nominale per stipendi della pubblica amministrazione è calata dal 2010 al 2014  da 172 a 163 miliardi, del 5%, circa, in termini reali dunque del 12%. Il Ragioniere Generale dello stato ed il DEF di Padoan prevedono che la spesa nominale per stipendi si arresti a 163 miliardi da qui al 2018, con un calo reale ulteriore per qualsiasi livello di inflazione positiva.

Se ne deduce che per arrestare questa crisi non è il cuneo fiscale a cui volgere l’attenzione, né tanto i piani di Juncker, quanto la ripresa dell’occupazione nel settore pubblico. Lo dice lo stesso Draghi. Leggere più avanti per credere.

La quarta negazione: il fantasma dell’istruzione, che non può esistere senza fondi pubblici

Oltre a riprendere la domanda aggregata (ma abbiamo visto, con soluzioni proposte irrilevanti) ci vogliono, secondo Draghi, “le riforme”. E anche qui il Presidente della BCE si è spinto un po’ più in là dei suoi grigi colleghi, italiani ed europei, che invocano riforme senza sapere quali.  

Mario Draghi al termine del suo discorso ha infatti ricordato senza se e senza ma quale sia la vera riforma necessaria per riprendere il cammino di lungo termine: “il livello insufficiente delle competenze aumenterà il tasso di disoccupazione naturale facendo crescere il numero di lavoratori che scompariranno dalla “zona di competitività” e divenendo non più occupabili. Aumentare le competenze è chiaramente prima di tutto e soprattutto una questione di istruzione, dove vi è molto che può essere ancora fatto.”

Esatto. E siccome l’istruzione in Europa è prevalentemente pubblica, la riforma principale per Draghi passa per … più spesa pubblica per scuole ed università, per maestri, professori, attrezzature, ricerca. Tutto quello che la sua austerità, più o meno flessibile, impedisce.

*

Rimane l’ultima domanda.

Perché allora non si è voluto e non si vuole cessare la stupida austerità? Perché Draghi, capendone le cause e gli effetti, fa finta di non vedere e propone l’esatto opposto di quanto la sua stessa analisi suggerisce? Perché l’Europa che “comanda”, ancor più di Draghi, fa finta di non vedere, visto che poi è a lei che spetta di combatterla istituzionalmente prima ancora che alla BCE?

Ho una sola risposta. E di nuovo, non dovrebbe stupirvi, me la fornisce l’analisi di Mario Draghi con quello che è certamente il grafico più drammatico di questa crisi. Ovvero quello che indica chi ha perso più occupazione di tutti da questa crisi, in funzione del proprio titolo di studio. Guardatelo bene: sono i rossi, non i blu. I rossi sono i lavoratori con scarsa istruzione, i più deboli e presumibilmente i più poveri dunque. I blu sono quelli con maggiore istruzione, i più protetti ed i più ricchi dunque.

Questa crisi non ha colpito che di striscio i benestanti, la cui occupazione ha continuato a marciare, ha colpito i meno abbienti. Questa crisi ha acuito la disuguaglianza sociale in Europa.

La colpa? La crescente assenza di rappresentanza nei processi decisionali europei. E’ ovvio che se sono i tecnocrati a dettare le regole del gioco della politica, nei loro salotti ovattati di Bruxelles o Francoforte, nelle riunioni protette con cena a seguire del Consiglio europeo o dell’Ecofin, lontani dai rumori delle pernacchie e delle trombette con cui fino a pochi anni fa i lavoratori più disagiati si difendevano sotto le mura dei tanti Ministeri nazionali, è ovvio che l’esito delle politiche non potrà essere che questo.

La soluzione? Riprendersi l’Europa con strumenti democratici, come il referendum o il sostegno a forze politiche che vogliano l’Europa ma non questa Europa. In attesa che i salotti buoni lo capiscano, noi andiamo avanti, venite a firmare il referendum anti austerità c’è tempo fino a fine settembre. www.referendumstopausterita.it

11 comments

  1. Nicola Martinelli

    25/08/2014 @ 18:24

    La riduzione dell’occupazione a basso livello di istruzione é un fenomeno inarrestabile dovuto alla rivoluzione digitale.
    É inevitabile e naturale. Non possiamo coltivare l’illusione che possa tornare.
    Anzi avremo una aggressione del lavoro routinario amministrativo.
    Vedi uffici bancari con un calo delle attività di back office a seguito della trasformazione in digitale delle transazioni finanziarie.
    Per questo gli investimenti integrativi dello Stato devono andare soprattutto sull’istruzione.
    Bisogna creare competenze fungibili e creative.
    Ma questa spesa avrà risultati immediati sul deficit e futuri sull’occupazione (almeno 10 anni?).
    Più a breve spesa pubblica solo su investimenti a rendimento.
    La banda larga universale é prioritaria.
    Ma anche le infrastrutture di servizi oggi hanno bisogno di una trasformazione radicale.
    Lo Stato deve investire nel rinnovo delle infrastrutture ospedaliere in Project financing: mantenere la sanita pubblica per il finanziamento (ció che rende efficiente ex equo il nostro SSN) e rendere il servizio libero nel mercato (dove applicato bene porta a costi e qualità dei servizi elevati).
    Nel rinnovo del patrimonio pubblico per la sanita le scuole e gli uffici. Anche qui sia con l’efficienza energetica e con la razionalizzazione degli spazi gli investimenti portano ROI elevati lavoro immediato e nessun indebitamento se via PFI.
    La realizzazione di un piano speciale per la rivoluzione dell’offerta alberghiera trasformando nelle città d’arte il mix attuale con l’integrazione di alberghi 5+ stelle nei centri storici, magari trasformando i palazzi ridondanti della PA. Bisogna attrarre il turismo ad alto reddito.
    Bisogna fare in fretta e per questo bisogna concentrare gli sforzi.
    A che servono le proliferazione di società per la valorizzazione del patrimonio?
    A che serve una PA che non si coordina?
    Perché il PFI non trova spazio nel nostro paese così indebitato mentre in altri paesi ha fatto la differenza nella creazione di infrastrutture di qualità?

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  2. Lei pone queste domande:

    “Perché allora non si è voluto e non si vuole cessare la stupida austerità? Perché Draghi, capendone le cause e gli effetti, fa finta di non vedere e propone l’esatto opposto di quanto la sua stessa analisi suggerisce? Perché l’Europa che “comanda”, ancor più di Draghi, fa finta di non vedere, visto che poi è a lei che spetta di combatterla istituzionalmente prima ancora che alla BCE?”

    Ma non dà una risposta perché dice:

    “Ho una sola risposta[...]Questa crisi non ha colpito che di striscio i benestanti, la cui occupazione ha continuato a marciare, ha colpito i meno abbienti. Questa crisi ha acuito la disuguaglianza sociale in Europa.”

    Questa è una mera descrizione degli effetti e non indica “perché l’Europa che comanda, ancor più di Draghi” insista in politiche di austerità che hanno come effetto una crescente disoccupazione che colpisce le fasce di lavoratori “con meno istruzione, più deboli, più poveri” e “ha acuito la disuguaglianza sociale in Europa”.

    Forse si vuole distruggere la domanda interna come ha ammesso lo stesso Monti in questo filmato

    https://www.youtube.com/watch?v=LyAcSGuC5zc

    per limitare le importazioni?

    Forse si vuole costruire il famoso esercito di riserva di lavoratori scarsamente protetti disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare (il che ha un significato anche politico visto che ai cittadini molto preoccupati per il loro futuro è stato sufficiente dare una stranissima mancetta di 80 euro al mese per ottenere un successo elettorale oltre ogni aspettativa)?

    Le mie ipotesi lasciano il tempo che trovano ma è importante che il vostro movimento politico fornisca una spiegazione in una maniera chiara che non sia solo tecnica ma che si fondi su un “ideale” che si ritiene l’Europa dei tecnocrati stia tradendo; la gente non le viene a mettere la firma al referendum perché l’idea è buona (ed è eccellente, l’unica cosa seria fatta fino adesso), non gliene frega niente del contenuto tecnico e a mio avviso, forse mi sbaglio, ve ne state rendendo conto.
    La gente firma perché vede che avete una visione e un ideale che vi appassionano, firma perché voi gli state dando una interpetazione completa e profondamente sentita del loro dramma, perché così gli dimostrate che la colpa non è della loro incompetenza o scarso valore come lavoratori e cittadini ma che c’è qualcuno che fa di tutto per ridurli in questo stato ossia gli dite che se si impegnano tutti uniti otterranno qualcosa.
    Lo scoraggiamento di cui parla Sims non vale solo per i quantitative easing ma anche per la partecipazione politica.

    Insomma se proponete politiche economiche anticicliche non si capisce perché politicamente invece siete “ciclici” ossia in crisi economica parlate prevalentemente di soluzioni economiche; sempre su questa linea in controtendenza, se siete un movimento di borghesia imprenditoriale e intellettuale vi converrebbe rivolgervi principalmente ai lavoratori e ai “più deboli, più poveri, con meno istruzione” perché se non lo fate venite immediatamente identificati come semplici portatori di interessi un po’ elitari che hanno intenzione di farsi gli affari loro.

    Non è così, il vostro movimento ha un enorme potenziale che uscirà fuori solo uscendo coraggiosamente dagli schemi possibilmente in maniera non sempre corretta e rispettosa.

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  3. Massimo GIANNINI

    26/08/2014 @ 08:33

    Viste le conclusioni le daranno del comunista….:-). Il suo pezzo denota come in effetti le classi dirigenti e les élites interpretino sempre l’economia pro domo propria ovvero in modo ideologico stabilendo relazioni di causa-effetto e correlazioni che non resistono nemmeno alla prova di un semplice grafico. E’ ovvio che economisti (ultimamente molti cominciano a fare outing) o politici come Draghi siano in perfetta mala fede. Purtroppo in Italia quello esprimiamo.

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  4. LEONARDO QUAGLIATA

    26/08/2014 @ 08:40

    Caro Gustavo,
    ho letto con interesse le tue considerazioni e le tue condivisibili critiche alla posizione di Draghi, ma non mi trovo d’accordo sul fatto che la crisi non abbia colpito la middle class che, come è noto, è costituita anche da gente che ha studiato e si è laureata (i.e. i Giovani e gli over 50).
    Credo sarebbe più giusto dire che si sta verificando uno scollamento sempre più vasto tra la situazione reale che vive la maggioranza degli Elettori (non solo quelli che non si sono laureati) e quella (miope) che sta a cuore gli attuali Governanti.
    Leonardo Quagliata

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    • Carissimo Leo, accetto pienamente la tua critica, tra l’altro da me condivisa in altri post. Non si possono usare le statistiche con l’accetta, hai fatto bene a ricordarlo anche perché la questione della classe media è centrale. Grazie.

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  5. Pingback: Potrei, ma non voglio | transiberiani

  6. Antonello S.

    26/08/2014 @ 21:40

    Carissimo Prof. Lei conosce la mia posizione in merito a questa Europa e soprattutto a questa sbagliatissima unione monetaria, quindi non starò a tediarla commentando che secondo il mio personalissimo parere gli effetti politici che potrebbe ottenere un discreto risultato del referendum contro l’austerità, sarebbero annullati solo con la promessa delle varie soluzioni miracolistiche proposte dalla BCE, considerando tutto il “capitale” che è stato speso (secondo le parole di Draghi) per costruire questa intelaiatura, così specificatamente e non casualmente progettata.
    Ma, ripeto, aldilà di ciò Le chiedo cosa ne pensa dell’intuizione espressa da Zibordi, contro il rigore eurista, ma rimanendo nella moneta unica:
    “con uno schema di emissione di crediti fiscali corredato da emissione di BTP a valenza fiscale, un singolo paese della UE creerebbe della moneta per proprio conto, (degli “euro italiani”) ad un tasso di cambio fluttuante, nell’ordine di circa 150-200 miliardi da utilizzare per abbattere drasticamente le tasse e stimolare la spesa pubblica (aggiungo io).
    Aumenterebbe il deficit verso l’estero ? Certo, ma comprendendo come funziona l’euro, allora si capisce anche che la Germania sarebbe costretta, pena la disintegrazione istantanea dell’eurosistema, a finanziare i nostri deficit esteri tramite Target2, automaticamente e contro voglia. Sarebbe d’accordo ? Certo che no. Potrebbe farci qualcosa se l’Italia implementasse per proprio conto una riduzione di tasse di 150 miliardi o sfondando i parametri del 3% o usando lo schema da noi suggerito di emettere crediti fiscali ? No. Perchè l’Italia non chiederebbe niente alla BCE, farebbe tutto da sola. L’unico modo pratico e legale per la Germania di impedirlo sarebbe manovrare per buttarci lei fuori dall’Euro (ma gli converrebbe?)”.

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  8. Il grafico che mette in relazione lo spread con l’austerità si vede chiaramente che ha un R2 pari a 0,33 che è bassissimo. La relazione in econometria sembrerebbe molto debole. Un’ultima domanda: Prof. Piga mi sembra di capire che per lei la soluzione contro la disoccupazione sta negli investimenti pubblici. Le cause quali sono?

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    • Le cause della mia richiesta di investimenti pubblici come soluzione? Se sono veri investimenti, ovvero se abbiamo un Governo che non faccia Expo o Mose, ovvero che aiuti Cantone a combattere corruzione e che spenda per formare una nuova classe dirigente dentro la funzione degli acquisti pubblici. Anche spesa corrente, se è investimento come aumenti salariali a bravi professori, bravi dipendenti pubblici, bravi poliziotti e carabinieri, bravi dottori. Perché questa è da un lato domanda che sposta la curva di offerta migliorando la produttività del sistema delle imprese italiane, e dall’altro stimola direttamente la domanda, non come il bonus fiscale che lascia tutto in mano alla fiducia di famiglie ed imprese, che non c’è.

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