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La contabilità della solidarietà europea

Uno strano ma interessante dell’articolo dell’Istituto Bruno Leoni, http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=15313, quanto meno ansioso di dimostrare l’enorme generosità dell’Unione europea verso l’Italia e quindi, implicitamente, la bontà dell’attuale costruzione continentale e dunque, sempre implicitamente, la non necessità di fare qualcosa per migliorarla. E se non c’è da migliorare l’Europa, sequitur, tutto quello che c’è da fare è a casa nostra, con le riforme.  Di cui senza dubbio l’Istituto è diventato il paladino, spesso con merito.

Ma non in questo caso, come vi dirò. Non c’è bisogno, per essere paladini delle riforme, di negare il ruolo della solidarietà. A meno che non si sia solo liberisti e non liberali.

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Argomenta, il pezzo citato, come l’Italia, grazie all’azione della BCE, abbia negli anni di crisi goduto di una somma largamente eccedente l’entità del contributo italiano (peraltro non a fondo perduto) ai programmi europei.

A favore di tale argomentazione viene citato uno studio del Fondo Monetario Internazionale in cui si mostrerebbe come “nei sei anni intercorsi fra il 2008 ed il 2013 i trasferimenti impliciti all’economia italiana conseguenti agli interventi della Banca Centrale Europea sono stati pari, in media, a circa 60 miliardi di euro all’anno (qualcosa come quattro punti di prodotto interno lordo all’anno) … Nel complesso il trasferimento implicito a favore dei paesi della periferia dell’area dell’Euro (Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna) si è aggirato – al netto delle loro contribuzioni – intorno all’1% del prodotto interno lordo di questi paesi.”

In realtà il Fondo (a pagina 25, Box 4) parla di tutti i Paesi messi assieme: l’Italia con la Spagna essendo il Paese che tra quelli citati ha sofferto di spread più bassi di Irlanda, Grecia e Portogallo, la cifra in percentuale del PIL per il nostro Paese è probabilmente più bassa, del circa 0,5% di PIL.

https://www.imf.org/external/pubs/ft/sdn/2013/sdn1309.pdf

L’aiuto all’Italia ha preso la forma di prestiti per più di 300 miliardi da parte della BCE. Capiamoci: non è che la BCE abbia acquistato titoli italiani in asta. Ha, invece, finanziato le banche italiane con prestiti a basso costo rispetto al tasso a cui queste sarebbero riuscite ad indebitarsi (alti perché i tassi delle obbligazioni delle banche italiane seguono l’andamento del costo della Repubblica italiana). Così facendo la BCE ha ottenuto due risultati: a) permettere alle banche straniere che possedevano BTP italiani di uscire dal mercato trovando dei compratori (le banche italiane) e quindi senza subire perdite, b) così calmierando gli spread, far sì che per finanziarsi il Tesoro italiano si trovasse di fronte ad un contesto di tassi più bassi.

E infatti, soprattutto nei mesi della crisi più acuta una buona quota del debito pubblico italiano passò in mano … italiana.

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Dobbiamo ringraziare l’Europa per questo “regalo”? Dipende da chi si crede abbia scatenato questa crisi: siamo sicuri che siano stati i cattivoni del Sud? Discorso ormai abbondantemente trito e ritrito su cui non voglio tornare. Mi basterà qui ricordare tre aspetti già svariate volte citati in questo blog.

Primo, che la crisi dei derivati greci (la famosa miccia della crisi dei debiti sovrani europei) fu dovuta ad una volontà politica di chiudere gli occhi di fronte a transazioni che imbellettavano i conti pubblici a partire già dalla fine degli anni 90, che furono denunciate nel mio libro nel 2001 e che nessuna autorità preposta a vigilare (né la BCE, né Eurostat, né la Commissione europea), malgrado ne fossero al corrente, cercarono di scoraggiare, sanzionare, vietare.

Mi basterà ricordare, per secondo, che gli spread cominciarono a scendere nella fine agosto del 2012 quando la Merkel rese nota a mezza bocca l’intenzione di tenere la Grecia dentro l’euro “a tutti i costi” (già, non fu Draghi…), a dimostrazione che quegli extra costi di spread potevano essere evitati tranquillamente con una Europa migliore, e che gran parte della loro esistenza è stata dovuta ad errori macroscopici della leadership europea, non dei brutti anatroccoli neri del Sud.

E infine mi basterà ricordare, come abbiamo già fatto notare in opposizione a quanto detto da Draghi nel recente discorso di Jackson Hole, che lo spread odierno, tuttora alto, è dovuto al persistere del Fiscal Compact e dell’austerità, che rendono sempre più rischioso detenere titoli di Stato di Paesi in cui sempre più forte è la disillusione sul valore del progetto dell’area euro, privo di solidarietà come invece sono altre aree monetarie uniche tra stati, quali ad esempio gli Stati Uniti d’America, dove gli spread tra Mississippi e Massachusetts è pari a zero.

In tal senso possiamo dire che è l’Europa ad avere imposto e a continuare ad imporre costi eccessivi ai paesi del Sud dell’area euro. In primis per quanto riguarda il costo del loro finanziarsi, in quanto per le politiche sbagliate gli spread sono stati e continuano ad essere superiori a zero come invece dovrebbero essere in ogni Unione monetaria tra Stati che funziona bene perché gestita in maniera vigile ed accorta. In realtà il Fondo giustamente ricorda che questi non sono i soli costi per l’Italia, sostenendo che questo tipo di aiuto “ex-post” della BCE, dopo che la crisi è avvenuta, ha comportato disoccupazione e recessione in assenza di uno schema migliore che era a portata di mano.

Ma gli amici del Bruno Leoni non sembrano notarlo. Il Fondo sì. Per il Fondo avrebbe potuto essere un sistema federale all’americana tra Nord e Sud. Per questo blog che crede che un governo federale europeo è qualcosa a cui dovremo aspirare solo quando avremmo una cultura europea decisamente più omogenea (tra 50 anni?) e che oggi sarebbe piuttosto una iattura, l’ennesima, anti democratica, la mossa sarebbe quella che rivendichiamo col referendum www.referendumstopausterita.it, ovvero una politica fiscale espansiva in ogni dove dell’area euro, di più in Germania, meno in Italia, con la fine dell’ottusa austerità. Una politica di solidarietà “realistica” date le differenze culturali ancora insuperabili, una politica che dà sia alla Germania che all’Italia, che permette di rimanere assieme e avvicinarci culturalmente, rafforzando il progetto di pace, sviluppo e coesione europeo.

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Ma c’è qualcosa di più che proprio non mi pare essere pienamente compreso da chi pensa che tutto va bene in questa Europa.

La parola “trasferimento” implicito è un’arma a doppio taglio se usata male. Il trasferimento deve essere inteso come quello che ogni anno avviene nel sistema federale statunitense, dove ogni anno il “progressista” Massachusetts viene incontro al “retrogrado” Mississippi con sussidi del 10% circa del PIL del secondo.

Siccome questo trasferimento avviene via bilancio federale con complessi meccanismi ormai automatici che dai più ricchi danno ai più poveri, potremmo chiamarlo “implicito”, nel senso che non è così visibile. Faremmo tuttavia meglio a chiamarlo esplicito, tanto è chiaro ai cittadini statunitensi, che magari non sanno come si calcola questo trasferimento, ma che lo considerano parte fondante del loro “contratto sociale” e che spiega anche il miracolo di avere finalmente, con grande fatica, avvicinato tra loro Stati così culturalmente diversi in partenza. Un po’ come tra Germania dell’Ovest e dell’Est dopo il 1989 o tra l’Italia meridionale e settentrionale.

Ecco come funzionano i trasferimenti espliciti: qualcuno decide di perderci, qualcuno sa di vincere, ma ad ambedue sta bene. Per un obiettivo spesso più alto, politico e culturale.

I trasferimenti di cui parla il Fondo, ma anche l’Istituto Leoni, sono “impliciti” per due ordini di motivi. Primo perché sono molto più invisibili e meno comprensibili di quelli di cui vi ho parlato poche righe sopra, secondo perché nessuno ci perde. E già. Non c’è un’Europa che dà e una che riceve, come vuol far intendere la nota dell’Istituto, che fa la contabilità della generosità, una pratica rara, ritenuta sconveniente, negli Usa dei trasferimenti espliciti.

Come è possibile direte voi? Abbiamo già detto che quando la BCE presta alle banche italiane a tassi bassi (permettendole di comprare i titoli di stato italiani dalle mani delle banche straniere), questa è una politica subottimale per il Sud dell’area nel senso che è tardiva e dominata da politiche migliori che non sono state effettuate. In realtà però è una politica vantaggiosa per il Nord.

Oddio, e come è possibile? Semplice. Per due ordini di motivi. Primo, perché sono somme – quelle della BCE – che aiutano a salvare le banche straniere dal rischio Italia. Nei limiti in cui alcune di queste banche erano olandesi, finlandesi, belghe, tedesche … ecco che l’operazione è certamente a loro vantaggio.

Ma c’è di più. La BCE non avrebbe emesso questi finanziamenti alle banche se non ci fosse stata la crisi degli spread. Effettuandoli, ha di fatto prestato a tassi bassi alle banche italiane che hanno promesso di restituire a questa gli interessi, bassi ma positivi. Siccome questi prestiti verranno di fatto tutti restituiti dalle banche italiane (perché queste non sono fallite), la BCE ha guadagnato somme non piccole anche su questa forma di finanziamento poco caro. E questi profitti della BCE a chi sono stati distribuiti? All’Italia certo, ma anche alla Germania.

Che ha finito per non perderci, ma guadagnarci.

Avete mai sentito di trasferimenti dalla Germania all’Italia che danno alla prima e tolgono alla seconda? Ecco, sì, sono il contrario dei trasferimenti espliciti dell’unica area monetaria che ha capito come funzionare, quella degli Stati Uniti. Forse per questo li chiamano “impliciti”. Farebbero meglio a chiamarli “illeciti”, almeno moralmente, almeno se il tuo scopo è quello di crescere grazie alla coesione che viene dalla solidarietà.

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