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La regulation review? Dentro la spending review

Dice Squinzi, Presidente di Confindustria:

«A fianco della spending  review abbiamo bisogno come il pane di una regulation review», ossia, di «rimuovere una inutile, costosa e opaca massa di regole che rischiano di rendere vano ogni sforzo di riduzione della spesa e di rilancio della crescita».

*

Sono felice di questa attenzione ai costi della regolazione da parte delle grandi imprese. Eppure. Eppure c’era un tempo in cui in Italia ci si schierava per parlare di abbattere i costi della regolazione per le piccole imprese, e solo per loro.

Una battaglia liberale, come quella dei Viaggiatori. Tanto liberale che era pienamente sottoscritta da Luigi Einaudi con queste belle parole:

«Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.»

Bella la piccola, bella. Così bella che come tutte le cose belle va protetta. Da «tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli». Con una politica liberale. Perché è illiberale tutto ciò che ostacola la libera scelta individuale che non danneggia altrui ma, anzi, lo avvantaggia. E’ dovere di una buona politica industriale, essere liberale, proteggere le piccole dalla regolazione costosa. Non le grandi, che da essa hanno tante armi per potersi difendere. Ma per la piccola in primis. Se poi a cascata ciò aiuta la grande, tanto meglio.

Ci fu un tempo, un tempo di titani in cui l’Italia aveva voglia di rinascimento, in cui un altro grande liberale del dopoguerra, malgrado fosse anche lui Presidente di Confindustria, non aveva dubbi nel sostenere che la battaglia della regolazione doveva essere a favore della piccola:

«Le piccole imprese hanno più di altre bisogno di appropriate facilitazioni legislative», diceva nel 1946 Angelo Costa.

Già, se solo l’avessimo ascoltato. Avremmo anticipato di 7 anni la rivoluzione liberale, non liberista, degli Stati Uniti che dichiaravano nel 1953 come “politica dichiarata del Congresso americano quella di … proteggere la piccola impresa statunitense“. Con la nascita dell’Agenzia indipendente, la Small Business Administration, riportante direttamente al Presidente degli Stati Uniti, volta a tutelare il bello che c’è nell’idea di generare impresa e dargli spazio vitale.

Politica, quella statunitense, mai abbandonata e rafforzata, nel 1980,  col rifiuto di approvare qualsiasi regolazione che avesse  un impatto economico negativo significativo su un numero sostanziale di piccole imprese. Perché “leggi e regolamentazioni disegnate per l’applicazione ad entità di grande dimensione sono state applicate uniformemente alle piccole imprese … anche se i problemi che hanno giustificato l’azione del governo possono anche non essere state causate dalle entità più piccole.”

Oggi in Italia siamo governati da piccoli leader che nemmeno si preoccupano se non danno corso, in mezzo alla rivolta della micro imprenditoria, a un disegno di legge, quello per la piccola impresa, che lo Statuto delle Imprese, approvato tra gli applausi ipocriti e  bipartisan del Parlamento nel 2011, richiedeva si portasse alla discussione ogni 30 giugno. Monti e Passera tacquero nel 2012, Letta e Zanonato nel 2013, “scordandosi” di portare la legge al Parlamento. A fine 2012 l’Italia è secondo l’Europa al di sotto della media UE in ben sette politiche su 10 per le piccole imprese.

Per cambiare veramente, per introdurre quell’analisi dei costi della regolazione che un governo liberale degno di questo nome dovrebbe attuare, ci vuole competenza. Ci vuole, come chiedono i Viaggiatori, un Ministero della Piccola che levi le competenze al Ministero dello Sviluppo Economico che tutela solo le grandi.  Che in questo Ministero lavorino raffinati economisti, statistici, giuristi che facciano bene il loro lavoro di valutazione, assieme e col sostegno delle Associazioni delle Piccole Imprese, come negli Stati Uniti.

Ma per avere queste competenze ci vogliono soldi, altro che i tagli stupidi del Governo Letta sulla spesa per stipendi pubblici.

Ma per avere quei soldi per remunerare le competenze dove li troviamo?

Che domande, in una intelligente spending review, che trovi le finanze per spendere meglio tagliando là dove spendiamo peggio, negli appalti pubblici così preziosi per il Paese ma con così tanto grasso da scartare.

Perché questa è la vera spending review: non i tagli, ma dove si vuole spendere, bene, e dove si trovano i soldi per spendere bene.

Quindi caro Presidente Squinzi, le direi, no, non a fianco, la regulation review. Va fatta all’interno della spending review: perché per farla bene ci vogliono soldi e per trovare i soldi ci vogliono i risparmi.

Tutto si tiene. Questo Stato uccide il Paese e senza un grande Stato non si rilancia il Paese. E questa generazione di politici è incapace di combattere per questo nuovo Paese a portata di mano.

6 comments

  1. “Ma per avere quei soldi per remunerare le competenze dove li troviamo?”
    Che ci sia assoluto bisogno di rivedere la spesa pubblica, di eliminare sprechi e regalie, non c’è alcun dubbio.
    Ma uno stato che non fa il necessario perché non sa dove trovare i soldi (per usare parole non mie) è come quello che non costruisce strade per mancanza di chilometri.
    Cominciamo con il liberarci dei ridicoli vincoli europei e le cose cambieranno.

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    • Intanto chiediamoci quali vincoli europei. E poi le direi che i chilometri sono infiniti, basta trovare il sentiero, e ci vuole bravura e coraggio per questo.

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  2. Paolo Labombarda

    15/12/2013 @ 08:32

    Evochi tempi eroici, scanditi dalla passione di una rinascita, popolati da Titani (Einaudi, Costa, Eisenhower, …)! Evochi miti!
    I tempi di adesso, scanditi da frustrazioni e pessimismi senza futuro, sembrano tempi di “nani e ballerine”, di “ominicchi e quacquaracquà”. Altro che Titani!
    Cambiare, cambiare, cambiare! E’ necessario!
    Il cambiamento, solo lui, può generare altri Titani!

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  3. Rapisarda Salvatore

    16/12/2013 @ 21:13

    Gent. mo Professore, mi perdoni la provocazione. perché non effettuare una spending review internazionale a partire dalle facoltà di economia?
    Del resto Galbraith sosteneva che gli economisti fanno economia a partire dalle idee ed appresane una all’università (il libero mercato n.d.r.) la risparmiano per tutta la vita.
    A mio modestissimo parere la causa dei nostri guai sta nell’equazione semplicistica ed erronea anche agli occhi di una massaia intelligente:diminuzione (taglio) di spesa=risparmio.
    Se infatti non spendo l’importo per riparare il tetto della mia abitazione non avrò forse oggi una diminuzione maggiore del valore del mio patrimonio ( e per gli economisti quello pubblico esiste solo quando viene privatizzato) o in una maggiore spesa futura.
    Ma a furia di tagliare la spesa e di cure erronee o fuori luogo la situazione del malato si aggrava sempre di più costringendoci a seguire il “peggior” Keynes quello che come extrema ratio consigliava di scavare le buche per poi riempirle.
    A furia di tagliare la spesa questa aumenta ed aumenterà ancora a dismisura per farci uscire dalla crisi.

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  4. Buongiorno Professore,
    l’articolo è apprezzabilissimo perché il problema della eccessiva regolamentazione è il vero problema dell’Italia, quello che scoraggia le persone dall’intraprendere portandole piuttosto ad adagiarsi nella ricerca del “posto”.
    Ho trovato però una incongruenza quando Lei scrive: ” Ci vuole, come chiedono i Viaggiatori, un Ministero della Piccola che levi le competenze al Ministero dello Sviluppo Economico che tutela solo le grandi.”
    Non pensa che questo Ministero della Piccola finirebbe per introdurre nuove regole? La storia ci dice che è sempre andata così.
    Io, piuttosto, procederei selezionando a campione alcune piccole imprese, per sorteggio al limite, e chiedendo loro quali sono le norme più assurde con cui hanno a che fare.
    Io, per esempio, ne ho recentemente scoperta una che riguarda la Regione Lazio; non so se riguardi anche altre regioni.
    Nel Novembre 2012 è stata approvata una legge regionale che impone alle strutture alberghiere ed extra-alberghiere, compresi quindi anche i bed & breakfast di due stanze i cui titolari arrotondano lo stipendio affittando le stanze di casa propria, di comunicare periodicamente all’ISTAT i dati di arrivi e partenze. Orbene, si tratta di dati che la PA già possiede tramite le registrazioni presso le Questure che anzi sono pure più complete e da cui non dovrebbe essere difficilissimo estrarre i dati di interesse dell’ISTAT (ammesso che una utilità l’abbiano veramente). Che senso ha imporre una duplicazione del lavoro? Certo, forse per un grande albergo tirare fuori i dati dal gestionale ed inviarli rappresenta un costo trascurabile, ma per il piccolo che fa tutto a mano?
    Oppure che senso ha che il titolare di una piccola attività artigianale, dove magari si manda avanti tutto in famiglia, debba diventare un mega esperto dello smaltimento dei rifiuti, della sicurezza sul lavoro e via discorrendo?
    Che senso ha che un bar per mettere due tavolini sul marciapiede debba passare attraverso una infinità di pratiche da ripetere ogni anno?
    Che senso ha che uno per aprire una finestra in più a casa propria debba mobilitare un esercito di professionisti per ottenere l’autorizzazione anche quando si tratta di una casa di campagna isolata?
    Qui non ci vuole un’altro ministero, ci vuole solo buon senso

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    • Ottima domanda. IL primo compito del Ministero sarebbe chiedere una moratoria sulle regole per le microimprese. Lo scriveremo nel primo disegno di legge per le PMI.
      E le ribadisco, il buon senso va protetto: senza Ministero è destinato a rimanere senza senso.

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