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Small is beautiful, ma non in Italia

Finalmente qualcuno che ne parla. Dello Small Business Act (SBA) europeo del 2011.

Sulla Voce, va reso merito a Francesco Solaro di avere rotto il muro dell’omertà di un Continente che si ostina a dire il più delle volte che “piccolo è brutto”. Invece che dire che “crescere è bello”: apparentemente la stessa cosa, ma che invece tradisce una voglia di aiutare, sostenere e proteggere e non di abbandonare all’oblio le nostre piccole imprese.

Nato la bellezza di solo … 60 anni dopo quello statunitense, lo SBA europeo tuttavia non tira: malgrado qualche buon risultato  la sensazione è che non abbia lasciato una grande impressione tra gli imprenditori italiani. Dice Solaro:

Nonostante tutte queste novità e vantaggi, lo Sba non è molto popolare tra le imprese, come dimostra una recente indagine svolta dal ministero dello Sviluppo economico su un campione rappresentativo di mille imprese: poco meno di due imprese su dieci, pari al 18,1 per cento del campione intervistato, segnala di conoscere lo Sba anche se la quota risulta in miglioramento rispetto a quella (intorno al 7 per cento) emersa da un’indagine svolta dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne nel 2010. Le principali fonti di informazione sullo Sba sono rappresentate da internet (secondo il 58 per cento del campione), il commercialista (46,6 per cento) e le associazioni di categoria (27,7 per cento). Poco meno del 12 per cento delle imprese dichiara di conoscere lo Sba grazie alle azioni del ministero.

Tira negli Usa, eccome, ma non in Europa, lo SBA. Per una serie di motivi.

Primo, perché negli Usa esiste non solo una legge per la piccola, ma una istituzione, la Small Business Administration, che è di fatto un Ministero per la Piccola Impresa, come quello chiesto nel nostro Programma per l’Italia dai Viaggiatori in Movimento.

Secondo, perché gli interventi in America sono quantitativamente ben più significativi di quelli illustrati per l’Europa da Solaro: in primis il 23% degli appalti riservati alle piccole imprese, scelta assolutamente ancora oggi vietata in Europa.

Terzo, perché gli interventi in America sono qualitativamente ben più significativi. Negli Usa la regolazione, quella a maggiore impatto economico sulle piccole che sulle grandi, è bloccata immediatamente e sottoposta a riforma e revisione ad un tavolo di negoziazione assieme ai piccoli imprenditori.  In Italia, ci ostiniamo a inventarci norme ultronee, che non ci chiede nemmeno l’Europa, come il Sistri per i rifiuti pericolosi, trasformatosi da noi in incubo burocratico specie per le piccole che si applica a tutti i rifiuti indistintamente. E poi ci chiediamo perché le piccole non sentono lo SBA vicino a loro.

Quarto, perché, non è nel nostro DNA, quando invece dovrebbe essere la nostra preoccupazione quotidiana in questa recessione, la protezione delle piccole. Non lo è stata del Ministro Passera (Monti che confessa in televisione che non sapeva della legge annuale per le piccole imprese da presentarsi entro fine giugno di ogni anno ha qualcosa di clamoroso, malgrado l’onestà dell’ammissione) né di questo Governo, che pesca i soldi per coprire buchi di bilancio dai … già pochi miliardi stanziati per i debiti della P.A. da restituire alle imprese.

Lontano, molto lontano da quell’approccio a stelle e strisce che prevede che le imprese in causa con la pubblica amministrazione possano essere difese in giudizio da … avvocati della Small Business Administration. Perché …

“Small is beautiful because man in beautiful.” Da “Small is Beautiful” di E. F. Schumacher.

Grazie Francesco.

2 comments

  1. Nicola Evoli

    08/06/2013 @ 09:10

    Per mia formazione accademica desidero ricordare il peso della responsabilita’ degli imprenditori in un contesto di sviluppo citando il mio maestro Giorgio Fua’. Fuà ha avuto tre importanti maestri: Adriano Olivetti che lo assume nel 1941 in azienda e con il quale lavorerà fino al 1949 come consigliere economico; Gunnar Myrdal all’Economic Commission for Europe (1950-54) e Enrico Mattei all’ENI dove fonda l’Ufficio Studi (1954-62).
    Questi tre importanti capi, come era solito chiamarli, hanno fatto maturare in Fuà l’idea centrale dei suoi studi e lavori: l’imprenditore è innanzitutto un Leader: “la caratteristica di un imprenditore è dare un senso ed uno scopo al lavoro altrui. Gli imprenditori-leader non puntano solo al profitto ma amano il loro prodotto, sanno motivare i loro collaboratori senza autoritarismo, cercano di far crescere l’ambiente che li ha visti crescere“.
    Sono questi imprenditori ad innescare lo sviluppo economico, sociale, politico e culturale di una nazione. Quando sento certi signori in Confindustria oggi ho un certo disgusto…sanno solo chiedere allo Stato, fanno il coro a certi Sindacati e politici di piccola bottega.

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    • Molto interessante. E in parte condivisibile. Credo tuttavia che siamo in un momento eccezionale: i problemi di cui parlano gli imprenditori italiani oggi sono quelli di cui parlano gli imprenditori in difficoltà dei paesi in difficoltà. Non è questione meramente italica, questa crisi. E’ crisi sistemica e richiede risposte sistemiche.

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