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Non serve che gli austeri economisti italiani cambino idea per cambiare idea sull’austerità

Cosa ricorderemo di questa settimana trascorsa a dieta di blog? A me ha colpito (grazie Krugman) la (re)-intervista a quegli economisti britannici, venti se ho ben capito, che solo due anni e mezzo fa si erano coraggiosamente esposti sul Sunday Times per chiedere al governo britannico, al suo Ministro dell’Economia, l’austerità per salvare il Paese.

“… per essere credibile, l’obiettivo del governo dovrebbe essere quello di eliminare il deficit pubblico strutturale nel corso del mandato parlamentare, … con le prime misure da adottare sin dall’anno fiscale  2010/11“, avevano scritto, parole ben note a noi italiani, pronunciate così spesso anche nel nostro dibattito corrente dai pro-austerità.

Dopo due anni di Governo britannico che ha seguito quanto consigliato, e dopo che l’austerità ha depresso l’economia del Regno Unito facendo schizzare verso l’alto la disoccupazione e peggiorandone i conti pubblici, cosa pensano ora quegli economisti dell’austerità allora tanto raccomandata? Hanno cambiato idea?

Il New Statesman ha verificato proprio ciò. Con risultati direi molto molto significativi. Utili anche per il nostro dibattito interno.

10 dei 20 economisti non hanno risposto alla nuova inchiesta. Che problema avevano a farlo se ritenevano di confermare quanto scritto allora? Ma passiamo invece in rassegna le più significative affermazioni dei 10 che invece hanno risposto. 9 dei quali hanno cambiato idea (wow!), rimpiangendo di fatto di avere firmato la lettera allora e chiedendo politiche per stimolare la crescita con aumenti della spesa pubblica tramite investimenti pubblici (ampiamente tagliati dal Governo Cameron in questi anni di penuria). 1 solo economista non ha avuto problema a confermare la sua opinione di allora a favore dell’austerità (Albert Marcet, della Barcelona Graduate School of Economics, che ribadisce la sua contrarietà a espansioni via politica fiscale: “sono assai certo che non vi sia spazio per politiche di tipo keynesiano per incoraggiare la crescita nel quarto anno di una recessione”).

I nostri 9 eroi non sono economisti di poco conto. Ora che hanno avuto addirittura il coraggio del pragmatismo di cambiare idea, beh, sono diventati secondo me signori economisti (ma, francamente, a essere testardi e non cambiare opinione senza nessun problema a dirlo, ci vuole altrettanto coraggio, quindi onore delle armi anche a Marcet!). Ecco cosa hanno detto ai giornalisti.

Roger Bootle, Capital Economics: “se fossi il cancelliere dello Scacchiere ora, modificherei il programma, smetterei di tagliare gli investimenti pubblici e cercherei addirittura di aumentarli. Il punto chiave è provare a riportare il settore privato a spendere e per farlo ci vorrà anche un po’ di spesa pubblica per attivare la pompa …”

Danny Quah, London School of Economics: “il timore che il Regno Unito prenda a prestito a tassi troppo alti è divenuto ora molto meno rilevante … grazie ai segnali che ha dato la Banca d’Inghilterra che è pronta a immettere molta moneta … e ciò ha ridotto la pressione per una riduzione drammatica del debito pubblico come appariva necessario allora con una politica monetaria diversa … Ho cambiato opinione da quando firmai la lettera? Sì perché sono cambiate le circostanze rispetto ad allora.”

David Newbery, Cambridge University: “abbiamo bisogno di crescita, e ciò richiede investimenti. In una recessione che si avvicina molto ad una depressione, gli investimenti pubblici in infrastrutture, che hanno un buon rendimento anche in tempi buoni, hanno ragione di essere avviati

Michael Wickens, York University: “se il governo ha fatto un errore è stato quello di tagliare gli investimenti pubblici … e se ora spiegasse chiaramente una strategia (di finanziamento via debito di infrastrutture), credo che i mercati non farebbero aumentare i  tassi per questo indebitamento addizionale … che aiuterebbe”.

Tim Besley, London School of Economics, “Preferirei vedere le risorse del governo utilizzate in maniera specifica e ci potrebbero essere modi creativi per farlo. Per quanto mi riguarda, sarei a favore di un  focus maggiore di breve termine sul settore immobiliare”.

Costas Meghir, Yale University: “c’è una opportunità gigantesca di avviare progetti infrastrutturali importanti e miglioramenti nell’istruzione. Attualmente c’è tanto capitale e mano d’opera disponibile e a basso costo, c’è poco pericolo di spiazzare l’investimento privato e queste spese, ben progettate, possono avere alti rendimenti…”

Kenneth Rogoff, Harvard University: “sono sempre stato a favore di investimenti ad alti rendimenti in progetti infrastrutturali che incidono significativamente sulle prospettive di crescita di lungo periodo.”

Questi signori si aggiungono nello spirito all’ottimo commento ripreso il 18 agosto dal Corriere della Sera di Charles Wyplosz che immagino abbiate letto (sennò fatelo) e che parla di Europa nel suo complesso. Mentre è utile ribadire l’importanza del suo passaggio sull’austerità controproducente il cui contenuto i lettori di questo blog conoscono ad nauseam, fa specie come sia sfuggito ai titolisti del Corriere (“L’Italia … dovrà chiedere un intervento”) il punto principale del ragionamento dell’economista.

E cioè le condizioni legate all’intervento che l’Italia dovrà ricevere dall’Europa: “… dovremmo tutti concentrarci su come evitare di ripetere ancora una volta gli errori di un passato lontano e recente. La troika dovrebbe immaginare condizioni radicalmente diverse e la Banca Centrale Europea dovrebbe accelerare nella sua determinazione … a fare qualunque cosa serva”.

Condizioni cioè radicalmente diverse da quelle di austerità che spingono la Grecia fuori dall’euro, come diciamo da ormai quasi 1 anno su questo blog.

I due punti chiave che emergono:

1) assolutamente rifiutare l’intervento europeo che ci chiede di sottoscrivere la BCE se questo intervento condiziona i fondi per l’Italia alla stupida austerità. Altri argomenti contradditori per rifiutare gli aiuti (tipo: se accettiamo il piano, non c’è più bisogno di un governo tecnico e invece ne abbiamo bisogno perché solo Monti ci può salvare da una crisi nazionale che è politica, anche se per ora Monti fuori dalla crisi non ci ha ancora portato) li lasciamo come divertente lettura agostana da spiaggia.

2) se l’intervento europeo condizionasse invece le risorse al loro uso per stimolare, per l’Italia come per altri paesi, la domanda aggregata ormai depressa, ben vengano gli aiuti. Per fare questo, non abbiamo bisogno che 100 economisti italiani pro-austerità cambino idea (non lo farebbero mai, troppo ideologici sono i nostri colleghi, altro che stile anglosassone…): abbiamo bisogno che i 27 capodogli europei si sveglino e concordino di combattere una vera guerra.

Guerra che, come tutte le guerre, richiede coraggio, un pizzico di disperazione e tanta leadership: la guerra per la pace europea, che passa per politiche economiche che generino lavoro, occupazione, solidarietà.

8 comments

  1. Non so gli altri 26, ma a giudicare dalla recente nomina di Giavazzi quale super-consulente mi pare difficile che il capodoglio italiano si svegli dal coma profondo dell’austerità. :(

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  2. Bello , molto bello

    mi ha fatto venire in mente questo passaggio (lucrezia reichlin)’
    ma non si pensi che con un po’ di spesa keynesiana si esca dalla crisi . E’ vero che si ha bisogno di una politica a livello europeo
    di ripesa degli investimenti ma in italia bisogna fare di piu’
    bisogna cambiare il paese . ‘

    Solo che con riforme si intende sempre riallinearsi alla ^competetivita’ germanica^ tagliando i salari di un 20% e riorganizzando lo stato sociale in modo che costi di meno…
    (e sia utile per il compimento della politica sull’offerta…)

    Quindi se con un po’ di spesa keynesiana non esce dalla crisi(
    e con tanta spesa invece? ) con la politica sull’offerta e la deflazione dove si vuole arrivare alla disoccupazione al 25%
    ai giovani che emigrano in germania o australia…al formarsi
    di baraccopoli ai bordi delle citta’ abiatate da italiani che aspettano di uscire dalla crisi …(??)

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  3. Roberto Boschi

    21/08/2012 @ 19:59

    L’insuccesso delle politiche dell’offerta in GB (dell’austerità, chiamiamola così) è nei numeri: sono ripiombati nella recessione nonostante abbiano una Banca Centrale che allaga il mercato di liquidità e tiene basso il costo del debito (anche il cambio, ma quest’ultimo si deprezzerebeb da solo visto il perdurante deficit della bilancia corrente).

    Un recentissimo studio della soc Natix (http://cib.natixis.com/flushdoc.aspx?id=65457) avanza interessanti ipotesi a riguardo, e getta, secondo me, un bel pò di luce su molti interrogativi. I risultati dello studio sono riassumibili in due concetti.
    1 – Camerun si è mosso sicuramente “fuori tempo” (e qui si sarebbe ancora nel solco dell’interpretazione keynesiana perché i conti pubblici si rimettono in ordine, con l’austerità, quando l’economia è in crescita).
    2 – Ma il problema è, come dire, a monte: introdurre ulteriori misure lato supply side (-tasse per le imprese, meno regolamentazione, più libertà nei già liberi contratti di lavoro, riduzione della domanda pubblica e del peso dello Stato, blocco salari pubblici. diminuzione prestazioni sociali, diminuzione delle detrazioni fiscali, e forse mi scordo ancora qualche cosa) in una economia che già da 30 anni segue questa strada, (iniziata dalla Lady di ferro e poi tollerata, quando non proseguita, da Blayr) sta producendo effetti stutturali molto, molto deboli, sicuramente molto inferiori alle attese e non “rimette in moto” il meccanismo di investimenti privati. Soprattutto, non è sufficiente a re-industrializzare il paese.

    Ora, mi sembra che il “mea culpa” recitato da questi economisti pentiti si riferisca al I° punto di questa interpretazione, mentre, alla radice, rimangono convinti che sia quella intrapresa dai Conservatori la via corretta per l’aggiustamento strutturale. Il ragionamento che fanno, mi sembra, è il seguente: correggiamo le politiche di breve periodo, magari aumentiamo gli investimenti pubblici, “facciamo passare la nottata” attenuando la recessione e dopo il lavoro fatto lato offerta potrà dispiegare i suoi effetti e riportare verso l’alto la crescita potenziale.

    Ecco, forse è su questo secondo aspetto che bisogna riflettere molto, guardando soprattutto a noi.

    Io condiviso in pieno, caro professore, l’urgenza di porre uno stop all’avvitamento congiunturale. Sposo in pieno quindi i suoi accorati appelli a rimettere in moto gli investimenti pubblici, soprattutto nei settori dove abbiamo vantaggi competitivi “naturali” (a proposito: bellissimo l’appello per Pompei!), nell’istruzione a tutti i vari livelli. Ogni cosa che serve a trattenere ed aumentare il ns potenziale di competitività è una spesa ben fatta, non solo perché crea domanda, ma anche perché aumenta la dotazione di risorse del Paese.
    Però, oltre la contingenza, noi dobbiamo assolutamente porre un freno, invertire la rotta della deindustrializzazione: li si gioca il ns futuro!

    E siccome non siamo la GB di oggi, ma, forse, ci avvicianimo molto a quella della Thatcher nel 79/80, vediamo di imparare dagli errori da lei compiuti, prendendone i lati positivi.

    E’ indispensabile incentivare la “voglia di intraprendere o di continuare a farlo”!
    E’ eseziale ricostruire e migliorare di continuo il framework legislativo/normativo/ambientale dentro al quale si muove l’imprenditore
    Ma soprattutto non si deve, in nessun modo, perdere pezzi di industria perché, ce lo insegna la GB che proprio con la Thatcher lo ha permesso, una volta persa questa non ritorna più!

    Ecco, qui il ruolo dello Stato è essenziale: a costo (provocazione) di ricreare un’altra IRI!

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    • Ha ragione Roberto. Io credo che debba essere superata l’enfasi settoriale e spingere tantissimo su quella dimensionale (start-up, PMI). Che ne pensa.

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