Ogni tanto mi tolgo ancora soddisfazioni e mi vengono a dire che hanno accettato per la pubblicazione un nostro lavoro su una buona rivista internazionale. Questo lavoro mi è particolarmente caro perché scritto con Mauro Costantini e con Raffaella Coppier, una valente ricercatrice di Macerata con la quale ho condiviso anni di insegnamento indimenticabili nel mio quinquennio (ormai sono passati quasi 10 anni) nella meravigliosa terra marchigiana.
Cosa diciamo in questo lavoro? Partendo dall’osservazione che durante Mani Pulite si videro contemporaneamente un oggettivo aumento delle variabili che indicavano una più intensa lotta alla corruzione in Italia e un crollo degli investimenti, cercammo di creare un modello che generasse questi 2 risultati. Scoprimmo che erano possibili tre equilibri: uno in cui la lotta alla corruzione era radicale, le imprese investivano perché non dovevano pagare tangenti e l’economia cresceva vigorosamente, un altro in cui la corruzione era abbondantemente tollerata e ciò riduceva ma non scoraggiava completamente gli investimenti fatti dalle imprese (che pagavano mazzette) e riduceva, ma non annullava, la crescita economica.
Infine vi era un terzo equilibrio, meno evidente, che scoprimmo, dove “l’intensità del monitoraggio anti-corruzione non è ridotto a tal punto da giustificare l’investimento assieme al pagamento della tangente ma non è nemmeno alto a sufficienza dallo scoraggiare il burocrate dal richiedere la tangente per potere fare l’investimento.” In questo mondo non ci sono investimenti né crescita malgrado vi sia una lotta (tenue) alla corruzione.
Insomma, la lotta alla corruzione paga se determinata ed inflessibile, ma genera ritardi e decrescita (rispetto ad un mondo dove domina la corruzione e gli imprenditori sono certi di non essere scoperti) se fatta in maniera fiacca e tale da generare incertezza sulle conseguenze dell’infrazione. Un po’ come durante Mani Pulite quando l’attività economica crollò anche perché non era chiaro se la lotta dei giudici sarebbe andata avanti nel tempo o no o sarebbe stata arrestata.
Questa relazione non lineare tra crescita di un Paese e lotta alla corruzione l’abbiamo ritrovata nei dati, ed è un bene, ma assieme ad un altro risultato interessante, differenziato, una volta che analizziamo le 3 aree del Paese: centro, nord, meridione.
In particolare scopriamo che nel periodo tra 1980 e 2003, il Meridione si ritrova nell’equilibrio dove ad un aumento della lotta alla corruzione fa seguito una minore e non maggiore crescita; mentre nel Nord d’Italia è l’opposto. Ovvero: nel meridione la lotta alla corruzione prende la forma di un aumento delle attività antifrode ma non della sua efficacia e certezza. E l’unico impatto paradossale è quello di aumentare l’incertezza nel sistema economico e dunque di ridurre la voglia di investire da parte delle imprese.
Una seria lotta alla corruzione deve cambiare per sempre le aspettative degli operatori sulle norme che regolano lo scambio tra servizio pubblico ed impresa. Se e quando impresa e burocrati sapranno che non ci sarà tolleranza nel perseguire chi commette reati e pagare mazzette, allora la maggiore certezza spingerà gli operatori a scommettere sul futuro, sfruttare la riduzione dei costi e investire, generando crescita. Mere dichiarazioni d’intenti, passi lenti ed ambigui, leggi anti-corruzione approvate sì, ma senza entusiasmo, potrebbero creare addirittura maggiore danno rispetto ad un mondo dove è chiaro che la corruzione non verrà mai perseguita.
E allora la si pianti di tentennare e si dia al Paese quella immagine di forza e volontà di combattere seriamente la corruzione che tutti ci aspettiamo.
Presidente Monti, approfitti del caso della Regione Lazio, e spinga a mille, senza esitazioni, il momento è propizio come non mai. Una legge anti corruzione con massimi poteri all’Autorità Anti Corruzione e via.
25/09/2012 @ 08:27
Quoto, assolutamente in linea, ed in parole più chiare: se dici a corrotti e corruttori che li bastonerai ma il bastone non lo usi veramente…questi parassiti si ritireranno nelle loro tane per riemergere, magari con tanti progetti malsani in più, non appena le maglie politiche, istituzionali e mediatiche si riallargano appena appena… La più grande sfida è quella di “corrompere teste e cuori puliti affinchè intraprendano una lotta continua avverso il fenomeno corruttivo.”
Sandro Brunelli
26/09/2012 @ 07:57
Professore, non ho letto il suo saggio, per cui questa mia considerazione può essere poco attinente.
Tuttavia, dal post ho avuto l’impressione che Lei ritenga che ad avviare il meccanismo corruttivo sia il corrotto, il che non mi pare vero. O meglio, lo è in quella piccola corruzione in cui il funzionario pubblico può offrire un beneficio effettivo ad un comune cittadino o un piccolo imprenditore: è il caso di un certificato rilasciato subito, o l’avanzamento in una lista di attesa per una visita medica ecc. A volte a fronte di questa mini-corruzione il prezzo può anche essere pagato in natura (i classici “polli” di Renzo).
Ma la corruzione “tosta” l’avvia e la ricerca l’impresa, di medio-grandi dimensioni, che vuole ottenere non un piccolo beneficio amministrativo (figuriamoci se Impregilo – nome fatto assolutamente a caso! – si preoccupa del piccolo funzionario del piccolo comune) ma un vero, grosso beneficio economico: l’appalto che non avrebbe potuto ottenere!
27/09/2012 @ 21:01
Il tema della CORRUZIONE è intrigante. Anche se non ritengo la corruzione di per se negativa in assoluto.
In USA per esempio l’ influenza dei grandi gruppi (farmaceutici, petroliferi, aeronautici, militari) è rigorosamente normata mediante norme che disciplinano la azione di lobbying sul Legislatore.
Diventa negativa quando la corruzione è eccessiva rispetto alla ricchezza in generale che si produce: da noi la ricchezza che produciamo si riduce di anno in anno da almeno quindici – venti anni e le cause sono da ascriversi ANCHE alla corruzione, ma non solo. Per esempio è importante la mollezza, poca determinazione e scarso coraggio della ultima e penultima classe dirigente politica e non solo: poche scelte, spesso errate, poca visione di insieme, scarsa propensione ad agire sulle vere leve sociali del paese. In poche parole, la mia diagnosi è CLASSE DIRIGENTE di valore inferiore a quella degli anni 50 e 60. Da ciò deriva il ricorso alle scorciatoie e classicamente una di queste è la CORRUZIONE sia del pubblico ufficiale che del privato. Dalla CORRUZIONE che si cronicizza deriva poi un pabulum un terreno di coltura propizio ai gruppi associativi fatti di sette, arciconfraternite, logge e loggette, etnie egeografie varie fino a finire ed a sconfinare nella delinquenza e nella criminalità organizzata come camorra ndrnagheta e mafia.
Il quadro delle Regioni con lo schifo del Lazio è emblematico e secondo me bisognerebbe avere il coraggio di superare il modello regionale così come è stato costruito dai Costituenti e data la DRAMMATICITA’ della situazione ritornare ad un centralismo dirigenziale per esempio della SANITA’ cosiccome era negli anni 50 e 60. Bisognerebbe cominciare a pensare di svuotare province e regioni di funzioni importanti (in primis la sanità), centralizzarle ed attribuirle alla residua classe dirigente valida rimasta. Lo so è un rischio. Ma per vivere bisogna avere coraggio e rischiare, pena la scomparsa e la cessazione del nostro Bel Paese cosiccome noi lo abbiamo conosciuto. Continuare così senza correttivi VERI è morte certa ed in poco tempo.
Franco Russo