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La felicità di leggere il Corriere la domenica mattina davanti al caffè latte

Pare non sia una buona strategia scrivere 2 post a rotto di collo uno di seguito all’altro e oggi ho 3 tesi di laurea da leggere. Ma… Scusate ma almeno una notizia buona ve la devo dare.

Ah, che gusto leggere il Corriere della Sera stamattina davanti al caffè latte.

Perché i miei amici A&G scrivono: “bisogna resistere alla tentazione di usare i risparmi ottenuti riducendo una spesa per finanziarne un’altra, anche se qualcuno pensa che così si aiuterebbe la crescita. Ad esempio tagliare i tribunali per costruire nuove infrastrutture. Innanzitutto non è detto che così si aiuterebbe la crescita: e comunque l’unica strada per uscire dalla stagnazione in cui ci siamo avvitati è abbassare la pressione fiscale, incominciando dalle tasse che gravano sul lavoro“.

Qualcuno? Qualcuno? Oddio non sarà mica che A&G pensano al sottoscritto mi dico pomposamente. Per fortuna no. Basta sfogliare a pagina 2 e 3 del Corriere la interessante (sotto molti punti di vista) intervista del Direttore del Corriere al Governatore della Banca d’Italia per capire con chi ce l’hanno i nostri 2 compagni economisti. Eh sì, con il Governatore.

Che alla domanda di De Bortoli su come rilanciare gli investimenti in questo Paese, dice: “Un ampio progetto di manutenzione immobiliare dell’Italia, di cura del territorio, una terapia contro il dissesto idrogeologico. I soldi si trovano, mi creda. Si diano gli incentivi giusti, soprattutto a chi ha cura della messa in sicurezza dell’ambiente e della sua estetica. I terremoti, purtroppo, insegnano. Si faccia un piano, pubblico e privato, con il concorso dei fondi europei“. E aggiunge: “su scuola, formazione e ricerca bisogna investire di più“.

Scusate la grande soddisfazione. Finalmente la goccia scava la pietra. Vedete che pian pianino ci arriviamo. Per la prima volta il Governatore, al quale non abbiamo sempre riservato caldi commenti, indica la strada che (possiamo dirlo?) indichiamo da quasi 1 anno ormai. E’ una grande vittoria. Speriamo che Monti ascolti subito.

Per quanto riguarda A&G, che dire. Felice che dalle trincee siano scesi a più miti consigli ed adesso ammettano che “non è detto” che la politica fiscale non serva (anche se per ora chiedono la meno utile riduzione di tasse che la gente non spende perché ha paura)? Bah, mi interessa meno. L’importante è che Monti si sbrighi, non c’è tanto tempo. Ma la strada da seguire, finalmente, si comincia a vedere.

PS: una cosa gliela dico però a A&G. Supponiamo che ogni volta che lo Stato spende il 10% è spreco. Se taglio gli sprechi e la spesa scende da 100 a 90 (senza effetti recessivi), ho 10 da usare. Se metto quei 10 in nuova spesa, 1 sarà spreco (10%), 9 vera spesa che domanda alle imprese e dà occupazione e reddito. Scusate se è poco, ma io per quel 9 farei in questo momento i salti mortali, anche a costo di sopportare quell’1 di spreco. Spreco che pian piano sparirà nel tempo se la madre di tutte le riforme, quella della PA al servizio di cittadini e imprese, nel tempo, darà i suoi frutti.

7 comments

  1. Caro prof.,
    illuminatamente lei ha evidenziato che studi accreditati inducono a pensare che lo spreco sia dovuto più alla “incompetenza” che alla vera e propria corruzione (la quale in materia di public procurement incide poi sull’efficienza concorrenziale).
    Senonchè, questo evidenzia che la p.a. (che va assunta allargandola agli enti locali anche se lo sciagurato Tit.V Cost. ingessa possibilità di intervento simultaneo e omogeneo rispetto al livello centrale) si è impoverita di expertise.
    Ma perchè?
    Perchè il sistema dei livelli (al di là dei numeri sugli organici, complessivamente in linea con le migliori amministrazioni europee) è stato “drogato” proprio dai blocchi delle assunzioni (incidendo anche sulla possibiità di apporto di giovani motivati neoassunti).
    Cioè i numeri sono rimasti grosso modo bloccati (o in diminuzione rispetto agli anni 90) ma la pressione sindacal-politico-elettorale ha premuto perchè ci fossero i “passaggi di livello”, massiccie promozioni di dipendenti sottotitolati mediante corsi di riqualificazione a concorso interno (fermati dalla Corte cost. a buoi fuori dalla stalla). Ciò ha permesso al pubblico impiego:
    - di compensare le “stagnazione” dei salari reali (dovuta all’abrogazione della loro integrazione salariale-scala mobile) che è tipico effetto dell’integrazione europea assunta in mera dimensione vincolistico-valutaria, stagnazione che ha invece colpito il settore privato (e la domanda interna, e da 15 anni);
    - di registrare un’artificiosa copertura di posizioni decisionali delicate mediante gente impreparata alla nuova complessità e, anche per ciò, tra l’altro, sensibile all’input sussurrato sottobanco del vertice politico (le due cose sono in relazione diretta, notoriamente).

    Ora la “cura” viene individuata nella diminuzione delle p.o. in prolungato blocco delle assunzioni e nella mobilizzazione-precarizzazione del pubblico impiego, fregandosene del problema della qualità sostanziale dei livelli. Mmmmm…

    Anche la storica riforma della p.a., invece, richiede investimenti in personale qualificato e in aggiornamenti di mezzi operativi (possibilmente non in outsourcing, poco trasparente negli affidamenti- spesso prolungatamente emergenziali- e che, visto da vicino, si risolve in superflua depauperazione di ciò che, con le adeguate risorse interne, potrebbe essere prodotto con costi molto minori dalla stessa p.a. tradizionale).

    La “grande riforma” ha 50 anni di studi e bla bla bla alle spalle, ma quanto detto da Massimo Severo Giannini, tra l’altro sulla legittimazione dell’imparzialità e dell’efficienza in base all’expertise e a leggi di sistema puntualmente tradite (v. la riforma del ’93 reversed nel 1998, quando ancora muoveva i primi passi) , rimane ancora valido…(ci sono alcune norme disapplicate o previsioni di principio private di attuazione, anche per la prolungata emergenza “risparmistica”, gestita da ministri della f.p. scarsamente “colti” o motivati, che, a costo zero, potrebbero rivoluzionare quantomeno l’efficienza, non dico l’efficacia…).

    Comunque rendere efficiente la p.a. richiede spesa pubblica di qualità (cioè pensata e non improvvisata), ma se la spesa pubblica è tutta cattiva e i monti hanno “paura” di apparire ai giavazzi troppo miti nel tagliare, (anche perchè entrambi della questione non sanno praticamente nulla e agiscono in base a luoghi comuni induttivistici), la vedo dura…
    Il mio invito a dialogare in dettaglio rimane valido…

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  2. Forza Professore, pare che qualcuno la stia ascoltando o comunque che sia giunto alle sue stesse conclusioni (e non è un qualcuno qualsiasi)…

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  3. Buongiorno Professore,
    mi fa piacere leggere che si senta la necessità di una revisione seria dell PA e in generale della spesa pubblica.
    Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni io non sono un entusiasta della spesa pubblica come motore di sviluppo, ma allo stesso tempo riconosco che vi sono alcuni campi dove l’esperienza ha insegnato che lasciare all’iniziativa privata crea più problemi di quanti ne risolva. Un esempio che, come me, penso che Lei abbia frequentemente sotto gli occhi è l’Aereporto di Fiumicino, orrendamente gestito dai Benetton e soci – aereoporti del terzo mondo sono migliori.
    Da un punto di vista più teorico Le vorrei chiedere una cosa. Nella definizione di PIL entra appunto la spesa pubblica. Si usa la spesa perché, per i servizi pubblici, è difficile valutare il valore.
    Ma proprio in virtù del fatto che spesso vi sono servizi pubblici orrendamente gestiti e fonte di spreco (Lei parla del 10 %, ma forse è di più) non sarebbe forse il caso di pesare la spesa pubblica tramite indicatori di efficienza? Mi viene in mente, per esempio, che per la scuola si potrebbero usare i risultati dei test PISA

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  4. Professore, era una domenica di luglio e, per un giorno, volevo far finta di essere ottimista per non rovinarle il piacere del cappuccino.
    Sulla spesa e su molte altre cose sfonda una porta aperta, lo sa, ma sull’euro le divergenze, le oooo, rimangono.

    La prima “o” è la mancanza di democrazia con cui sono stati imposti l’euro e i trattati europei.

    La seconda “o” è perché i trattati sono sbagliati (favoriscono le oligarchie del centro e non c’è volontà di modificarli), l’euro è insostenibile (crea squilibri che è inutile correggere a valle mettendoci delle pezze) e la moneta unica sarebbe stata una delle ultime cose da fare.

    La terza “o” è perché, come se non se non bastasse l’euro, i massmedia stanno aizzando i cittadini dei vari stati gli uni contro gli altri, risvegliando pericolosi “ismi” che sembravano dimenticati, amplificando le voci di politici irresponsabili.

    La quarta “o” è che Monti, anche se lo volesse, non potrebbe fare quello che suggerisce lei o che dice Visco (aumentare la spesa) perché, se lo facesse, verrebbe direttamente la Troika a spezzarci la schiena. Ovvero: il cittadino italiano è escluso da qualsiasi decisione politica.

    Per questi motivi, dire che l’unificazione è un progetto a lungooooo termine è abbastanza diverso da dire che è di lungo termine.
    Per il momento mi accontenterei che tornassimo ad essere buoni vicini come prima dell’introduzione dell’euro che fa disastri e non solo economici.

    L’euro non è l’Europa e non è dio: ammettere i propri errori, eliminarlo e gestire civilmente l’uscita mi pare la decisione più ragionevole; fare un passo indietro è meglio che schiantarsi contro un muro, l’irreversibilità non promette mai nulla di buono.

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  5. E di Draghi che ha appena detto “Meno tasse e più tagli alla spesa” che dice?
    Io ho l’ impressione che ci siano alcune persone ad alto livello che cominciano a “capire” quello che lei e altri economisti dicono ormai da molto tempo, mentre altri, a livelli ancora più alti, continuano con le idee di rigore, taglio della spesa pubblica e diminuzione delle tasse.
    Ora non ci si può nascondere dietro a un dito troppo a lungo; si tratta di persone con competenze economiche pari alle sue, a quelle di Krugman etc etc e bisognerebbe fare delle ipotesi su come sia possibile che “non si rendano conto” di quello che è realmente necessario fare per il “bene di tutti” (bene di tutti che purtroppo ha dei costi che evidentemente qualcuno non vuole proprio pagare).
    Secondo lei Draghi o Monti sono semplicemente due signori che non riescono a capire o hanno altri obiettivi?

    Il fatto che Confindustria, il Governatore della Banca d’ Italia e altri comincino a considerare altre opzioni dimostra tutta la loro preoccupazione e soprattutto la consapevolezza che i fini perseguiti dai tecnici “trascendono” per la prima volta (sottolineato) i loro rivelando una linea di frattura (presente anche prima ma conflittuale solo da poco tempo) fra gli interessi di quelli che “producono” legati a un paese e a un territorio con quelli di chi è legato a gruppi sovranazionali e si occupa più di finanza che di produzione.
    Se ha tempo mi interesserebbe molto il suo parere anche su questo.

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    • Carissimo Marco,
      anch’io avevo espresso lo stesso dubbio (utilizzando una strofa di DeAndrè) sulle motivazioni che hanno spinto Confindustria a denunciare la “macelleria sociale”, a redigere un “bollettino di guerra”, a non credere ad “effetti espansivi non-keynesiani dei tagli ai bilanci pubblici”.

      Lo stesso vale per le dichiarazioni di Visco, ma anche per certe affermazioni della Mussolini, della Santanché e della destra in genere.
      E’ molto inquietante che simili opinioni vengano espresse da certi attori, mentre sono taciute, criticate e smentite dalla sinistra.

      Anche a me interesserebbe molto il suo parere in proposito, Professore. Naturalmente se ha tempo e se pensa che sia di qualche utilità.

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