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Il mercato del lavoro italiano ed il Grande Spreco

A Bologna a discutere del rapporto Prometeia sullo stato dell’economia italiana. Orrendo ovviamente: Prometeia conferma un tasso di crescita del PIL simile a quello di Confindustria: -2.2% per il 2012.

Ma partiamo … dagli Stati Uniti. Dove il paradosso è quello di una disoccupazione in calo ma in cui il rapporto tra occupazione e popolazione non riprende, rimane a livelli storici drammaticamente bassi per quel Paese (vedi grafico). Quello che succede lì (e che deve preoccupare Obama) è che gli occupati salgono sì, ma di poco: è la forza lavoro che diminuisce a trainare la diminuzione del tasso disoccupazione.

In Italia, il quadro è esattamente opposto. Come lì i nostri occupati crescono leggermente (+92000) ma la nostra disoccupazione sale (molto rapidamente, del 2% in 1 anno almeno, con quella dei giovani che sembra spinta da un acceleratore malsano di 9 punti percentuali. 9.) perché la forza lavoro si ingrossa: cresce il numero dell’esercito di coloro che cercano lavoro, addirittura di 612000 unità solo tra maggio e giugno (di cui solo poco più di un quarto circa è dovuto a regolarizzazione di immigrati)!

Nella precedente recessione ciò non si era avuto, spiega il rapporto: la forza lavoro era calata e ciò aveva aiutato a mascherare un disagio occupazionale che ora emerge in tutta la sua forza. L’aumento dell’offerta di lavoro riguarda uomini e donne e non distingue tra regioni italiane. Ma spicca l’aumento per gli “anziani” tra 55 e 64 anni, e le donne.

Eccoci al dunque. Perché questo andamento? Due possibilità secondo il rapporto. Prima causa, la riforma delle pensioni (sia per le donne del pubblico impiego sia per i recenti provvedimenti) che ingrossa le fila di coloro che cercano lavoro senza naturalmente trovare sbocco. Di nuovo, sono i giovani a spingere inutilmente sul pesante portone d’ingresso. A Prometeia si diceva che questo è un effetto temporaneo che non ci deve preoccupare più di tanto. Non sono d’accordo. Perché comunque siamo di fronte ad una dinamica di riforma pensionistica che durerà almeno un lustro e, secondopoi, perché nulla in questa crisi che è temporaneo può essere lasciato cadere come irrilevante. Il fenomeno d’isteresi, del fatto che shock di breve tendono a permanere nel lungo periodo, è gravissimo in questa fase: se un giovane non trova lavoro ora e per i prossimi 2 o 3 anni allora rischiamo di perderlo per sempre per scoraggiamento: il Grande Spreco, di cui parla Stiglitz.

Seconda causa. This time is different. Dopo 4 anni di riduzione del loro reddito disponibile le famiglie tornano sul mercato del lavoro: spesso per integrare il reddito del lavoratore a tempo pieno o per rimediare al licenziamento o alla perdita di lavoro per lo stesso. Non a caso mentre l’occupazione non cala calano le ore lavorate: questi nuovi lavori sono spesso part-time.

Insomma mentre nella crisi del 2008 erano le fasce più giovani e marginali a perdere lavoro, pare che qui trattasi del lavoro dipendente. Prometeia parla di segnali “molto negativi” e delbilancio “peggiore mai registrato dal dopoguerra, anche se non così diverso dall’esperienza dei primi anni 90 quando furono necessari 10 anni per recuperare il livello di occupazione pre-crisi”. E, … ovviamente, il Rapporto non pensa si possano ottenere effetti positivi dalla riforma del mercato del lavoro.

Qualcosa ci unisce agli Stati Uniti: viaggiamo su tassi di partecipazione (occupati su popolazione in  età lavorativa) magrissimi, sotto al 60%. Il Grande Spreco continua e ai giovani continuiamo a non dare speranze concrete.

Nessuna impresa investe in un paese che decresce a questi ritmi. Nessun giovane investe in capitale umano in un paese che sbarra le porte ai giovani. I capitali fuggono.

E’ tempo di aprire quel maledetto portone chiuso ai giovani. E’ tempo di coinvolgerli nel prendere mano il loro futuro, non è più il nostro tempo. Possiamo uscire da soli, gentilmente, e allora potremmo dare un contributo essenziale di guida, consiglio, strategia. Altrimenti ci cacceranno a pedate per questi 30 anni in cui ci siamo divertiti senza pensare a loro. L’unico modo per farlo in questo momento, in maniera concreta, è ridare crescita economica al Paese. Tutto il resto verrà dopo, l’emergenza prima. Su come farlo, lo sappiamo e non mi ripeto: fate entrare in campo l’unico attore che può evitare il Grande Spreco. Lo Stato.

10 comments

  1. “Nessuna impresa investe in un paese che decresce a questi ritmi.”
    Non sono d’accordo. Se il sistema fa le opportune manovre per eliminare le perdite (entrano 20 litri ma ne escono 25 da una fessura) allora il segnale puo’ essere buono per gli investimenti. Come quando trovi un’azione sottostimata di un’azienda che dopo la cura dimagrante è pronta a ricrescere. Si dice che è il momento buono per comprare. Chi investe non guarda certo solo al termometro della febbre. Guarda ai medici intorno al paziente ed alle potenzioalità del sistema paese, che sono enormi se riesce a liberarsi della classe politica (e imprendotoriale e sindacale( che nahho letteralmente sprecato l’occasione dell’euro. Ho trovato (non so voi) molto azzeccato questo articolo di Alfieri su La Stampa. http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461606/

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    • -8% investimenti 2012. I dati hanno questo di bello, che sono inequivocabili.
      Poi se vogliamo parlare del ventennio perduto (ulla, ora tutti sono diventati grandi analisti, peccato non esserlo stati 10 o 2 anni fa) possiamo farlo, eccome. Ma non c’entra nulla col problema di fare investimenti in una recessione causata dalle politiche economiche. Bisogna fare vedere il progetto: bisogna dare credibile ottimismo. Un’azienda non si salva col taglio dei costi, ma con la visione, la leadership ed i progetti. Poi a quel punto può fare anche i tagli dei costi, per carità.

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      • “Ma non c’entra nulla col problema di fare investimenti in una recessione causata dalle politiche economiche. ”

        Ok, ma aggiungerei “causata da politiche economiche sbagliate”.
        Il che non esclude che prima o poi qualcuno individui quelle giuste. Intanto cominciamo a vedere quelle sbagliate.
        La prova è nel budino: il 120% di debito su PIL significa che per decenni si è speso piu’ di quanto fosse legittimo far entrare nelle casse statali. Spesa clientelare, voto di scambio, corruzione non sono casuialità. Sono scelte politiche. Quello che non capisco è chi critica la direzione inversa che si tenta oggi di prendere. Cosa propone? Nuovi debiti? Nuova spesa? Nuove tasse?

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        • Oh no. Il 120% del debito PIL significa che il PIL non cresce da 10 anni . E non si cresce in parte per quello che dice lei, il che ovviamente non significa ridurre il debito ma fare le riforme, quelle giuste. In attesa che abbiano un impatto (10-20 anni per chi ha studiato il fenomeno della corruzione come minimo) consiglio di non stare con le mani in mano. Non nuova spesa, ma più spesa. Spero se ne sia accorto che il PIL crolla perché il settore privato non spende. Ecco, aspetta -come avviene raramente nelle economie di mercato ma a volte avviene- che qualcun altro lo faccia. E’ incredibile come non vogliamo imparare dalle lezioni del passato e capire che non esiste una unica ricetta per ogni possibile situazione e che dobbiamo essere pragmatici. Non è uno shock da offerta, è da domanda! E poi, bisognerebbe prendere atto anche che esiste nel PIl un trend di lungo periodo e uno di breve, ciclico. Quello di lungo lo si affronta con le riforme e queste si fanno meglio se la gente non è già infelice per le condizioni cicliche: una ragione in più per affrontare il problema ciclico e non aggravarlo e rendere impossibili le riforme per l’opposizione sacrosanta delle persone in difficoltà.
          Quando l’economia sarà uscita da queste secche sarà il tempo di ridurre la spesa. E fare a velocità della luce quelle riforme che nessun giornalista ha mai richiesto negli anni di vacche grasse della prima parte di questo decennio.

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          • Ma che pazienza che ha professore a rispondere a qualcuno che interviene criticamente per “sentito dire” (senza evidentemente sapere nulla delle dinamiche del PIL e della spesa pubblica) e senza aver avuto l’educazione almeno di essersi letto i numerosi post precedenti, in cui è spiegato molto bene sia l’effetto prociclico delle politiche di austerity sia la conseguente origine di questa recessione “indotta”, che nulla ha a che vedere col debito pubblico (e il livello della spesa pubblica) ma tanto con gli squilibri commerciali e conseguente indebitamento privato intra-UEM.
            Anzi, alla fine queste politiche stanno portando all’aumento scontato del rapporto debito\PIL e non riusciranno neppure a sfiorare il pareggio di bilancio nel 2014 (per non parlare del 2013)…Già si preannunzia che, per evitare il famoso aumento dell’IVA a luglio 2013 (come se fosse una cosa che dipende dal “tempo” e non da obiettivi deliberatamente prefissati) , faranno dopo l’estate una manovra da ulteriori 6,6 miliardi (il che ci garantisce avvitamento in recessione ben oltre i 3 punti)…

          • Beh Luca, ma i nuovi lettori mica si possono leggere tutto subito , sarebbe una vera austerity! E’ bellissimo avere nuovi lettori e interagire anche con loro, vuol dire che cresciamo e che possiamo ampliare il dibattito. Spero di vederla presto questi sono giorni affannati.

  2. Si, bisogna avere pazienza perché i cittadini votano anche se non sono economisti, anche se non hanno ricevuito scienza infusa e segreti rivelati, caro Luca B.

    Quanto al PIL che non cresce, e rispondo a Gustavo, come fa a crescere se la parte che potrebbe crescere (l’unica parte che puo’ crescere, quella che crea valore aggiunto) è soffocata da una burocrazia asfissiante (ma che importa, è “spesa” e quindi sacra!) e da servizi da terzo mondo?

    Avevo tempo fa dato un’occhiata ai bilanci VW e FIAT dello stesso anno scoprendo che tra l’utile prima e dopo le tasse per VW c’era una differenza del 19% mentre quelli FIAT si aggirano sul 50-60% a seconda degli anni. Chiaro che cio’ che rimane per gli investimenti (ed i nuovi modelli costano) al netto delle tasse in DE è notevole e gli permette di crescere mentre in ITA è troppo basso e porta al declino. Il privato non spende perhé non puo’ spendere. Come potrebbe farlo con il livello di prelievo fiscale italiano?

    Come imprenditore (nel mio piccolo e non in Italia, per fortuna mia) posso riferire un gustoso aneddoto (forse un mito o una leggenda) che riguarda un rettore di una prestigiosa facoltà di economia (immagino “macro”) che aveva ereditato da una vecchia zia un’edicola. Decise di gestirla lui ma dopo sei mesi era già fallita. Segno (lo dico con divertita simpatia) una cosa è essere economista ed una cosa è essere imprenditore e fare impresa (fare valore aggiunto). Diciamo quindi che quando si tratta di sapere come fare PIL posso chiedere milioni di pareri a milioni di imprenditori ma eviterei di chiederlo ad economisti. Bravi a descrivere le “dinamiche” ma quanto al “fare”, lasciamo perdere. Provate voi a gestire un’azienda in Italia e poi ne riparliamo.

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  3. Francesco: di nuovo distingua tra fattori strutturali e ciclici. La tassazione alta in alta in Italia c’è da tempo. Ed è un problema, concordo con lei. Ma il problema che morde ora è la mancanza di domanda e questa la stiamo causando noi stessi. Le imprese a causa di questa domanda che non c’è, chiudono spariscono. I numeri dicono questo.
    E quindi quando lei avrà fatto le riforme, saranno riforme per pochi rimasti.
    E’ come se io le dicessi, siamo in emergenza ho un paziente che sta morendo, lo opero con questo coltello da cucina e lei mi dicesse, no, dobbiamo aspettare che arrivi il bisturi appropriato, lasceremmo una brutta cicatrice. Certo, ma quando arriva il bisturi il paziente è morto.
    PS: concordo sul terrore che fanno gli economisti. Io però parlo con le imprese, giro l’Italia, e sono con noi. Soffrono e hanno bisogno di ossigeno, non di riforme. Anche quelle, ma nel frattempo…

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  4. Le ho replicato con una risposta (credo esauriente e comunque fatta con grande e sincero impegno) alla sua domanda su dove può trovare i fondamenti di economia che (a partire dalla teoria keynesiana e quindi anche dal moltiplicatore, che non è affatto “presunto”) le possano consentire, se vorrà provarci, di comprendere meglio la situazione e non farsi fuorviare da ragionamenti, rafforzati da una propaganda mediatica molto compatta, che alla fine ci “appaiono” empiricamente logici (al punto da sembrarci addirittura intuitivi).
    NOn è così e basta vedere quali sono gli effetti odierni dell’idea che in stagnazione occorra tagliare la spesa pubblica: la recessione crescente, fino al punto da diventare distruttiva della struttura industriale di base. E non servirà prendersela con la spesa pubblica (cosa che fa comodo solo a chi vuol tagliarla in base a un ben diverso disegno che salvarci dalla scarsa crescita e dalla disoccupazione).

    Come non servirà insultare gli economisti, dato che il problema (probabilmente “anche” degli imprenditori meno attenti , ma principalmente di tutti i politici) è stato ed è, semmai di non ascoltarli, di non voler ascoltarli.

    Nessuno nega la disorganizzazione e l’inefficienza ostentate da gran parte della nostra pubblica amministrazione, come pure l’eccesso di pressione tributaria, ma sono fenomeni anch’essi causati dalle stesse origini. Ma questo per capirlo, apparendo controintuitivo, occorre studiarlo bene.
    Se si fa questa faticosa operazione, applicandosi all’osservazione dei fatti e dei dati e non a semplici teorie astratte (come lei crede), persino le cause che ci appaiono più sicure sfumano nella loro presupposta importanza e scopriamo quello che NON è un segreto, ma una verità, davanti agli occhi di tutti. Almeno di quelli che vogliano accostarsi ad alcuni semplici mezzi di interpretazione accessibili a tutti.

    La realtà (anche nella sua “descrizione”) è per definizione un problema ermeneutico: “interpretare” correttamente richiede di mettere da parte la “precomprensione”, e non credere che ripercorrendo da zero riflessioni già compiute da chi le fa di mestiere (con grande fatica e passione) si possa andare molto lontano (anche Einstein dovette studiare Galileo e Newton). Tutto qui, lei stesso aveva colto l’ironia, bonaria, del riferimento al “segreto”.
    Spero che invece dall’allontanarla questo meritorio blog la induca (e glielo auguro) a leggere qualcosa di economia (e magari pure i post precedenti qui contenuti) e così voterà più tranquillo essendosi meglio informato…

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  5. Cosa c’è di ciclico e cosa di strutturale in questo “calo della domanda” in Italia? Premesso che la crisi di domanda non mi pare un problema mondiale (come siamo messi nei BRIC o nei paesi OECD a tripla A?) il problema italiano mi pare paragonabile alla sindrome della rana bollita. A poco a poco la spesa pubblica sale, le tasse pure, la produttività è ferma, si fa fatica (sempre piu’ fatica) ad arrivare a fine mese. Ma uno non nota nulla perché il fenomeno è lento, ventennale. E caso mai si arrangia con il sommerso. Ora questo aspetto del non arrivare all’ultima settimana o addirittura a metà mese mi pare strida con la sua affermazione che se i cittadini avessero piu’ soldi (per diminuzione di imposte) non li spenderebbero. No, chi fa fatica ad arrivare a fine mese li spende quei soldi. Eccome se li spende. Ecco che se (ho letto il suo articolo) mi avanzassero 100 non farei il terzo ponte ma diminuirei le imposte. Soprattutto io proporrei che il prelievo contributivo, oggi proporzionale ed elevato (33% per la previdenza e fino al 50% per tutti gli altri prelievi) avesse una certa progressività, in modo da salvare i redditi bassi.

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