Come è cambiato dal 2003 ad oggi il mercato del lavoro italiano?
A guardare questo grafico (fonte Istat), che mostra gli andamenti nazionali, per nulla.
In verde (scala di dx) il tasso di disoccupazione in Italia, dato dal rapporto percentuale tra la popolazione di 15 anni e più in cerca di occupazione e le forze di lavoro. Notevole il calo in meglio fino allo scoppio della crisi mondiale. ma nel 2010 siamo esattamente tornati a dove eravamo nel 2003.
Il tasso di occupazione 20-64 anni (scala di sx), in rosso, si ottiene dal rapporto tra gli occupati tra 20 e 64 anni e la popolazione della stessa classe di età per cento. Anche qui, grande miglioramento fino alla crisi, ma nel 2010 siamo tornati a dove eravamo. Una dinamica simile la mostra il tasso di attività (in blu, scala di sx), si ottiene dal rapporto percentuale tra le forze di lavoro (occupati o in cerca di occupazione) nella fascia di età 15-64 anni e la corrispondente popolazione, anche se qui l’andamento sembra meno legato al ciclo.
Se andiamo a vedere a livello di aree territoriali, con qualche differenza Nord e Centro replicano l’analisi mostrata a livello nazionale.
Quel che sconvolge assai il lettore attento è cosa è successo al Sud.
Le notizie apparentemente buone proverrebbero dalla linea verde: la disoccupazione durante il ciclo economico negativo è sì cresciuta, ma non ai livelli del 2003 (16 vs. 14%). Felicità?
Mica tanto. Un rapido sguardo al tasso di occupazione (rosso) e soprattutto al tasso di attività (blu) raccontano una storia ben diversa. Il tasso di disoccupazione al Sud è sceso nel settennio non perché sono di più gli occupati (come vedete sono meno) ma perché sono aumentati costantemente coloro usciti fuori dal mercato del lavoro regolare (gli inattivi), rinunciando a cercare occupazione regolare dichiarandosi disoccupati.
In questi anni dunque si va atrofizzando e incancrenendo il problema del nostro mercato del lavoro meridionale che, di fronte a prospettive di sviluppo scarse, reagisce, tuffandosi nel nero e nell’informale. Una malattia che non si cura rinunciando all’art. 18 o introducendo contratti più flessibili. Si cura con istruzione, imprenditorialità, sviluppo e politiche che rendano possibile l’emersione e la competitività di lungo periodo, come il supporto alle piccole imprese, le infrastrutture fisiche ed immateriali degne di questo nome, un sistema finanziario più vicino e presente.
07/02/2012 @ 23:03
è un po’ troppo politicamente corretto il titolo. In questi ultimi sette anni siamo riusciti a fare tanti tanti danni!