E’ diventata norma in Italia, ai fini anche della spending review, la possibilità per le stazioni appaltanti di fare gare autonome – senza aderire alle convenzioni stipulate delle centrali che aggregano la domanda pubblica – solo a patto che: “prevedano corrispettivi inferiori almeno del 10 per cento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip SpA e dalle centrali di committenza regionali.”
Una stazione appaltante che dovesse comprare telefonia al 5% in meno di una centrale di committenza dovrà acquistare presso quest’ultima, generando un costo per il contribuente.
Strano? Molto.
E non solo perché l’Anac in suo recente rapporto ha evidenziato come queste stazioni appaltanti virtuose esistono e gli sarà dunque spesso vietato di approvvigionarsi autonomamente.
Ma anche perché nel resto del mondo la presunzione è esattamente opposta: sono coloro che vogliono aggregare la domanda pubblica che devono dimostrare di raggiungere risparmi significativi per essere autorizzati ad operare. Negli Stati Uniti, i benefici minimi per ammettere il contract-bundling (l’aggregazione delle commesse pubbliche) per i contratti sotto i $75,000, devono raggiungere almeno il 10% del valore del contratto, per i contratti superiori ai $75,000, almeno il 5% del valore del contratto.
Come mai in America si è disposti a pagare un prezzo, un maggiore costo pur di non aggregare la domanda? Per capirlo, bisogna legare questa prassi all’altra utilizzata dal governo Usa, e vietata nell’Unione europea: quella di riservare gare pubbliche di appalto solo alle PMI. Ma non solo negli Usa: Brasile, Russia, India, Giappone, Cina, Messico e Corea sono solo alcuni dei non tanto piccoli Paesi che riservano gare solo alle piccole imprese o che le favoriscono nell’aggiudicazione permettendogli di vincere anche se fanno prezzi (leggermente) più alti delle grandi imprese.
Perché, vi chiederete? Semplice. Perché si sa che il procurement pubblico è lo strumento principe per generare la crescita delle PMI e che è al contempo spesso impossibile per le PMI vincere in gara quando ci sono le grandi imprese. L’unico modo è di riservargli l’accesso, solo a loro oppure di favorirle. Strumento di politica industriale, le gare pubbliche.
http://www.gustavopiga.it/2015/piccole-imprese-crescono-via-appalti-altro-che-riforme/
E non è neanche vero che riservando gare alle piccole imprese aumentino i costi delle commesse. L’economista Nakabayashi mostra come in Giappone rimuovere la protezione alle piccole imprese negli appalti pubblici porterebbe a conseguenze dannose per i contribuenti, con un maggior costo complessivo nelle gare. Perché? Semplice. Nelle gare grandi, a cui le piccole imprese comunque non partecipano, dopo la rimozione della protezione per le PMI si osservano meno partecipanti grandi (da 8.85 a 5.60 aziende) visto che alcune di esse si spostano sulle gare piccole, aumentando il costo medio delle gare grandi dello 1.03%.
Ma anche nelle gare piccole non va meglio. Sì, quando si leva la protezione alle piccole in queste vi è più partecipazione di grandi imprese, spesso più efficienti, ma vi sono anche molte meno partecipanti piccole che escono spaventate dalle grandi: nel complesso un’azienda grande in più elimina 1,56 piccole in media. E, in queste gare piccole, levare la protezione alle piccole finisce anche qui per aumentare i prezzi medi delle gare, dello 0.22%: levare la competizione delle piccole ha un effetto negativo più forte di quello positivo proveniente dall’ingresso di aziende grandi più efficienti. Lo studio suggerisce che il programma di protezione delle piccole imprese aumenta la partecipazione delle piccole di circa il 40% con effetti positivi sul costo delle commesse. Il che significa anche non proteggerle, come in Europa ed in Italia, riduce la loro partecipazione analogamente.
E i numeri lo confermano. In Europa le PMI generano il 58% delle ricchezza nazionale (del PIL) ma vincono solo il 29% delle gare: un indice di discriminazione del 29% (58-29) nelle gare d’appalto europee. In Italia, il Paese delle PMI, è straordinario che questa discriminazione sia massima, pari al 47%.
Non mi pare che il nuovo Codice degli Appalti faccia nulla per modificare questo trend. Se è vero che l’Europa non vuole aiutare le piccole, con perverso masochismo, lo faccia il Governo Renzi. Inserisca in ognuna delle 30 e più centrali di committenza un “Ambasciatore della Piccola” che, consultandosi con le associazioni di piccole imprese, abbia il potere di veto su quelle gare che sono scritte senza avere a cuore la partecipazione e la possibilità di vittoria delle piccole imprese. Gli Stati Uniti quest’Ambasciatore lo hanno, e la normativa europea non lo impedisce.
Un silenzio del Governo su questo tema sarà l’ennesima controprova (visto che da due anni Renzi ancora non presenta alle Camere il disegno di legge annuale per la Piccola Impresa previsto dalla normativa) dell’indifferenza del Governo per le sorti della Piccola Impresa in Italia, e dunque per le sorti del nostro Paese.