Eccoci qua, tutti a discutere della trattativa UE-Italia sui conti pubblici. Posta in gioco apparentemente enorme: la famosa promessa di Renzi-Padoan di soli 6 mesi fa che l’Italia avrebbe ridotto nei prossimi 2 anni il deficit sul PIL addirittura del 2%, con 30 miliardi circa di manovra complessiva.
In realtà è un gioco delle parti che stufa e deprime, noto a tutti.
L’Europa sa bene che è impossibile chiederli, non 30, ma nemmeno 3, perché Renzi è ormai in campagna elettorale e perché qualsiasi manovra di stile europeo, fatta di tagli a casaccio della spesa (e non di una seria spending review volta a migliorare la qualità e ridurre gli sprechi nell’intervento pubblico), distrugge posti di lavoro e basta.
D’altro canto Renzi sa che l’Europa non può perdere la faccia e dire semplicemente OK all’Italia: qualche letterina da Bruxelles dovrà accettarla e farà finta di dire sì.
Alla fine, l’Italia non farà nulla e l’Europa non chiederà nulla, ma sarà l’ennesima occasione persa, per non essersi concentrati su quanto serve a noi italiani d’Europa per rinascere: massicci tagli negli sprechi (quelli veri) per finanziare un altrettanto massiccio piano di investimenti pubblici (adesso lo vuole addirittura pure Draghi!) diretto ai giovani e alle PMI, i germogli più fragili ma dinamici della nostra società.
Resteranno pezzi di carta che diranno che il pareggio di bilancio è rinviato dal 2018 al 2020: numeri a casaccio che hanno però un devastante effetto su mercati e imprese, logorati da questa crisi. Questi si aspettano risposte di lungo periodo, espansive e di stimolo all’economia naturalmente, ma leggendo i prossimi documenti di finanza pubblica non troveranno invece che ambiguità e compromesso al ribasso che deprimono investimenti e imprenditorialità.
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