Qualcuno si è accorto che se gli appalti diminuiscono il PIL crolla. E’ Lorenzo Codogno che correttamente afferma su Repubblica:
“L’effetto positivo delle costruzioni, private e pubbliche, è amplificato da un elevato moltiplicatore, insomma sono uno stimolo formidabile per l’economia nel suo complesso“.
Non è solo il moltiplicatore a valle, ma anche a monte, in fase di approvvigionamento. Il Presidente ANCE nella sua relazione conferma i due effetti positivi per il Paese: “In Italia, il settore effettua acquisti di beni e servizi dall’88% dei settori economici – 31 settori su 36 sono fornitori delle costruzioni – rivolgendosi quasi esclusivamente alla produzione interna. Rilevanti anche gli effetti moltiplicativi innescati dalle costruzioni: una domanda aggiuntiva di un miliardo di euro nel settore genera una ricaduta complessiva nell’intero sistema economico di oltre 3 miliardi e mezzo di euro e quasi sedicimila nuovi posti di lavoro.”
E’ tuttavia singolare che la preoccupazione di Lorenzo Codogno nasca solo ora che il Codice degli Appalti ritarda l’attuazione delle gare, senza che menzioni che da anni queste gare sono andate declinando – anche con un Codice che “funzionava” – per colpa dell’austerità. Basta guardare il grafico ANCE e il trend che esso disegna, proprio negli anni della crisi, quando più sarebbero servite le gare pubbliche per non infognarci in questa crisi:
La questione dunque non è solo di “bandire le gare già pronte basate sulla vecchia disciplina“ ma di far ripartire, col vecchio o nuovo Codice, la macchina degli investimenti pubblici, con risorse che possono, nel lungo periodo, provenire da una vera spending review che questo Governo non avvia ma che, nel breve periodo, non possono che essere recuperate tramite una moratoria sul Fiscal Compact ed una esenzione degli investimenti pubblici dalla regola del deficit al 3% del PIL.
E poi si investe, si investe, si investe. Quanto? Dove? Lo faccio dire al Presidente ANCE, che avrà i suoi giusti conflitti d’interesse, che in questo caso non sono in conflitto con gli interessi del Paese e dell’occupazione di tanti lavoratori con basso grado di istruzione.
Quanto? “Secondo le nostre valutazioni sarebbe possibile mettere in campo 30 miliardi di euro nei prossimi 3 anni, attraverso l’utilizzo delle risorse esistenti e una rinnovata flessibilità per gli investimenti a livello europeo.”
Dove? “Il programma si dovrebbe basare su 5 priorità. La manutenzione ed il miglioramento delle infrastrutture esistenti per garantire il mantenimento di adeguati livelli di servizio e di sicurezza. L’accelerazione e l’ampliamento del piano di riqualificazione degli edifici scolastici. L’assegnazione delle risorse necessarie alla realizzazione del piano pluriennale di riduzione del rischio idrogeologico annunciato a novembre 2014. L’investimento sui beni culturali e sul turismo, come risorse da utilizzare al meglio per avviare, soprattutto nel Mezzogiorno, nuovi progetti di crescita economica. Ma è il quinto capitolo di questo piano quello che oggi assume una valenza fondamentale: il recupero e il risanamento infrastrutturale e sociale delle periferie delle nostre città. Siamo infatti ormai tutti consapevoli che è nelle periferie che oggi rischia di perdere la sua partita non solo l’Europa ma anche, forse, la stessa speranza che il modello di società occidentale, così come oggi lo conosciamo, vinca la sua guerra contro le forze uguali e opposte della xenofobia, dei nazionalismi e del fanatismo religioso. Se restano i luoghi dell’esclusione, del degrado e della povertà, le nostre periferie diventeranno la miccia da cui partirà la spallata finale al nostro modello di vita. Restituire dignità alle periferie deve diventare la vera emergenza del nostro come degli altri Paesi europei. Deve diventare, per usare le parole di Roberto Saviano “affare di Stato, centralità ossessiva della pratica della politica”. Un pensiero che condividiamo e che a nostro parere si deve tradurre in un grande Piano nazionale per le periferie da almeno 5 miliardi di euro gestito da una cabina di regia governativa che, insieme ai Comuni, individui non solo le aree a maggior rischio, ma anche le modalità di intervento da mettere in atto. È evidente che, in questa prospettiva, il settore delle costruzioni è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale.”
Ma se il Governo non si muove, nessuna gara partirà e il paese perderà il suo futuro.
23/08/2016 @ 22:00
E’ impossibile non essere d’accordo sulle 5 priorità indicate in questo post, certamente collegato al precedente.
L’edilizia è sempre stata il motore trainante dell’economia e quali interventi sono preferibili se non quelli che ristrutturano, recuperano e migliorano le opere preesistenti, quelli che, unitamente alla cura del verde pubblico, garantiscono il giusto decoro al nostro Paese?
Però tutto ciò è sufficiente in questo momento storico a garantire la necessaria spinta per far ripartire il motore imballato della macchina Italia?
La gente è impaurita e confusa.
Impaurita dai focolai di violenza che imperversano nel mondo vicino e lontano, impaurita dalle continue minacce, dagli ininterrotti ricatti che provengono dalle stesse Istituzioni europee che ci avevano promesso in tempi non sospetti, un futuro molto diverso dall’attuale.
Confusi perchè assistono impotenti all’invasione del loro territorio, alla perdita d’identità delle loro radici e tradizioni, al tentativo di uniformazione e omologazione razziale e sessuale dei loro coetanei ed alla globalizzazione selvaggia che in nome della modernità ha fatto diventare le nostre città dei veri meltin pot sociali.
Fino a quando il Governo non riuscirà a spezzare questo diaframma di sospetto che allontana la gente comune dalla politica, sempre più accusata di servire interessi diversi da quelli nazionali, non si riuscirà a nutrire speranza nel futuro, ed i meri tentativi economici saranno sempre destinati ad incocciare con quella paura che incentiva l’istinto di sopravvivenza e che neanche un eventuale quanto improbabile tentativo, coraggioso ed epocale, di ridurre drasticamente la pressione fiscale delle aliquote irpef riuscirebbe a cancellare.
24/08/2016 @ 17:18
Antonello, c’è una intuizione profonda che condivido nel suo testo. Questa paura non c’era 5 anni fa quando cominciammo il dibattito anti austerità su questo blog. E rileva alquanto.
24/08/2016 @ 12:49
Perché il governo non si muove?
Perché la sua missione è quella di curare il fallimento del paese, svendere quanto ancora pubblico a qualche gruppo italiano o estero, togliere una buona fetta dei risparmi degli italiani con tasse o salvataggi bancari.