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Cercasi leader europeo disperatamente

E così Draghi all’euro summit di tre giorni fa nelle slide disponibili (al contrario del testo dell’intervento http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2014/html/sp141024_1.en.pdf?3ce4091c3fa5a2cf312d4895e1f52dd8 ) ha dato rilievo evidente alla questione degli appalti pubblici per investimenti. Lo ha fatto in maniera retoricamente “positiva” nella penultima slide dove indica le 4 frecce che suo avviso deve scoccare l’arco europeo (monetaria, finanziaria, strutturale via riforme e fiscale), suggerendo che quella fiscale si dovrà nutrire di “investimenti pubblici assieme alla conferma del Patto di Stabilità e Crescita come àncora di stabilità. Lo ha fatto, ancora meglio, evidenziando in questo grafico il crollo della domanda pubblica avvenuto dalla crisi in poi.

Una retorica così diversa da quella degli ultimi anni, quella di un Draghi che si vede costretto ad ammettere che la domanda interna e l’economia europea non possono ripartire stimoli pubblici.

Il grafico evidenzia chiaramente come investimenti privati e pubblici sono crollati (la base 100 è riferita al 2008 ed ha il vantaggio di evidenziare meglio l’andamento nel tempo di ognuna delle variabili rispetto al suo livello di partenza pre-crisi) e come questa loro performance è alla base della stagnazione europea.

Un Draghi dunque rooseveltiano? Purtroppo non ancora, ed è un peccato, viste le similitudini tra questa crisi da cui non usciamo e quella che si trovò ad affrontare il Presidente americano dal 1933, uscendone alla fine.

Non è solo la differenza nell’uso della freccia finanziaria che segna un divario nelle politiche proposte: qui va ricordato che agli stress test della BCE, FDR contrappose ben più coraggiosamente e subito l’Emergency Bank Relief Act, che passò dopo poche ore di dibattito al Congresso, mettendo tutte le banche al diretto controllo federale e riaprendo una speranza sul credito che è assente nella nostra area euro dove le banche non prestano a debitori incagliati dalla crisi.

Non è solo l’enorme enfasi oratoria nella lotta contro la deflazione ed favore dell’inflazione che ebbe FDR, che si scontra contro la resistenza infinita e miope tedesca di oggi.

Fu anche una enorme differenza nell’uso dell’altra freccia, quella fiscale. Il grafico sottostante ricostruisce l’andamento pressoché delle stesse variabili usate da Draghi a partire dalla crisi del 1929, per un numero di anni simile.

Fonte: http://www.bea.gov/scb/pdf/2011/08%20August/0811_gdp_nipas.pdf

Cosa notate? Sicuramente come la crisi fu più forte nei primi anni negli Usa (a causa soprattutto del crollo della domanda interna) che in Europa oggi. Ma anche, noterete, come la ripresa si sia consolidata prima che da noi. La nostra, di recessione europea, che rischia di divenire più lunga e più pesante di quella di allora statunitense.

E cosa portò l’economia americana fuori dalle sabbie mobili? Quale fu la liana a cui si attaccò l’economia in fin di vita?

Lo vedete da soli. La domanda pubblica di appalti, sia beni correnti che capitali, sia spesa per forniture e servizi sia infrastrutture, che di personale nel pubblico. Metterle insieme non è solo dovuto al fatto che non sono riuscito a trovare il dato separato in poco tempo; è anche dovuto al fatto che spesso negli investimenti pubblici ci sono sprechi (Mose, Expo) e spesso nella spesa corrente c’è innovazione (acquisti di TAC, ecotomografi, stipendi per ricercatori e scienziati).

Draghi non se l’è sentita di aggiungere la spesa per stipendi per maestri, dottori, ricercatori, poliziotti, giudici - molti dei quali sottopagati e “sottostaffati” e sempre più sottopagati e sempre più “sottostaffati” per i tagli che continuano – né la spesa per beni e servizi al suo grafico. Era troppo chiedere, certo, immaginiamo le urla dei tedeschi nel caso l’avesse fatto.

Ma il messaggio è chiaro: questa Europa non ha capito nulla di questa crisi, continua a non capirci nulla, l’Italia continua a fare quel che gli dice chi non ci capisce nulla e tra poco nessuno capirà come mai l’Europa ha finito per morire, separandosi in mille staterelli dalle mille valutine. Ma così è. Ci vuole un leader, come FDR, e qui di veri leader scarseggia la materia prima ovunque in Europa.

Grazie a Giampaolo Galli

3 comments

  1. Massimo GIANNINI

    28/10/2014 @ 08:55

    Io non generalizzerei con il “questa Europa”, ma farei nomi e cognomi di chi continua a fare e votare provvedimenti che non portano né l’Italia né l’Europa da nessuna parte se non la disintegrazione.

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  2. Dostoevskij

    28/10/2014 @ 16:04

    Molto interessanti i grafici a pag 9.
    Se da un lato con un aumento del deficit nel biennio 2007-09 pari al 5.5%, il debito è salito del 13% circa, dall’altro la riduzione del deficit nel biennio 2011-13 dal 4% al 3% circa (quindi variazioni di mezzo punto su base annuale), il debito è salito di 8 punti percentuali (da 87 a 95).
    Se quanto scritto è giusto (chiedo a Lei prof. se lo è), sembra davvero difficile pensare che le politiche perseguite dall’area euro siano solo frutto di errori di valutazione.

    Sarebbe interessante valutare questi effetti paese per paese. Qualcuno ha pubblicato qualcosa in merito?

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  3. Ottima analisi, come sempre. Sulla sintesi finale mi permetto di dissentire. Una differenza sostanziale rispetto a quel periodo è (non le dirò “il debito pubblico pregresso”) il contesto sociale e “informativo”. Cioè, mentre allora una leadership lungimirante era condizione sufficiente (e l’ha fatto) per risolvere la questione, oggi se non c’è una adeguata partecipazione e condivisione dal basso” e “collaborazione tra i governi nazionali ” non si riesce a far “cambiare rotta”. Quello che voglio dire è che si parte dal “bottom-up”, per ottenere”top-down”, altrimenti succede quello che è già successo in Italia con Renzi: la leadership ripropone Alesina e Giavazzi, non Stiglitz e Krugman.
    Per fare questo è necessaria una contrapposizione sociale e politica al “partito unico della nazione”, che tra l’altro ricalca i dettati del pensiero economico neo-liberista.
    Altrimenti non se ne esce.
    Saluti

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