Ieri su Affari e Finanza con Mauro Marè.
L’articolo di Alberto Bisin solleva questioni condivisibili, richiama l’urgenza di una riforma fiscale in Italia per troppo tempo rimandata. La questione però è come realizzarla e come finanziarla, concretamente.
Il punto di partenza è che il livello del prelievo fiscale in rapporto alla ricchezza del Paese non solo è ormai troppo elevato ma, in un perverso operare, incide proprio sulla capacità di crescita del Paese. Un primo ragionare concreto, ossia coerente con il contestuale miglioramento dei conti pubblici, è dunque se sia possibile riorientare il sistema fiscale per favorire la crescita economica, senza turbare l’equilibrio del contratto sociale italiano con un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze, fatto questo che si ripercuoterebbe sulla stabilità del Paese e dunque sulla sua attrattività per gli investimenti.
La risposta è: certo. La proposta per l’Italia della nostra Associazione dei Viaggiatori in Movimento indica concretamente come.
Innanzitutto, è possibile e necessario modificare la composizione delle entrate (tax mix) con uno spostamento del prelievo dalle imposte dirette (lavoro e impresa) a quelle indirette e sui patrimoni. Come dimostrano in modo robusto sul piano empirico alcuni lavori recenti Ocse e FMI e la storia dei paesi dell’Unione Europea nell’ultimo decennio, uno spostamento da Irpef e Ires verso le imposte sui consumi e quelle ordinarie sui patrimoni (entrambe sono le imposte meno distorsive), anche a parità di gettito, può stimolare la crescita e rendere la posizione del nostro paese più competitiva.
Il recupero di gettito che si avrebbe con il prelievo sui consumi andrebbe ovviamente restituito alle famiglie non solo per la crescita ma anche per neutralizzare la regressività dovuta all’aumento dell’Iva: ad esempio, più che con una riduzione delle prime due aliquote Irpef – costosa perché beneficerebbe tutti i contribuenti – con un potenziamento delle detrazioni che maggiormente riguardano i redditi bassi, quelle legate ai bisogni fondamentali delle famiglie – quelle per reddito da lavoro dipendente, pensioni e per carichi familiari.
Tale potenziamento può essere ulteriormente rafforzato, senza mettere a repentaglio i conti pubblici e migliorando l’equità sociale, con la semplificazione del sistema tributario e l’allargamento delle basi imponibili tramite una drastica revisione del regime delle tax expenditures che appaiono spesso vere e proprie forme di sussidio a lobby e gruppi di interesse.
Tanto basterebbe al Paese per avviarsi verso una concreta riduzione della pressione fiscale a parità di gettito, grazie a una forte spinta alla crescita economica che viene dallo stimolo a investimenti e consumi.
Si può fare ancora di più concretamente? Certo. Individuare gli sprechi che vera spesa pubblica non sono, ma meri e costosi trasferimenti da onesti a corruttori, tramite una seria cabina di regia su appalti ed acquisti. Altro è possibile fare in materia di pensioni e sanità.
Ci sono altre risorse per un’ulteriore riduzione del prelievo? Si ma non con disavanzo o debito; resta allora ciò che si può ricavare da vendite mobiliari e immobiliari, dal recupero dell’evasione fiscale e da un piano di revisione della spesa – che però nelle diverse proposte resta ancora molto fumoso e trascura la qualità dell’amministrazione pubblica e le sue capacità organizzativi e manageriali.
Che fare di queste risorse addizionali? Chiedetelo al capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Olivier Blanchard, che di recente ha spiegato come lo stimolo di maggiore (e vera) spesa pubblica sia ben più espansivo in questa recessione di una riduzione delle imposte, che famiglie ed imprese risparmiano e non spendono.