Panebianco argomenta che “si fa presto a dire crescita”, che i partiti e le persone si dividono su cosa sia e come si faccia crescita. Può darsi. Ma a me pare chiaro che ci sia enorme divisione soprattutto su cosa sia il debito.
Lo dico perché continuo a sentir dire dappertutto che l’Italia ha un problema di debito (pubblico). Oggi il Corriere è ricco di testimonianze al riguardo, il corsivo di Giavazzi ed una lettera dei fondatori di Fermare il Declino.
Ovviamente non è vero che il problema italiano è quello del debito.
L’Italia ha un problema di debito sul PIL e non di debito. Decisiva differenza che ipocritamente si dimentica. Nessuna banca si preoccupa se una persona che ha un reddito di 300.000 euro ha un debito di 10.000. La stessa banca si terrorizza al solo pensiero di prestare quei 10.000 a chi ha un reddito di 30.000. Il reddito di uno Stato, che permette di misurarne la capacità di ripagare il debito, sta nella sua capacità di tassare e questa è funzione del PIL del paese.
La scarsissima forza del nostro PIL nell’ultimo decennio (tasso di crescita medio negativo!) fa sorgere il dubbio che l’alto rapporto debito PIL sia dovuto non tanto alla crescita del debito quanto alla scarsissima crescita del PIL. Per verificarlo basta fare un semplicissimo esercizio (grazie per l’aiuto ad Alessandro Girardi): dare una piccola “schicchera teorica” al PIL italiano di questi ultimi anni e vedere cosa sarebbe successo al rapporto debito-PIL a parità di tutto il resto se il PIL fosse cresciuto “un pizzico di più”, sempre di meno del resto d’Europa, ma un pizzico di più.
La parola chiave è “piccola”: se proponessimo variazioni irrealistiche all’insù del PIL non sarebbe esercizio onesto e credibile.
Abbiamo costruito due ipotesi alternative alla realtà (grafico “in blu”):
1) Tasso di crescita del PIL superiore dell’1% a quello effettivo nel periodo di crisi 2006-2011 (scenario “in rosso”).
2) Tasso di crescita del PIL superiore dello 0.5% a quello effettivo nel periodo 2000-2011 (“scenario “in verde”).
In ambedue gli scenari il rapporto debito/PIL diminuisce per effetto: a) dell’incremento del denominatore (ovvio); b) delle maggiore entrate (ipotizzando una tassazione media invariata); c) della minore spesa per interessi (ipotizzando un costo del servizio del debito invariato).
Ecco i grafici di cosa avviene al debito su PIL ed all’avanzo primario sul PIL, interpretabili comunque come scenari “pessimisti”, visto che malgrado la maggiore crescita noi non abbassiamo né la spesa pubblica né la spesa per interessi, cosa che con tutta probabilità invece avverrebbe.
Sulla base dello scenario 1) avremmo ottenuto nel 2011 un rapporto debito/PIL del 104% e un rapporto saldo primario/PIL del 3.6%; mentre con riferimento allo scenario 2), i due rapporti sarebbero, rispettivamente, 95% e 3.5%.
Perché abbiamo costruito questi due scenari alternativi? Semplice.
Confrontare la realtà odierna con il secondo scenario (+0,5% di PIL per 10 anni e debito su PIL odierno più basso di 25 punti percentuali!) lo potete immaginare come il costo del tempo perso in questo decennio di euro dal non avere fatto le riforme, che avrebbero realisticamente generato effetti strutturali e di lungo periodo (forse anche maggiori) sul nostro PIL potenziale come quelli che abbiamo immaginato (+0,5% di PIL annuo).
Chi dobbiamo ringraziare per questo spreco di 25%? Certo, i governi italiani che si sono succeduti. Ma anche una governance europea che ha nel primo decennio del XXI secolo ha ipocritamente richiesto solo e soltanto il raggiungimento del 3% di deficit-PIL, non indagando quei Governi che falsificarono i loro conti pubblici e certamente men che mai richiedendo in maniera forte e rigorosa quelle riforme che oggi sono diventate di botto così importanti. Ma anche i tanti economisti che in quel decennio hanno taciuto o plaudito alle scelte idiotiche di Bruxelles ed alla sua ossessione del 3%.
Confrontare la realtà odierna con il primo scenario (+1% dal 2006 e debito PIL odierno più basso di 15 punti percentuali!) lo potete immaginare come il costo del tempo perso in questa recessione dal non avere fatto politiche fiscali espansive a parità di bilancio (maggiore spesa finanziata da tasse) a supporto dell’economia bloccata dall’assenza di domanda aggregata, che avrebbero realisticamente generato effetti temporanei e di breve periodo (forse anche maggiori) sul nostro PIL come quelli che abbiamo immaginato (+1% di PIL annuo).
Chi dobbiamo ringraziare per questo spreco di disoccupazione e chiusura d’imprese sane avvenuto dal 2007? Non tanto i governi che si sono succeduti quanto una governance europea miope che non ha compreso la necessità di affiancare al bastone delle riforme la carota solidale del supporto temporaneo alle economie in difficoltà proveniente dallo stimolo della loro domanda interna.
Ora fate l’ultimo salto logico. Immaginate che a fianco delle politiche di riforma subito lanciate all’avvio dell’euro avessimo accompagnato, sin dal primo manifestarsi della crisi dopo l’affaire Lehman Brothers, una politica fiscale espansiva a supporto della domanda interna per smussare le asperità del ciclo economico. Sommando i due effetti avremmo avuto oggi un debito su PIL dell’80%.
Esatto, il livello tedesco.
Raggiunto senza parlare di riduzione del debito, minori spese o maggiori privatizzazioni: ma solo con la testarda ed intelligente sapienza di chi miscela bene la politica economica, dosandone gli ingredienti migliori al momento giusto.
E ovviamente questo esercizio passato dovrebbe insegnarci a predisporre un piano concreto da attuare immediatamente per il futuro. Un piano che combini lungimiranza di lungo periodo con coraggio di breve.
PS: Concludo con una postilla dopo la lettura mattutina del Corriere. E’ triste leggere oggi sul Corriere che il futuro dell’Italia, il nostro Paese, si risolve “non cancellando l’Imu” o “vendendo il patrimonio”. Ecco cosa fa l’erronea enfasi sul debito pubblico, come ha fatto nel primo decennio l’erronea enfasi sul deficit pubblico, ci fa guardare il dito invece della luna: ci fa perdere l’enfasi essenziale su cosa vogliamo esplorare, verso quali mete vogliamo viaggiare, che mondi vogliamo aiutare a costruire. Del Corriere di oggi trattengo invece come vitale e essenziale l’indignazione della figlia del Generale Dalla Chiesa per quella targa della via di Palermo intitolata a suo padre, mezza scassata e soprattutto non rimessa a nuovo. Ecco, io credo che sia possibile – e mi interessa lottare per -un mondo dove ogni giorno si sia capaci e vogliosi, in tempo reale, di sapere di tale degrado e porvi immediatamente rimedio. E, ovviamente, ”mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell’interesse dello Stato”. Questo, ovviamente, non l’ho detto io, ma il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
04/09/2012 @ 07:17
Purtroppo quel che è stato fatto in termini di politica economica in questi anni non è casuale, ma frutto di un preciso disegno. Guarda cosa stanno facendo alla Grecia!
04/09/2012 @ 12:55
Buongiorno Prof. grazie per l’articolo, la speranza che lei questi grafici li possa esibire e spiegare con la sua bravura in trasmissioni televisive di prima serata, tipo Ballarò in modo tale che anche le persone non addette ai lavori abbiano gli strumenti per guardare la luna e non il dito. Colgo l’occasione per chiederle a quanto ammonti la somma degli avanzi primari fatti dal 1994 ad oggi per ridurre il DEBITO PUBBLICO. Temo sia sbalorditiva: il rapporto debito/pil non è diminuito, in compenso sono precipitati in termini quantitativi e qualitativi i servizi che lo Stato dovrebbe erogare con le tasse pagate dai suoi cittadini.
04/09/2012 @ 14:57
Grazie mille. Vedrò di farle sapere!
04/09/2012 @ 13:09
Kenneth rogoff sostiene (e io non sono d’accordo) che un alto rapporto debito/pil, superiore al 100%, pone dei vincoli alla crescita dell’economia anche se si utilizzano le politiche fiscali corrette. Lei professore cosa gli risponderebbe?
04/09/2012 @ 14:57
Che dipende dai contesti, dalla leadership, dalla storia pregressa, dai detentori del debito, e da così tante cose che regolette magiche fanno un po’ ridere. Certo, è vero, che più è alto più è difficile. Ecco perché chiedo di usare politiche espansive ma senza aumentare il deficit. Per la Germania il deficit va benissimo.
04/09/2012 @ 17:14
A me non pare che ci sia troppa enfasi sul debito pubblico, tutt’altro direi. Lo sostengo perché molte persone mi pare non abbiano idea dell’ammontare di interessi corrisposti ogni anno dallo Stato. Al contrario quotidianamente tv e giornali sottolineano ripetutamente il problema della mancanza di “crescita”. Se il senso del suo post (almeno la prima parte) è che il dibattito pubblico italiano non pare in grado di spiegare ai più il legame vitale/letale tra PIL e debito, allora posso condividere. Posso condividere anche l’idea che alcune forze politiche cerchino di trarre vantaggio da una spiegazione parziale per mascherare insuccessi passati e suggerire pseudo-proposte (spesso imbarazzanti) per la ripresa futura. Non condivido invece il pensiero che gli osservatori più “attenti” (penso agli attuali ministri, ai promotori di Fermare il Declino, a Giavazzi, ecc.) non comprendano il nesso in discussione: non condivido al punto che mi sembra ridicolo che lei lo pensi, quindi suppongo di aver male interpretato. Infine, compreso banalmente che gli USA festeggerebbero per un debito pubblico pari al nostro in termini nominali, riterrei scellerato che allo stato attuale non si ponesse enfasi ANCHE sull’ammontare del debito pubblico: UNO degli ingredienti della ricetta per uno spread costantemente sopra i 400 p.b. che ci farà perdere l’accesso ai mercati nel medio (se non nel breve) periodo. Quindi si può dissentire sulle proposte per risolvere la situazione di crisi (e io ad esempio dissento dalle sue), ma considerare l’enfasi sul debito come il proverbiale dito del saggio mi sembra un concetto un po’ superficiale, almeno in questa fase economica del Paese.
04/09/2012 @ 20:47
Mettiamola così: secondo lei chi propone di vendere il patrimonio ha capito il nesso? Cioè vendere più immobili genera crescita? E perché mai? Secondo quale modello dell’economia innovativo della teoria della crescita? Oppure che minore spesa per interessi (e minori introiti da usi di spazio) abbassano gli spread? E perché mai? Secondo quale modello dell’economia?
Anche secondo lei lo spread è alto perché è alto il debito? Davvero?
E secondo lei il debito alto fa scendere il PIL? Per quale motivo? Secondo quale modello? Forse vuole dire la cattiva spesa pubblica o le alte tasse?
E’ proprio questo il punto: per 10 anni, sprecati, hanno detto che il problema era il deficit. Ora è il debito. Senza un modello che è uno e solo per evitare che si faccia l’unica cosa ragionevole per far ripartire la congiuntura, ossia politiche anti-cicliche, come insegnamo da 40 anni all’università, ma solo lì apparentemente.
Caro Marco, se posso permettermi, dissentiamo per favore su cosa fa ripartire il ciclo o cosa genera crescita di lungo periodo, questa sì che è roba seria.
04/09/2012 @ 23:59
Andiamo con ordine.
Anzitutto sì, chi propone di vendere il patrimonio (qui riferendomi a Fermare il Declino) ha perfettamente capito che da sola l’operazione non riduce spread e non porta crescita, almeno non in misura significativa, tanto meno strutturale. Per loro – che sono confidente il nesso debito/PIL lo abbiano ben chiaro – l’assunto di partenza è in effetti che il perimetro di intervento dello Stato nell’economia è troppo ampio. Certo, un modello svedese in Svezia funziona, ma in Italia ha portato a livelli di spesa da quasi-record OCSE, seguiti da pretese fiscali da record OCSE e una percezione della qualità relativa (al prezzo = tasse) dei servizi ricevuti da quasi-record negativo OCSE. Quindi sì, rispondo che c’è un problema di cattiva (e alta) spesa e alte (e cattive) tasse.
Il ragionamento allora diventa che è opportuno stimolare la crescita con un’operazione espansiva di riduzione di tasse. Ridurre la spesa, poi, sotto l’assunto di cui sopra non vanificherebbe gli effetti anti-ciclici. Perché la riduzione di spesa sarebbe ottenuta in larga parte con ricerca di efficienza, in parte con riduzione di interessi calcolati su un volume di debito ridotto dalle cessioni patrimoniali di partecipazioni di controllo e di immobili non utilizzati (o sotto-utilizzati).
E’ ovvio che lo spread dipende dalla prob. di insolvenza percepita dai mercati – dovuta più a sfiducia sulle possibilità specifiche di crescita dell’Italia o più a sfiducia sulla tenuta dell’euro? Se ne può discutere… -, che non ha forse nel livello di debito la prima delle cause ma una delle leve risolutive sì. Non mi dilungherei oltre, penso di essermi spiegato.
Gentile professore, forse avrà capito che simpatizzo per il programma e gli intenti di Fermare il Declino. Mi permetta allora alcune ultime domande:
i) c’è forse qualcosa che non quadra nel mio ragionamento iper-sintetizzato (qualcosa che palesemente mi sfugge: chiedo venia perché non studio economia)?
ii) secondo lei è proprio sbagliato l’assunto “spesa inefficiente”?
iii) se le risposte fossero “no”, allora le proposte di FilD meriterebbero ancora tutto questo scetticismo secondo lei?
Io dubito che ferme le assunzioni e i dati, i professori di economia possano posizionarsi su opinioni opposte. Se la sfiducia è invece sul merito politico, allora taccio.
Cordialmente
10/03/2013 @ 06:06
Abbiamo visto di recente la fine che ha fatto “fare per aumentare il declino”.
Gli stessi che volevano ricomprare monte dei fiaschi pulirlo e rivenderlo al mercato facendo pagare le perdite a noi cittadini e guadagnare i mascalzoni o banchieri tanto sono sinonimi.
05/09/2012 @ 07:27
Lo spread sopra i 400 p.b. significa solo che i “mercati” temono e scontano il rischio di uscita dall’euro.
10/03/2013 @ 06:06
Siamo andati a 500 e non è successo niente.
04/09/2012 @ 19:52
Salve professore, è da poco che la seguo (fine agosto 2012) e mi sembra di condividere quasi tutto di quello che dice perchè vedo che lei giustamente fa notare che si fa sempre enfasi sul debito pubblico piuttosto che sulla crescita per risolvere i problemi di questo Paese, ma vorrei farle due domande : 1) lei crede che la “leva” della crescita (espansione domanda pubblica) sia la più giusta solo da un punto di vista economico o anche da quello etico o meglio quale delle due variabili incide di più sui suoi ragionamenti “keinesiani” ?
2) Lei che ne pensa del “simulacro” della produttività come panacea di tutti i mali (spesso su diversi giornali ci ripetono anche certi sindacalisti questa cosa ) e che pur non toccando mai la prima diabolica leva della “spending review” , può incoraggiare la ripresa , abbassando i costi della produzione , favorendo le esportazioni e quindi alla fine (forse) anche il fatidico rapporto debito/pil ma…col rischio che freghino tanti lavoratori sia licenziandoli e deprimendo i salari oltre che dei privati anche dei pubblici come me .-(
Complimenti ancora per i suoi interventi e per come ci rende l’economia un po’ più semplice di certi tristi manuali
04/09/2012 @ 20:59
Antonino la prima domanda è bella. Né economico né etico o ambedue, le cose per me vanno assieme. Non sono un fan delle buche da scavare per poi riempirle nuovamente di sabbia anche se magari generano PIL, perché vorrei che l’azione del Governo miri a lasciare qualcosa di bello. Mi dirà che salvare dalla disoccupazione tanti scavatori di buche è cosa bella, ma io le dico che c’è sicuramente sempre qualcosa di più bello da fare con i soldi degli altri che far scavare inutili buche. Ecco perché sono a favore, etico ed economico, del taglio degli sprechi, che di fatto per alcuni è taglio di spesa di tipo anti-keynesiano.
La panacea di tutti i mali è la bellezza. Intesa come libertà di creare qualcosa di bello che lascia una traccia positiva. Ecco perché sono a favore della libertà d’impresa e mi piacciono così tanto le piccole imprese, che sono più vicine delle grandi a questa idea di bellezza, di invenzione, di ideale forte e di coraggio da avventuriero. Ecco perché sono a favore di uno Stato forte che impedisca le prevaricazioni a danno dei più deboli, le frodi ed il brutto. Dove non c’è questo tipo di stato, io credo, non ci può essere vera e libera iniziativa privata per la realizzazione di un progetto e dunque per una vita ricca di soddisfazioni per chi vi ambisce, e cioè per l’uomo.
04/09/2012 @ 22:10
Professore, Lei scrive
“Confrontare la realtà odierna con il primo scenario (+1% dal 2006 e debito PIL odierno più basso di 15 punti percentuali!) lo potete immaginare come il costo del tempo perso in questa recessione dal non avere fatto politiche fiscali espansive a parità di bilancio (maggiore spesa finanziata da tasse) a supporto dell’economia bloccata dall’assenza di domanda aggregata, che avrebbero realisticamente generato effetti temporanei e di breve periodo (forse anche maggiori) sul nostro PIL come quelli che abbiamo immaginato (+1% di PIL annuo).”
In questo punto mi sembra che Li entri incontraddizione con ciò che fino a quel momento ha giustamente scritto, ovvero che il problema è stata la mancanza della crescita. Moltissime aziende, soprattutto le PMI cui lei giustamente tanto tiene, sono state soffocate nei loro progetti di crescita proprio dall’eccesso di tassazione. Togliere alle aziende per dare all Stato soldi da spendere non mi pare un buon affare.
Piuttosto, dieci anni fa si sarebbe dovuto approfittare della situazione favorevole per operare un taglio sensibile delle tasse a favore del lavoro produttivo.
Il livello di pressione fiscale è oggi molto alto, non è che lo si possa alzare ulteriormente.
Lei una volta ha postato un interessantissimo studio, mi sembra di Confindustria che dimostra come una fetta consistentissima della “spesa pubblica” sia fatta in realtà di trasferimenti, pensioni e interessi sul debito. Ridurre i trasferimenti per interessi è possible attraverso azioni che convincano i mercati che l’italia ha intrapreso la strada giusta; altro non si può fare.
Personalmente, sentendomi io stesso “parte del mercato” Le dico che l’azione che apprezzerei di più sarebbe proprio quella di ridurre da subito i trasferimenti per pensioni che oggi rappresentano se non erro il 15 % del PIL.
Penso che un contributo di solidarietà ai pensionati attuali – che, ricordiamolo, percepiscono molto di più e più a lungo di quanto percepiranno i futuri pensionati con analoghe mansioni – pari al 10 % del totale, l’1.5 % del PIL, non sarebbe affatto operazione di macelleria sociale se realizzata attraverso una progressiva decurtazione dei trattamenti in essere superiori a una certa cifra (1500? 2000?) e a una seria revisione delle pensioni di invalidità.
Quell’1.5 % potrebbe essere diviso in tre fette: un terzo allo stato per finanziare spesa pubblica “buona”, un terzo come riduzione dei contributi versati dalle aziende, migliorandone così automaticamente la competitività sui mercati e quindi aiutando la crescita e un terzo come riduzione dei contributi pagati dai lavoratori aumentandone così il salario netto e quindi il potere di acquisto.
Io, come “mercato”, premierei un governo che facesse questo.
Ci sarebbe da sfidare l’ira dei sindacati, i cui iscritti sono attualmente in gran parte pensionati. Ma un’operazione del genere, ben spiegata, troverebbe certamente l’appaggio della maggioranza della popolazione
04/09/2012 @ 22:41
Grazie Vincenzo. In realtà la simulazioncina prevede stessa spesa e stesse aliquote (ma maggiore gettito).
Quello che lei dice riferendosi a 10 anni fa (tempi grassi) non mi vede concorde se la intende come operazione ciclica da fare allora. La riduzione della tassa sul lavoro deve essere decisione strutturale e non ciclica (in termini ciclici in espansione non diminuisce le tasse). Per esempio via riduzione permanente dei trasferimenti come dice lei. Non mi sembra una cattiva idea (molto dura!).
Intesa come politica ciclica ORA, il suo mix di politiche finanziato da minori trasferimenti (non minore spesa corrente buona) e magari anche da eliminazione sprechi mi trova consenziente: è una buona alternativa per sconfiggere la recessione e forse è + bilanciata della mia (agisce anche sull’offerta) che è sempre e solo basata su maggiore spesa buona.
05/09/2012 @ 05:45
Buongiorno Professore e grazie dell’apprezzamento.
Quando parlavo di ciò che si poteva fare 10 anni fa, o anche prima se è per questo, intendevo esattamente una manovra strutturale.
Che gli stipendi netti in Italia siano bassi è un dato di fatto, che il costo del lavoro per le imprese sia alto e tale da renderle poco competitiva sui mercati internazionali è altrettanto vero. Fare due più due a questo punto non è molto difficile.
Lavorando in una multinazionale questi fatti mi vengono sott’occhio quasi tutti i giorni.
Qualche anno fa il mio capo, cui a quell’epoca riportava anche la struttura francese (paese, la Francia, non certo all’avanguardia in termini di competitività), mi disse che il suo sottoposto in Francia riceveva uno stipendio netto più alto del suo pur con un costo complessivo inferiore. C’entravano pure questioni di meriti pregressi e di anzianità di servizio, ma francamente la cosa era assurda.
La riduzione dei trasferimenti è certamente cosa dura da fare ma a mio avviso è l’unica per risollevarci abbastanza in fretta e al minor costo possibile.
Se è vero, come scrive Keynes nel XII capitolo della Teoria Generale (l’unico brano di teoria economica che io abbia mai letto) che esiste il rischio da parte del privato di “finanziarizzare” eccessivamente il proprio investimento alla ricerca del profitto a breve a discapito di progetti a più ampio respiro, esiste parallelamente il rischio da parte dello Stato, o forse sarebbe meglio dire della politica, di indirizzare la spesa ai trasferimenti, più facili da realizzare e generatori di consenso.
Questo è il vero dilemma su cui occorrerebbe lavorare e trovare una soluzione
05/09/2012 @ 05:54
Aggiungo un’ultima annotazione.
Parlando di trasferimenti, le pensioni rappresentano sicuramente la voce più grossa e più visibile transitando esse per il bilancio dello Stato.
Esistono poi altri trasferimenti promossi dallo Stato che però avvengono tra privato e privato.
Emanare una legge, sotto pressione di una lobby, che richiede una qualche inutile certificazione all’impresa è anch’essa operazione che riduce la competitività
05/09/2012 @ 10:17
“Confrontare la realtà odierna con il secondo scenario (+0,5% di PIL per 10 anni e debito su PIL odierno più basso di 25 punti percentuali!) lo potete immaginare come il costo del tempo perso in questo decennio di euro dal non avere fatto le riforme, che avrebbero realisticamente generato effetti strutturali e di lungo periodo (forse anche maggiori) sul nostro PIL potenziale come quelli che abbiamo immaginato (+0,5% di PIL annuo).”
Buongiorno Prof, questa parte non mi è molto chiara, nel senso che non ho ben inquadrato il nesso tra riforme e crescita. D’accordo per lotta alla corruzione, snellimento burocratico, lotta all’evasione fiscale ed efficientamento della magistratura*, che però non sembrino interessare a tutt’oggi a nessuno, ma le riforme che abbiamo visto varare dall’attuale governo non si può dire che prima non siano state intraprese. Magari con una diversa intensità, ma limitazione del turn over e delle retribuzioni dei dipendenti pubblici, allungamento dell’età pensionabile e passaggio al contributivo per molti, flessibilizzazione del mercato del lavoro, tagli dei trasferimenti agli enti locali e riduzione degli accreditamenti per acquisti d beni e servizi da parte dell’amministrazione pubblica ci sono stati, e non in misura marginale. Essendo tutti questi però provvedimenti recessivi non credo che una loro intensificazione possa aumentare il PIL, come lei afferma peraltro in ogni post.
Cordiali saluti
*non so se esite una stima del pass trough tra “soldi recuperati” ed incremento del PIL o miglioramento dei conti pubblici, vedo che per non sbagliare vi siete tenuti su un ragionevole 0,5%
P.S.: mi rendo conto che probabilmente è un problema mio, la seguo con grande interesse, ma ormai quando sento l’allocuzione “fare le riforme” mi viene l’orticaria.
05/09/2012 @ 11:35
E c’hai ragione, c’hai.
MI domando che altro avrebbe dovuto fare un ipotetico governo italiano purchessia, una volta introdotto il vincolo imperativo del deficit pubblico al 3% e considerando che il debito superava il limite del 60% e dunque era “accettabile” nel quadro UEM solo se si presentava in una dinamica di intensa riduzione. Che in buona parte, fino al 2007 e allo scoppio della crisi, nei limiti degli obblighi assunti (non equivocabili e comunque sanzionati dal trattato) era stata perseguita.
Il limite del 3% oltretutto si accoppiava al piccolo particolare di un tasso di inflazione (originario e “tradizionale”) superiore a quello tedesco, creando immediatamente -in realtà trascinandosi dal 1996 per effetto del rientro nel “geniale” SME ristretto- tassi di cambio reale che diminuivano la competitività delle nostre merci e quindi un “leggero” problema (cumulativo) di deficit delle partite correnti e di conseguente indebitamento privato con l’estero.
Le riforme di “ieri” – in effetti qualitativamente omogenee a quelle di oggi-furono perciò compiute sotto la stretta necessità di non deprimere troppo la domanda interna. Cosa che oggi non è più tenuta da conto (anzi), dato che, in fase di crisi di insolvenza, si è deciso di privilegiare i “creditori” allarmati e dopo che avevano fruito di tassi reali attivi più che vantaggiosi, per farli rientrare anche senza pensare minimamente alla sostenibilità del metodo di rientro.
Anche se la commissione avesse consentito un deficit superiore all’Italia (come a francia e, ancor più, a germania che incrementò il suo indebitamento per fronteggiare il welfare delle riforme Hartz e consentire maggior competitività alle sue imprese esportatrici), proprio per sostenere la domanda interna, il problema dei tassi di cambio reale non si sarebbe attenuato e anzi acuito, dato il probabile “riscaldarsi” dell’inflazione e del conseguente svantaggio competitivo.
In sostanza, di fronte a un vincolo valutario stringente come il cambio fisso, un paese come l’Italia poteva solo fare politiche deflattive che passavano (e tutt’ora passano) per le riduzioni retributive (e in genere dei redditi non finanziari allargandone il concetto ai profitti, data la mobilità verso…il lussemburgo delle sedi finanziarie delle maggiori imprese). Non c’era e non c’è altra possibilità di crescita, in tali condizioni, che attraverso la riduzione dell’indebitamento con l’estero, la riduzione\eliminazione (moooolto difficile in queste condizioni valutarie) del deficit della bdp. Basterebbe analizzare le varie voci delle partite correnti, per comprendere come tutto sommato l’Italia se la sia cavata pure troppo bene a questi tassi di cambio reale e come il “monte salari” rispetto al PIL sia stato compresso comunque (mentre la quota profitti è rimasta inalterata).
Che dire? Politiche espansive avrebbero fatto bene al PIL nel breve periodo, ma sarebbero state sostenibili di fronte al peggioramento di conti e indebitamento con l’estero, cosa che avrebbe indotto conseguente spesa pubblica sia di salvataggio creditizio che di sostegno alla disoccupazione (accelerando in un secondo momento comunque la distrazione di risorse pubbliche dalla politica di spesa “produttiva) ?
Su questi problemi http://posta50b.mailbeta.libero.it/cp/ps/Main/WindLayout?d=libero.it&u=lou-ban&t=3273d1171859d123# .
Si veda in particolare la parte finale delle (note) analisi di Meade e sulla irrinunciabilità della flessibilità dei cambi finchè una integrazione-convergenza economica effettiva non consenta l’intervento di “istituzioni” comuni all’area di free-trade (non solo quindi la BCE e vincoli fiscali ciechi alle variazioni del ciclo).
Non a caso bankitalia ridetermina in uno studio lo spread “fisiologico” in 200 punti, precisando che l’attuale eccesso è dovuto all’aspettativa di insostenibilità dell’assetto euro (pervicacemente acuita dal fiscal compact) e dal conseguente afflusso di capitali sul debito tedesco in attesa dell’euro break (non evitabile con alcuna delle misure oggi ventilate)
05/09/2012 @ 11:01
Gentile professore, vorrei sottolineare un “piccolissimo” e direi “poco” influente particolare: il problema REALE è che un sistema monetario basato sul DEBITO è destinato a crollare prima o dopo, perchè la verità che andrebbe detta a tutti i cittadini è che la “moneta-debito” non fa altro che “rastrellare” denaro dall’economia reale, per dirottarlo nelle “manine sapienti” di chi (PRIVATI) gestisce/controlla la moneta suddetta. Il sistema in questione è pertanto “socialmente” SBAGLIATO dalla sua nascita, poichè nel sistema stesso non esistono i soldi per pagare gli interessi.
Dove li prendono gli stati i soldi per pagare gli interessi? Altre tasse, quindi rastrellando altre risorse dalle tasche dei cittadini….ergo è questo sistema monetario la vera malattia dell’Eurozona…… Come mai nessun economista di quelli che spesso si “divertono” a raccontare favolette in TV……non dice queste cose? Forse perchè se (come disse un noto industriale americano) i popoli conoscessero i giochetti (riserva frazionaria ecc…) che fanno le banche ed il reale funzionamento del sistema monetario (e nella fattispecie…..quello europeo basato su una moneta “farlocca” completamente priva di ogni copertura….se non di una montagna di debiti) scoppierebbe una rivoluzione ?? cordiali saluti.
05/09/2012 @ 19:28
Caro prof.
Ho alcuni appunti da fare e cerco di essere molto stringato.
1) Mi sembra che sia in corso un dibattito da bibliotecari bizzantini. Sembre che ci sia un paese reale e un paese dei libri.
Perchè se sulla carta tutto funziona, poi nella realtà abbiano una classe dirigente (industriale, finanziaria, politica e culturale) da “ceto parassitario” come dice Ricolfi. Che non è in grado di dirigere un paese (infatti è stato commissariato). Allora delle belle discussioni e ipotesi su quali gambe dovrebbero correre.
Il famoso detto se mio nonno aveva le ruore sarebbe stato una cariola, tradotto, se avessimo una classe dirigente come quella tedesca saremmo come la germania.
2) Se abbiamo esportato le industrie manifatturiere al punto che la gran parte dei prodotti di consumo provengono dal’ex terzo o secondo mondo. E abbiamo cominciato da ad esportare anche le industrie primarie dei mezzi di produzione.
Cosa ci resta da produrre?
Tenendo conto anche una certa saturazione dei mercati in occidente: casa, auto, frigorifero, tagliaerba, computer ecc. Ogni quanto dovremmo cambiarli per avere una crescita, tenendo conto che in “loco” non si produce più niente di questi beni?
3) Non le nasce il sospetto che siamo nella congiuntuta descritta dalla teoria delle catastrofi? Se una corda regge 150 kg, quando e arrivato al limite, se si posa sopra una mosca la corda cede. Tradotto, il teorema della crescita (in occidente, specifichiamolo) non regge più, nella migliore delle ipotesi (nei paesi più forti) IL SISTEMA è nella curva asintottica.
4) I teoremi economici valgono dentro un sistema economico-industriale dato. In Italia il Nord è dentro questo sistema. Ma il Sud dove esistono ancora le corporazioni, il sistema industriale/finanziario è praticamente inesistente cosa si fà? Fino al 1972 nel Sud si tentò l’avvio dealla industrializzazione progressiva, da allora si è fatto assistenzialismo e se vediamo il PIL del Nord e il Pil del sud vediamo l’abisso. Quello del Nord compete con i lander tederchi, quello del Sud se non ci fossero dei (pessimi) sistemi di sussidiarietà sarebbero a livello dei paesi arabi.
Questi mi sembrano i nodi gordiani dell’italia, e purtroppo qui le soluzione monetarie i teoremi e le strategie economiche possono fare poco. In questo senso mi sembra di vivere il tardo impero bizzantino dove (secondo la vulgata) con il barbari alle porte si discuteva del sesso degli angeli.
Cordialmente.
06/09/2012 @ 11:13
Concordo in pieno!
Vorrei fare un appunto che credo sia fondamentale.. quando un’azienda va male la colpa può essere in parte dei dipendenti, ma di sicuro se in testa c’è un dirigente incompetente e che pensa ad altro invece che al proprio lavoro, le cose non miglioreranno
Dico questo perchè si fanno molte teorie ecc. ma il grosso dei problemi italiani hanno origine in testa, nella classe dirigente, nei politici
Quest’estate ho affittato la casa sopra la mia a un politico molto importante..stando la sua casa più in alto (stavamo su una collina) quando la mattina facevo colazione in giardino sentivo periodicamente le sue telefonate..il suo iter era alzarsi leggere i giornali, poi chiamare i giornalisti e dettare gli articoli e dicendo cosa o cosa non potevano scrivere. Successivamente passava la giornata a sentire gli altri politici del gruppo e vi assicuro che non ha la minima idea di cosa sta capitando in Italia.
L’unica preoccupazione di adesso sono le coalizioni, non ha mai discusso di problemi ed anzi ha persino sostenuto che “abbiamo persino deciso di discutere per una coalizione con le altre forze politiche per dare un pò di respiro allo spread”!!!
Roba che se lo sentisse il gestore di un fondo di investimento miliardario o un imprenditore estero si farebbe quattro risate..avevo proprio l’impressione di sentire un sempliciotto che parla di temi di cui è totalmente all’oscuro.
E di queste “frivolezze” ne parlava tutti i giorni con tutte le persone con cui chiamava..non ho mai sentito parlare di problemi di spesa, crescita, deficit, debito, scioperi, lavoro, uscita di capitali dall’italia, investimenti ecc. ecc. ecc.
È stato deprimente perchè ho capito che “questi” vivono nel loro mondo fatto di “favole”
Detto ciò (sono stato abbastanza prolisso), sono dell’idea che o tagli la testa al toro oppure finisci incornato..non si può chiedere a chi ha rotto una cosa di aggiustarla
Cordiali saluti prof, è sempre un piacere leggere questo blog!
06/09/2012 @ 11:19
no momento..la crescita io la sostengo in pieno.. c’è calo di domanda..all’estero si esporta meno perchè abbiamo perso attrattività e non si investe nemmeno..o lo fa lo stato o ce ne vorrà per uscire da questa situazione..e con ingenti sofferenze per il tempo che ci metteremo
l’austerità non paga e non l’ha mai fatto..la storia insegna
il giappone dopo la bolla immobiliare ha passato una congiuntura negativa durata 20′anni per aver optato per l’austerità!
08/09/2012 @ 23:09
Esportare meno? Mi scusi ma gli ultimi dati del 2012 pubblicati dal Sole 24 Ore dicono esattamente il contrario. Le nostre esportazioni hanno tenuto, anzi sono aumentate dell’1,5%. La nostra bilancia dei pagamenti ha addirittura segnato un + ma questo anche grazie alla contemporanea riduzione del 5% delle importazioni. La saluto.
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08/09/2012 @ 23:04
Professor Piga… non la conoscevo prima di oggi, ma mai incontro fortuito fu più gradito. Non sono certamente un economista, sono solamente un appassionato di economia, e per le mie idee pensavo di essere un dinosauro in estinzione, invece vedo che un rispettato economista ancora va perorando quello in cui io ho sempre creduto. Grande giornata questa. Non sa quante battaglie ho già combattuto in altri siti, inutilmente, proprio sulla maggiore attenzione da dedicare all’argomento debito/PIL piuttosto che al solo debito. Tra l’altro, torno proprio adesso dal blog di noiseFromamerika, nel quale mi sono sentito in dovere di intervenire nel post dove Ludovico Pizzati ha inteso rispondere a questo suo articolo, travisandone però il contenuto, cosa che non ho mancato di far notare all’autore. Da oggi potrà annoverarmi tra i suoi più affezionati lettori. La saluto e la ringrazio.
10/09/2012 @ 08:57
Attenzione caro prof. Piga, precisiamo meglio: da un lato è mancata completamente una politica industriale (qui la responsabilità dei governi) e dall’altro le imprese non hanno pensato a innovare (sfruttando magari anche i vantaggi offerti dall’euro), tutti i loro profitti sono finiti nella finanza (responsabilità della classe imprenditrice), che insieme a corruzione ed evasione fiscale (altre responsabilità dei governi) hanno indebolito il tessuto industriale (ma anche il settore dei servizi) e di conseguenza la famosa produttività è scesa brutalmente (ma le ore lavorate dai dipendenti italiani sono mediamente le più alte d’Europa, circa 1744 ore annue contro 1411 della Germania). Ma ovviamente a chi è andato al governo per interessi personali non interessava tutto questo. E così il Paese si è trovato con “le pezze al sedere”. Ecco le ragioni (reali) della scarsa crescita del PIL (anzi della decrescita), con tutte le conseguenze. Senza considerare poi piani di investimenti e di sviluppo alternativi per la crescita del PIL, come per esempio quello per il turismo e la valorizzazione del patrimonio artistico/archeologico, quello della difesa del territorio e ristrutturazione delle infrastrutture (reti stradali, ferroviarie e marittime), per finire a quelli per il risparmio energetico e il miglioramento ambientale.
Un cordialissimo saluto.
10/09/2012 @ 09:04
Direi che se parliamo di lungo periodo, la sua analisi è precisa. Assolutamente.
10/09/2012 @ 15:55
Certo, caro prof. Piga, sono iniziative più per il lungo periodo, del resto è un analisi di lungo periodo, ma quello che sottolineo è un problema culturale, di cultura di sistema e, come Lei afferma in uno degli ultimi interventi, di vera presenza dello STATO per la collettività e non per interessi particolari. Ma come oramai è noto c’è stato invece una sorta di privatizzazione del pubblico, cioè lo Stato e quindi i soldi dei contribuenti sono stati usati per fini privati, strettamente privati. E la cosa più grave è che di fronte a tanto disastro e alle evidenti e colossali bugie, ancora non c’è una reazione adeguata (nonostante il suo blog e il libretto divulgativo “End this depression now” di Krugman).
Ancora cordialissimi saluti
10/09/2012 @ 16:46
A lei!
12/09/2012 @ 02:49
pardon, che se avessimo avuto più crescita, ecc. ecc. siamo tutti d’accordo.
ora, però: ho un debito di 120 e devo pagare ogni anno (diciamo) il 4% di interessi cioè 4.8.
ho un pil di 100, quindi se voglio fare politiche a parità di bilancio devo crescere almeno del 4.8% annuo (per mantenere il debito inalterato, figuriamoci ridurlo).
insomma, è palese che non possiamo avere parità di bilancio, figuriamoci deficit.
12/09/2012 @ 14:05
Non ci siamo proprio. Ma ora sto imbarcando, magari ne riparliamo.saluti
12/09/2012 @ 18:51
gli interessi sul debito vogliamo pagarli? se non vogliamo pagarli, allora chiaramente il mio discorso non ha senso. con i miei numeri, SE vogliamo pagarli, dobbiamo pagare 4.8.
il nostro pil è 100. pareggio di bilancio vuol dire spesa = entrate, indipendentemente dal livello della spesa e delle entrate (tanto 10% e 10% quanto 80% e 80% sono pareggio di bilancio). bene, restano fuori 4.8. da dove li prendiamo? deficit? così il debito pubblico aumenta, e con esso gli interessi. assumiamo una crescita del pil del 2% (già incredibile, ora come ora). l’anno prossimo quindi abbiamo debito di 124.8 e pil di 102 (nota: se il debito prima era il 120% del pil, ora è il 122.3%), ammettendo che non sia aumentato il tasso medio (imposisbile), ora dovremmo pagare il 4% di 124.8, cioè 4.992, cioè 5. immaginiamo di fare la stessa politica dell’anno precedente. è facile vedere così che il debito diverge a +infinito, e il rapporto debito/pil anche. è aritmetica.
10/03/2013 @ 06:13
Tutti a preoccuparsi del debito italiano ma nessuno fiata su quello ammaragano e su quello giapponese che hanno dimensioni siderali rispetto al nostro. ;^D