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Quando il Lussemburgo traina l’Europa: il monito di Confindustria

Trovo INCREDIBILE  che si parli così tanto del vertice per tanti versi interlocutorio di venerdì notte e non si parli assolutamente più delle verità del Presidente di Confindustria l’altro giorno alla presentazione del rapporto del suo Centro Studi. Non capisco. Il PIL 2012 al -2,4% contro il -1,2% già drammatico previsto dal Governo pochi mesi fa? La disoccupazione dall’8,4 al 10,4% in 1 anno e all’11,8% nel 2013? Il debito su PIL che sale perché il PIL scende? Perché nessun giornale ne parla? E’ fondamentale capire che le persone nel Paese stanno soffrendo e che bisogna venire incontro a questi problemi subito, non domani, sennò cresce lo scetticismo sull’Europa e la costruzione europea diviene sempre più fragile!

Ho avuto modo di continuare a leggere il rapporto del Centro Studi di Confindustria. Ve ne faccio leggere un altro pezzo (il tutto lo trovate qui), incredibile nella sua lapalissiana verità  a cui non siamo più abituati, cose che insegniamo da 30 anni all’università e che sembra che tutti abbiano dimenticato. Ecco cosa leggo:

Le politiche di bilancio dei paesi euro sono poco sensibili alle condizioni economiche. Ciò a causa di un inadeguato e non simmetrico coordinamento e per il prevalere dell’obiettivo della stabilità rispetto a quello della crescita. Negli anni recenti il coordinamento è aumentato notevolmente ma sempre in direzione di privilegiare il controllo dei conti pubblici, cosicché le politiche di bilancio sono risultate ancora più slegate dall’andamento dell’output gap. Da quando nel 2011 è stata concretamente avviata l’exit strategy degli stimoli all’economia la gestione dei bilanci pubblici è divenuta decisamente restrittiva. Invece, ci sarebbe molto spazio per politiche espansive nell’enorme sottoutilizzo delle risorse, tanto ampie da essere tipiche in molti casi di una situazione di depressione economica. Politiche espansive, o almeno non restrittive, sono suggerite dalla teoria economica; politiche espansive erano state annunciate e poi varate alla fine del 2008 quando, alla luce della lezione appresa dalla crisi del 1929, era sottolineata la necessità di promuovere misure di rilancio dell’economia. Anche accogliendo la tesi di quanti sostengono che la regolazione fine degli strumenti di politica economica per stabilizzare la domanda interna è inefficace se non controproducente, è certo che la politica di bilancio non deve avere carattere pro-ciclico: azioni di consolidamento dei conti pubblici non dovrebbero essere messe in atto nelle fasi di domanda aggregata bassa rispetto all’offerta e quando sono all’opera forze che già di per sé agiscono in senso restrittivo, come lo sgonfiamento delle bolle immobiliari, la riduzione della leva dei sistemi bancari e l’aggiustamento dei bilanci familiari.

Mamma mia, che portento queste parole in bocca a Confindustria. Ma c’è di più (e vi consiglio la lettura delle pagine 46 e 47). Guardate questo grafico:

Tranquilli. Sembra complicato, ma non lo è tanto. Allora: la linea celeste misura la gravità della crisi rispetto al potenziale dell’economia. Tanto più siete a destra tanto migliore è lo scenario di PIL 2012 rispetto a dove dovrebbe essere naturalmente. Vedete come sta messa male la Grecia tutta a sinistra: piena gravissima recessione. Ma anche l’area euro non se la passa tanto bene (EA12) e nemmeno la Germania che certo non è in recessione ma che cresce meno del suo potenziale. L’Italia è come l’area euro ma sono dati che non tengono conto del peggioramento di questi mesi: sarebbe ancora più a sinistra verso la Grecia.

La linea arancione misura la posizione fiscale del Paese guardando al deficit di bilancio in % del PIL al netto della spesa per interessi. Più salite, più è “austera” la politica. Più scendete e meno è austera. La più austera? L’Irlanda. Meno austero di tutti, il Lussemburgo. L’area euro (EA12)? Austera eccome. Italia e Spagna molto austere, molto più austere di Francia e Germania.

Ora Confindustria usa questo grafico per vedere se si stia o no facendo la politica economica “giusta”, quella che insegniamo in aula e che Confindustria ha ben descritto sopra: se l’economia va male, non si fa austerità (e ci si colloca dunque nel quadrante in basso a sinistra con segno rosa), se l’economia va bene si fa austerità per mettere fieno in cascina per i tempi duri e ci si colloca nell’altro quadrante con segno rosa, in alto a destra. Cosa notate? Beh ovviamente che il quadrante in alto a destra è vuoto perché… nessuno sta messo bene come economia di questi tempi. E il quadrante in basso a sinistra, direte voi? Quallo dovrebbe essere pieno di paesi, perché vanno tutti male, no? Eppure c’è solo … il Lussemburgo. Già, l’unico paese che fa la politica economica giusta in tempi di crisi è … il Lussermburgo.

E gli altri? Tutti nell’altro quadrante, in alto a sinistra. CROCE ROSSA COME: ERRORE! Cioè a fare la politica sbagliata, l’austerità in recessione!! E più la facciamo tutti, più è grave l’errore di ognuno. Ancora Confindustria:

Si tratta di politiche che, invece di stabilizzare il ciclo, stanno facendo avvitare su se stessa l’intera economia europea. Potrebbero essere giustificate a livello di singoli stati solo in presenza di consistenti politiche anti-cicliche sovranazionali, in modo analogo a ciò che avviene negli Stati Uniti. Ma così non è.

Già. Così non è. E anche se lo spread scendesse a 250, l’avvitamento dell’economia vanificherà le risorse che tale declino libererebbe (se mai avessimo voluto spenderle, come parrebbe ovvio).

Il dibattito proibito deve essere rivelato. Nei giornali, nei media. Parlate di questi dati, non mollate, alla fine diverrà ovvio riconoscere l’ovvio.

21 comments

  1. Il Lussemburgo continua imperterrito a fare dumping fiscale e finanziario…
    Il prevalere dell’obiettivo della stabilità su quello della crescita è scritto, per facta concludentia (significato sistematico delle previsioni in materia economica), nei trattati UE e Confindustria dovrebbe dirlo (se avesse veramente a cuore l’Italia e non il proprio interesse).
    Quando saranno effettuati tagli netti per ulteriori 10 miliardi (o solo 7, non cambia molto) della spesa pubblica, aggiungendo la inevitabile aliquota IVA +2% ( con la scusa degli spread, visto come stanno le cose a livello partner e vertici UE) e la recessione supererà (nella seconda metà del 2012) il 3,5%, saranno ancora contenti della riforma dell’art.18 e della riduzione del potere di acquisto (e dell’occupazione) degli impiegati pubblici?
    (E se magari la situazione “degenerasse” attueranno la delega fiscale con tagli a deduzioni e detrazioni irpef per i 16 miliardi previsti dalla manovra di dicembre…)
    Quanta inutile ottusità nell’accampamento degli Italiani! Usque tandem?

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  2. Complimenti per il sito prof, è un piacere per me leggere articoli chiari e coincisi come i suoi in tempi come questi. Mi perfetto di farle una domanda:”Alla fine diverrà ovvio riconoscere l’ovvio”, non crede che sia troppo tardi ormai? Voglio dire, se non se ne sono accorti finora, perché sperare che lo facciano nei mesi futuri?

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  3. Gentilissimo Professore-della-cui-pazienza-abuso,
    ho trovato un articolo (più che un articolo è un insulto all’Italia che Repubblica è lieta di farci arrivare) di Rampini, in cui tra l’altro si dice che “Se la Louisiana non regge la crescita della produttività della California, non può svalutare un “dollaro della Louisiana”. Perciò l’aggiustamento avviene in due forme: o la manodopera emigra in massa verso la California, oppure i salari crollano in Louisiana e la produttività sale, fino ad attirare investimenti che fanno risalire la competitività e il Pil locale.

    Più spesso accade un mix di queste due cose. Naturalmente c’è l’unione bancaria (una banca locale non teme un assalto agli sportelli: è assicurata da Washington) e c’è la solidarietà fiscale che trasferisce un minimo di aiuti dal centro alle periferie povere. Nulla funzionerebbe però senza una flessibilità interna che consente alla Louisiana di non essere eternamente una palla al piede della California”

    Quindi:
    EMIGRAZIONE e/o CROLLO DEI SALARI + un MINIMO di aiuti.

    Non so (non lo so davvero non è polemica) se ha ragione lei o Rampini, ma se quello sopra descritto fosse il modello a cui ispirarci direi che siamo già abbastanza Stati Uniti d’Europa.

    Per le politiche espansive sono perfettamente d’accordo, forse lo leggeranno i nostri nipoti sui libri di storia.

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    • Grazie Silvia, punto molto rilevante. In realtà non vedo grande scandalo in quanto dice Rampini. Il Nord ed il Sud d’Italia hanno passato momenti simili: grandi emigrazioni verso salari più alti che si sono pian piano interrotte con l’arrivo di grandi trasferimenti verso il Sud. La produttività ha infatti smesso di convergere nell’ultimo ventennio se ricordo bene tra regioni come aveva invece fatto negli anni 50 e 60.
      Direi a naso dopo avere letto qualche cosa che negli Stati Uniti nell’800 c’è stata una fase di una qualche mobilità via dagli Stati verso la frontiera ma nel 900 la mobilità è calata molto: la convergenza soprattutto nel manifatturiero (ma non nei non tradable) è avvenuta – e i trasferimenti sono enormi altro che minimi, come legge anche su questo sito – probabilmente anche per la mobilità delle imprese, maggiore che tra Nord e Sud d’Italia.
      L’unica cosa su cui non concordo è il crollo dei salari: se movimento d’imprese c’è stato questo ha fatto salire più rapidamente i salari degli Stati più poveri generando convergenza.
      Riassumendo, a regime: molti aiuti, convergenza non piccola con salari che crescono più rapidamente negli stati più poveri, bassa emigrazione.
      L’Europa avrà questo? Certo, con i suoi tempi. Rendere il paese più aperto agli investimenti diretti esteri dunque aiuta, ma prima di tutto cè bisogno di un humus comune. Che è messo in pericolo da mancanza di solidarietà. E dunque in questa fase di crisi, politiche espansive per aiutare i più poveri e i + colpiti visto che mancano i trasferimenti. E siccome niente centralizzazione federale fino a quando questo humus non si è creato ciò significa che giochiamo su una linea sottile dove gli aiuti devono trovare forme più dirette e meno invisibili come quelle oggi implicite nel sistema federale americano.
      Spunti molto interessanti, grazie.

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      • La crescita salariale USA, specialmente negli ultimi 40 anni, ha riguardato solo i livelli professionali più qualificati (su questo blog è stato pure illustrato da un bel post) e, per il resto, la risposta è stata invece la deflazione massiccia, e uniforme in tutti gli Stati, del lavoro non qualificato (mc jobs, camerieri e addetti…alle pompe di benzina). Cioè si è realizzata un riduzione della mobilità sociale a circolo vizioso (non estranea ai meccanismi di credito all’origine dei sub-prime).

        Quanto agli IDE in Italia: sono debiti in conto capitale e passività per profitti-interessi erogati all’estero incidenti sul CAB (che già di suo non se la passa tanto bene). La domanda è: ne avremmo veramente bisogno?
        Se si parte dall’idea che le tecnologie competitive sono da noi disponibili e, in effetti, in gran parte producibili in Italia, e che abbiamo un “territorio” tra i più congestionati del mondo (in cui semmai non sono da “creare” ma da aggiornare le fitte reti di infrastrutture), tutto si riduce alla crisi di liquidità e alle sue cause “strutturali” (non meramente congiunturali, come ormai pare chiaro).
        E allora, gli IDE sono solo una extrema ratio malamente correttiva (per le ragioni indicate) delle distorsioni recate dall’euro. Senza il quale, il livello degli investimenti nazionali -pubblici e privati- avrebbe ben potuto rimanere all’altezza della nostra competitività, vulnerata essenzialmente dai tassi di cambio reale in situazione di OCA (volutamente) imperfetta (come mostra molto bene De Grauwe).
        Allora gli IDE, presentati come vantaggio d’arrivo della deflazione salariale in corso (che con la spending review investirà di un’accelerazione anche il pubblico), in una situazione di calo della domanda indotto e di vincolo valutario senza senso economico, finiranno per essere il sistema di trasferimento all’estero (anche) dei profitti, riespandibili a seguito della obbligata deflazione interna (privati come siamo dell’aggiustamento naturale del cambio), dopo che i capitali sono già belli che emigrati…

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        • Perché dovremmo vietare gli investimenti diretti esteri? Mi sfugge così come mi sfugge connessione con “deflazione salariale in corso” o con l’euro. Esistono da sempre. Mica sono la soluzione, gli ide, anche perché se non ci sono la ragione è uguale a quella del perché non si fa impresa innovativa in Italia: burocrazie corruzione e mafia. Ma certamente aiutano.
          Attenzione a non pensare che in Italia esiste solo un problema di domanda aggregata.
          Sui salari reali in Usa, è vero il rallentamento è recente e evidente ma parlavamo di tendenza secolari, ed è across states.

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          • E chi li vuole proibire gli IDE? Dico solo che sono una cosa fisiologica in economie aperte(e si combinano variamente con gli investimenti di cui una nazione rimane capace) e una cosa patologica, se sostitutivi della capacità di investimento autoctona, in economie indebolite esclusivamente o essenzialmente da vincoli di cambio.
            E poi, un’economia in prolungato deficit bdp non si riprende per via IDE, dato che, proprio questo intendevo precisare, portano a indebitamento KA e a componenti passive della partita commerciale (profitti, interessi, persino i megaredditi degli executives che rimangono residenti all’estero tipo Marchionne). Alla fine dei giochi, come insegnano acciaierie, Ferretti, Ducati e presto molto molto altro, corruzione-burocrazia-mafia non fermano gli IDE quando si interviene su imprese appetibili ma indebolite dai costi comparati più alti per la sostanziale rivalutazione da euro.
            E allora, se già ora la decapitalizzazione delle nostre imprese le rende terreno indifeso di conquista (si pensi alle quotazioni di borsa raggiunte dall’intero sistema bancario), figuriamoci quando saranno realizzate appieno le “riforme strutturali” di aggiustamento deflattivo dei salari, congiunto agli abbondanti tagli occupazionali che ne sono lo strumento (cioè l’unico strumento di correzione degli squilibri commerciali determinati dai tassi di cambio reale in un’area a moneta unica ma senza convergenza dei tassi di inflazione, SPECIALMENTE perseguita da chi agisce per tenersi sotto al limite del 2%)….

          • Luca, tutto mi pare meno che gli ide in questo momento (e da almeno 1 decennio) Italia siano fisologici e sostitutivi. Non ci sono perché il nostro paese non rende facile fare impresa, estere o italiane che siano. E dio sa se farebbero bene, italiane ed estere che siano, in questo momento. Se sono buoni ide altro che indebitamento, portano crescita ed occupazione.
            Che poi esse vadano incoraggiate all’interno delle giuste riforme che facciano forte la PA, forte le nostre PMI e le nuove imprese, forti i riconoscimenti di produttività a chi li ha guadagnati è altro discorso, su cui concordo.

  4. Quello che non va nell’ultimo decennio è la caduta degli investimenti (pubblici e privati).
    Sulla “carenza” di IDE, ne riparliamo quando il “saccheggio” prossimo venturo (a cui mirano in definitiva le politiche di governo attuali) sarà evidente a tutti, più di quanto non lo sia già ora (certo bisognerebbe ragionare su dati e variazioni recenti)….e sicuramente non con una occupazione aggiuntiva e magari qualificata rispetto a quella che avremmo potuto sostenere se non fossimo stati vincolati dai tassi di cambio reale-indici di competitività a origine meccanismi euro, e dalla conseguente crisi di liquidità da deficit prolungato, al netto del ciclo, Questo fenomeno UEM accentra, ora e drammaticamente, la capacità di investimento nei soli paesi che attirano capitali per via della svalutazione interna ( e accumulo di attivi commerciali).
    Questi paesi, presto, trasformeranno il pregresso credito ai debitori-bdp, (finora per autosostenere le proprie esportazioni). in shopping diretto dei controlli societari e politiche industriali integrate ai propri interessi nazionali, con buona pace di reale sviluppo, crescita e livelli occupazionali alternativamente possibili in situazione di competitività interna (=tassi di cambio nominali flessibili)

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  5. Fabrizio Padua

    03/07/2012 @ 14:09

    Sono d’accordo nel ribadire e insistere sul punto delle politiche espansive, l’articolo di qualche giorno fa su come si è mossa la Corea del Sud è stato per me (non economista nè esperto del tema) illuminante.
    Propongo di lanciare un manifesto che in 10 punti semplici e chiari suggerisca i passi da fare per spiegare che questo è il momento nel quale si deve aiutare la crescita in tutti i modi possibili, dando priorità alle azioni che danno ritorni a breve non fra dieci anni.
    Giusto per fare un richiamo al gergo usato nelle multinazionali americane i termini che vanno molto di moda in questi mesi sono: incremental revenues, out of the comfort zone…

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  6. premesso che gli inteventi di Luca sono eccellenti

    Penso che qui (quasi tutti)qui amiamo berlino e (anche) il film di wenders…pero’ oggettivamente l’euro cosa ci ha portato?
    direi che è riuscito a fare emergere i lati peggiori sia nei paesi
    euromed che in quelli core…
    Che l’euro ora ci costringa alla delfazione (riallianemento interno obbligatorio ) mentre in germania c’è la piena occupazione (o comunque il record di occupazione ) è ricolo
    e paradossale …quanto almeno al fatto che non si possa piu’ fare politica perchè piu’ o meno bisogna seguire le indicazioni delle grandi banche eruopee (come db che conosiglia di privatizzare le municipalizzate in italia nonostante e dopo il referendum….) Bisognerebbe pensare oggettivamente alle conseguenze dell’eurozona —-perchè chieramente con se il tasso di cambio reale è sfavorerevole nella eurozonaitaliana
    è evidente che non ha senso produrre e investire in italia
    oltre al fatto che il paese impoverisce per insufficiente crescita…

    MA ancora piu’ banalmente come si puo’ immaginare un mercato unico senza una forma di riequilibrio e ridistribuzione
    che non concentri le risorse(e il lavoro) nelle zone piu’ competitive , impoverendo le zone meno competitive
    In francia difendono con i denti tutte le loro aziende e loro lifestyle in germania le aziende fanno sistema con i lander le banche la politica locale in italia questo non avviene e si poteva
    gia’ immaginare che il mercato comune avrebbe reso piu’ fragile il tessuto produttivo…

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    • Buona domanda Rob: e vedo la luce. L’euro ci forza a cambiare, a prendere di petto i problemi dell’Europa. Quali? Non tanto quelli economici, ma quelli culturali, prioritari rispetto ai primi. E’ una grande opportunità. La crisi ci forza al dialogo, e questo è un bene. Finita l’epoca della finta o superficiale cooperazione. Così si cresce, confrontandosi. I suoi riequilibri vengono dopo, in automatico. Non c’è possibile riequailibrio se prima non c’è comprensione e unità.
      Lo so, lo so, è un dialogo squilibrato. Ma quando mai un dialogo è stato paritario. Preferisco un dialogo squilibrato ad un conflitto e ad una invasione di carri armati.
      Grazie, vedo la luce.

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      • Caro Prof. Piga,

        per la stima che hanno per lei persone che stimo (e per la simpatia che provo leggendola), mi sento di dissentire : personalmente non vedo nessuna luce. Anzi.
        A voler trascurare le arti in Grecia dal 500 a.c., il diritto e l’ingegneria in Italia a partire dal 300 a.c., la letteratura in Germania a partire dal 750 d.c. (un glossario bilingue latino-tedesco), come si può pensare all’integrazione di
        culture tanto diverse e formate con percorsi tanti differenti che di più non sembra possibile.
        Le culture sono come la vegetazione : ogni clima ne favorisce tipi differenti. Se vogliamo avere piante simili in contesti climatici estremamente diversi il minimo che può capitare è che l’esperimento fallisca. Se, per assurdo, il successo arridesse all’impresa, il disastro sarebbe ancora peggiore : ci saremmo privati di tutte le piante dei climi più caldi (e anche i paesi dei climi freddi se ne lamenterebbero). Il proposto beverone della cultura è, secondo me, imbevibile. Di più : è tossico.

        Con immutata simpatia, mi creda suo

        Neri

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        • Ripassando da qua ho riletto il commento che ho inviato a proposito di cultura (e che lei ha ritenuto di pubblicare : grazie).
          Trovandolo, in alcuni punti, di tono meno urbano di quello che vorrei utilizzare in ogni occasione.
          Me ne rammarico sinceramente.

          Cordiali saluti

          Neri

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  7. Il problema degli IDE è che generalmente sono percepiti come positivi. A volte, però, come nei casi di Spagna, Irlanda e Grecia, un eccesso di IDE può avere conseguenze nefaste, che bisognerebbe sempre aver presenti. Tanto più che in passato, in Italia, si sono tramutati spesso e volentieri in vere e proprie svendite dei migliori asset nazionali, che hanno portato a ristrutturazioni, fusioni, delocalizzazioni, ecc., puntualmente scaricate sulle spalle dei lavoratori.
    Recentemente si è venuti a conoscenza di un rapporto riservato sull’Europa, stilato dalla Bundesbank nell’ottobre dell’anno scorso, in cui parla della totale privatizzazione di 500 mld di beni pubblici. Sarebbe insensato consentire alla Germania, la cui stolida rigidità – che per me è sinonimo di teutonico – ha aggravato la situazione economica dei paesi mediterranei, di approfittare dell’attuale crisi per acquisire a prezzi di saldo ciò che resta, che comunque non è poco, del patrimonio industriale e immobiliare italiano.

    In primo luogo perché i tedeschi non sono solo leali e laboriosi come si ritiene generalmente, ma sono anche degli imbroglioni che da 16 anni non includono nel loro debito pubblico le passività del Kreditanstalt für Wiederaufbau: € 428 mld interamente garantiti dallo Stato che, se fossero inclusi nei conteggi, come vuole il Trattato di Maastricht, farebbero salire il debito pubblico tedesco da 2.076 mld a 2.504, e il rapporto con il Pil del 2011 dall’80,7% al 97,4%.
    In secondo luogo perché l’adozione del “modello Hartz”, ossia quello che ha introdotto il lavoro in affitto, con i cosiddetti mini-jobs per un massimo di 400 € al mese e di 15 ore a settimana, a costo contributivo e fiscale zero per imprese e lavoratori, ha creato una massa di lavoratori con una retribuzione oraria di 6/7 €, talvolta anche meno.
    In un rapporto del gennaio di quest’anno, l’Istituto per il Lavoro e la Qualificazione di Duisburg ha calcolato che un lavoratore dipendente su 5 è interessato da questo fenomeno. Dal 1995 al 2006 la percentuale delle persone che percepiscono un salario basso è passata dal 15 al 22,2%. 1,9 mln di persone lavoravano conseguentemente nel 2006 per meno di 5 € l’ora. Il reddito reale dei lavoratori appartenenti alla fascia salariale bassa è diminuito ulteriormente del 14% dal 1996 al 2006, e il valore reale delle retribuzioni tra il 2000 e il 2010 è aumentato solo del 4,4% mentre l’economia è cresciuta negli stessi anni del 9,7%.

    Ecco, non vorrei che gli IDE preludessero a qualcosa di analogo per i lavoratori italiani, che già non se la passano bene.

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  8. non vorrei mancare di rispetto ma al ‘vedo la luce’ ho pensato
    a james brown in blues brothers (sorriso)
    il ragionamento lo apprezzo nel senso che effettivamente si è
    forzati al dialogo (ed è un bene) quello che penso che è per troppo tempo , troppe ^cose^ sono rimaste sottotraccia…
    che le verita’ ^tecniche^ e gli squilibri sono ingestibili politicamente perchè per troppo tempo si è nascosto che prima p poi i creditori avrebbero dovuto pagare per i debitori…
    Poi c’è da dire che se in francia e in germania la discussione
    su cosa significhi l’eurozona è incomiciata , in italia siamo ancora ad un livello di nicchia e i politici salvo rari casi non comprendono il problema e sono inaffidabili , sui media prevale prevale la mezegna e la disinforamzione (al solito)
    Poi non convince questo dare ulteriore poteri e responsabilita’
    alla bce che per certi versi è piu’ responsabile di altri …ma loro
    non si possono mettere in discussione…comunque mi fa piacere
    sentire e leggere che vede la luce !

    molto meglio che pensare che si rimmarra’ impanati in una guerra di trincea finanziaria come ha detto martin wolf al sole24

    quanto alla guerra quella vera non mi sembra si possibile una guerra fra stati europei , se non altro per la presenza dei soldati e delle atomiche Usa sia in germania che in italia (anche se forse dalle germania le hanno tolte non saprei ) poi una guerra finanziaria è molto piu’ devastante e risponde piu’ allo zeitgeist attuale…vendere i bond italiani la scorsa estate è gia’ una forma di ostilita’ aperta da parte della germania non le sembra? (e magari shortarli prima come dicono…e come probabile)

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  9. il modello Hartz c’era gia’ nel senso che era ed è un sussidio
    per vivere , quello che è accaduto pressapoco è che si è abbassato il sussidio , portando questi ‘poveri’ tedeschi ad integrare il sussidio con lavori part-time a basso costo…

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  10. Antonella Carusi

    05/07/2012 @ 05:05

    Che bello questo post Prof, Lei ha una grande dote quella di riuscire a parlare di argomenti molto,complessi, e renderli comprensibili anche a persone che non hanno un’ adeguata preparazione! Grazie sto imparando un sacco di cose! …e un .grazie anche a coloro che scrivono,i commenti !

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