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Quell’abisso di politica economica che non c’è

“Siamo nell’abisso”, sottolinea il capoeconomista di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando le stime di via dell’Astronomia sul Pil tagliate rispetto alle precedenti previsioni: per il 2012 al -2,4% (dal -1,6%). Secondo il Centro studi di Confindustria il deficit pubblico nel 2012 si assesterà a -2,6%, in peggioramento di 1,1 punti a causa della crisi.

Il Documento di Economia e Finanza del Tesoro uscito poco più di 2 mesi fa prevedeva per il 2012 una (de)crescita del -1,2%: la decrescita secondo Confindustria è ora raddoppiata. Nel giro di 2 mesi. Raddoppiata.

L’indebitamento netto del settore pubblico, previsto ad 1,7% di PIL nello stesso Documento, peggiora secondo Confindustria fino a 2,6%. E, per fortuna, almeno non si parla nei circoli governativi di riportarlo con manovre fiscali restrittive all’1,7%. Sarebbe demenziale.

Ma torniamo a noi. Guardateli questi dati, hanno dell’incredibile. Sono pazzeschi, nel giro di solo 2 mesi.

Eccola servita per voi, l’austerità che distrugge lavoro, imprese, PIL e con esse anche la stabilità dei conti pubblici. E che nessuna riforma sa curare. Altro che tassisti.

Ma cosa aspetta il Governo a sostenere la domanda aggregata con spesa pubblica? Solo in questo modo arresterà l’emorragia dei conti pubblici tramite la crescita!! Quali altri esperimenti dobbiamo fare sulla pelle di tutti noi per capirlo?

Questa è macroeconomia da primo anno di università, e dovremmo pretendere che, a fronte di ricette fallimentari che distruggono la vita delle persone, si tentino almeno ricette alternative. Questo è anche il senso del Manifesto che ho appena firmato, ideato da alcuni economisti di fama mondiale. Firmatelo anche voi se volete, ma soprattutto, dite basta a ricette sbagliate. Chiedete che almeno si provino ricette alternative. Chiedete! Fate vedere questi dati sconvolgenti, discutetene tra di voi, prendete posizione, dite basta a queste politiche economiche assurde.

13 comments

  1. Due bellissimi post!
    Mi chiedo però come mai delle persone che hanno delle competenze al suo stesso livello non si rendano conto di cose che anche a uno ignorante di economia come me risultano abbastanza chiare ed evidenti. E’ solo follia o c’ è anche del metodo e uno scopo?

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    • E’ facile parlare da fuori e non facile stare dentro a questi processi. Questo nmon per giustificare ma per contestualizzare. Detto questo, viviamo tempi eccezzionali (e anche questa è una giustificazione) ma manca da parte dei “leader” la presa di coscienza di poter influenzare le cose, di guidare i mercati e non farsi guidare, del proprio ruolo e della propria potenziale immensa potenza salvifica.

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  2. Per capire perchè non vengono attuate riforme alternative è FONDAMENTALE prima chiederci chi favoriscono (o non colpiscono) le riforme attualmente messe in atto.

    Finchè non ci si pone la domanda giusta, la risposta non arriverà.

    Ps. ho sottoscritto il Manifesto

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  3. Giuseppe Pizzino

    29/06/2012 @ 09:35

    Egregio Professore mi permetto ancora una volta evidenziare un aspetto della crescita che è certamente sottovalutato. Le imprese, gli imprenditori, che dovrebbero rappresentare il primo tassello per innescare un circuito virtuoso di crescita e di sviluppo, sempre più numerose, abbandonano l’Italia. La cosa che dovrebbe allarmare è che questo processo non solo sembra inarrestabile ma cresce sempre di più accompagnata da segnali da parte di imprenditori ( Marchionne) non certo rassicuranti. Bisogna essere realisti è prendere atto che per un imprenditore fare impresa oggi in Italia è molto difficile. Tassazione, burocrazia, legalità in entrata e uscita, produttività, accesso al credito, pagamenti e via riscorrendo. Penso da ex imprenditore che non sia più rimandabile un patto sociale per la crescita tra imprenditori, lavoratori, banche e Stato. Non si tratta di fare nuovi accordi salariali o cercare di risparmiare sulla pelle degli operai anche loro vittime come gli imprenditori ma di trovare nuove intese che non scarichino sulla pelle degli imprenditori tutte le responsabilità degli effetti della crisi. Un imprenditore che fallisce, negli Usa, non viene ammazzato, civilmente, come avviene in Italia, gli viene riconosciuto almeno il merito per averci provato. Se non si cambia qualcosa difficilmente un padre consiglierà al figlio di provarci.

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  4. Egr. Prof. Piga, gentili lettori, siamo tutti consapevoli dello scollamento, dell’enorme distacco esistente tra la classe politica (che influenza direttamente quella economica) e la realtà di tutti i giorni della popolazione italiana.
    La paura è un istinto primordiale, situazioni di incertezza economica generano scarsa credibilità nel futuro (=paura) che porta le persone a chiudersi (risparmiare).
    Per vincere le paure servono segnali forti e positivi (non parole), fatti concreti a brevissimo termine, da parte di chi è proposto a governarci. Serve anche populismo, quello costruttivo della riduzione effettiva dei privilegi e degli sprechi.
    Possiamo farcela e ce la faremo, abbiamo le risorse e lo spirito (v. Germania-Italia) per superare anche questa fase storica ed economica.
    Investire (pubblico e giovani), liberalizzare, lotta effettiva ed efficace a corruzione e all’eccesso di burocrazia che ingessano il Paese, risveglio del senso civito e dell’etica, professionalità e meritocrazia, semplificazioni sono solo alcune delle strade percorribili.
    Ascoltiamo Confindustria, ascoltiamo Confartigianato, ascoltiamo e diamo spazio ai giovani … sappiamo bene le ragioni per cui le imprese (multinazionali) straniere non investono in Italia e le motivazioni che spingono i cervelli a fuggire, invertiamo la rotta subito.
    Dimostriamo a tedeschi ed anglosassoni che non tutti i latini sono uguali tra loro e che l’Italia è un paese di eccellenze industriali e non solo moda-estetica, cibo, arte-cultura e villeggiatura!

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    • Giacomo Gabbuti

      29/06/2012 @ 12:14

      “Dimostriamo a tedeschi ed anglosassoni che non tutti i latini sono uguali tra loro”…dimostriamo a chi insiste su una retorica moralista e razzista per cui ci sono quelli con lo spirito imprenditoriale e no che in realtà siamo tutti persone, lavoratori, imprenditori a tutte le latitudini, ma che quello che conta è l’assetto istituzionale che è frutto di processi politici e storici non sempre lineari, non suona meglio? O vogliamo fare i primi della classe dei terroni, o i kapo del mediterraneo?

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      • Caro Federico,
        Chi sarebbero i latini “non uguali”? I greci e gli spagnoli? Quelli a sud del Po? Quelli con gli occhi strabici?
        E perché dovremmo dimostrare qualcosa a tedeschi e anglosassoni? Perché i “virtuosi” (ancora per poco) comprino le nostre aziende a prezzi stracciati?
        Dimentichi poi che un afflusso di capitali è un debito, e in questo momento in cui l’Italia soffre di un problema di debito estero piuttosto consistente, non ci farebbe così bene.

        Mi stupisce molto la Sua risposta, professor Piga.

        Bene le eccellenze industriali, ma che ci sarà poi di male in “moda-estetica, cibo, arte-cultura e villeggiatura”, questo non lo capisco.

        Concordo con Giacomo (basta moralismi!) e anche con Rolando (il rigore e l’euro hanno favorito ristrettissime oligarchie perlopiù non italiane, con grande dispiacere di Confindustria che adesso, parafrasando De Andrè, “dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio”).

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        • In effetti, cara Silvia-che-non-me-ne-fa-per-fortuna-passare-una, ero stato frettoloso sui latini, non concordo con Federico su ciò. Ben vengano invece investimenti diretti esteri che apportano capitale, idee, occupazione.

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          • “Ben vengano invece investimenti diretti esteri che apportano capitale, idee, occupazione”:
            Professore, siamo sicuri che è sempre così?

          • Allora tautologicamente sì: se gli ide sono così ben vengano. Capisco che la domanda è ma sono sempre così? No, ma in un momento di sete così massima lei dice che dobbiamo sottilizzare?

  5. Rolando Bagnoli

    30/06/2012 @ 17:19

    Il problema è l’ideologia dilagante largamente maggioritaria fra le forze politiche, i mercati sono i nuovi dei pagani, non si discutono nemmeno di fronte all’evidenza. Se però guardiamo le conseguenze sociali delle politiche del rigore contrarie al sostegno della domanda da parte della mano pubblica. Nell’ultimo decennio come si è redistribuito il reddito? Chi ha guadagnato e chi ha perso? il lavoro dipendente ( in senso effettivo non formale ) si è rafforzato o si è indebolito? Nella spartizione della torta del reddito nazionale, in senso relativa ha fatto registrare un peggioramento od un miglioramento? Ponendosi queste domande e verificando le risposte forse si capisce da che parte del campo gioca il “rigore”.

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