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Per la scuola e la università, istituzioni senza pari opportunità


Articolo 34

La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

 


Tadeusz Kantor, La classe morta 

Mi impiccio di un tema che mi cattura di questi tempi bui, la questione del merito, delle pari opportunità e di come, sostiene il sociologo Wright che ho ascoltato su audio in un suo intervento alla London School of Economics, del pari accesso.

Pari accesso a cosa? Ai mezzi materiali e sociali necessari per vivere una vita “flourishing”, fiorente. Pari accesso che secondo lui è necessario oltre alle pari opportunità. Perché le pari opportunità non riparano gli individui dalle sfortune che accadono nella vita e non per questo bisogna lasciarli soli solo perché un vaso gli è cascato in testa durante una passeggiata o prima di nascere.

Lo faccio dopo avere avuto modo di esaminare una prima bozza di un disegno legge del Governo che tratta – nella sua prima parte – di “capacità e merito nell’istruzione” (la seconda parte tratta dell’università, specie dei meccanismi concorsuali).

E penso alla Costituzione, da cui chiaramente sono state prese queste 2 parole. Che bell’articolo, il 34. Complesso e semplice assieme.

I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti di studi.

Frase complessa.

I gradi più alti di studi.

Rifletto che quando fu scritto non si pensava certo all’università come grado più alto degli studi. Oggi probabilmente sì. In coerenza con Europa 2020 che ci chiede il 40% di laureati quando oggi siamo a poco meno del 20%, 24° su 27 nell’Unione europea. Quindi siamo fuori dalla Costituzione. Illegalità totale, evasione dall’art. 34.

Anche se privi di mezzi.

Fu scritto per giustificare il passo successivo: con borse di studio, per rendere effettivo il diritto agli studi più alti. Borse di studio chiaramente intese non per i capaci, non per i meritevoli, ma per chi tra essi non avesse i mezzi per effettivamente raggiungere il diritto spettantegli per Costituzione.

I capaci e meritevoli.

Quindi chi tutela la Costituzione? Coloro che hanno mezzi, che sono capaci e meritevoli, e a cui per qualche altro motivo si impedisce di studiare. Giusto tutelarli.

Poi tutela appunto coloro che non hanno i mezzi, come visto.

Ma soprattutto, con o senza mezzi, tutela “capaci e meritevoli”. Sembrerebbe, la Costituzione, fare riferimento ad ambedue le caratteristiche per essere tutelati.

Il mio amico e collega filosofo Stefano Semplici dice infatti:

Il “merito” non coincide semplicemente con la “capacità” e la riduzione del primo a semplice misura dei risultati e delle prestazioni è una concezione angusta, figlia di una cultura che si è orientata in modo purtroppo sempre più marcato ad un individualismo senza responsabilità. Non è, in ogni caso, la concezione della nostra Costituzione, per la quale si può essere capaci e immeritevoli in due modi: certo per mancanza di impegno, ma anche per mancanza di quel senso del dovere e di partecipazione che, come si diceva una volta, rende i cittadini benemeriti, cioè costruttori di progresso, di bene comuni. Lo dice l’articolo 4 parlando del dovere del lavoro. Lo ribadisce l’articolo 42 parlando della funzione sociale della proprietà privata.

Credo abbia ragione Stefano a pensare all’immeritevole, ma a me preoccupano più del non includere l’immeritevole, due altre questioni. E mi preoccupano perché vedo un pericolo immediato nel disegno di legge governativo. O meglio, una opportunità persa.

Preoccupa “l’incapace”. E l’”immeritevole”. Che non sono, a rigor di logica interpretativa della Costituzione, tutelati di diritto: se vogliono una istruzione se la facciano, ma un po’ da cittadini di serie B, senza aiuto.

Parlo dell’incapace perché ne parla Wright quando chiede che ogni individuo abbia pari accesso ad una vita fiorente. Come può un incapace, se non tutelato nel diritto allo studio, avere accesso ad una vita fiorente come i suoi coetanei? Non penso solo ai ragazzi con una disabilità, voglio essere chiaro.

Oggi c’è una bella accoppiata su Repubblica con l’articolo di Recalcati affiancato da un analogo buon articolo di Asor Rosa. Sulla bellezza ed importanza della scuola italiana, e della bontà dell’obbligo, parola fuori di moda. Che tutto è, la nostra classe, meno che morta.

Recalcati: “L’obbligo della Scuola è benefico perché si sostiene su di una  promessa di fondo. È la promessa che esiste un godimento più forte, più potente, più grande di quello promesso dal consumo immediato e dalla dipendenza dall’oggetto. Questo altro godimento si può raggiungere solo per la via della parola: è godimento della lettura, della scrittura, della cultura, dell’azione collettiva, del lavoro, dell’amore, dell’erotismo, dell’incontro, del gioco. La promessa che la Scuola oggi sostiene controvento è che il desiderio umano per dispiegarsi, per divenire capace di realizzazione ha bisogno, di qualcosa che sappia incarnare la Legge della parola, perché, sappiamo, senza questa legge non c’è desiderio, ma solo disumanizzazione della vita.”

Posso aggiungere che, malgrado le critiche, analoga gioia può sperimentare un qualsiasi giovane che si iscriva all’Università. Al di là del suo voto finale. Al di là della maggiore o minore qualità dei docenti. Sì, al di là di questo.

Ecco, se ai giovani va dato diritto all’accesso ad una vita fiorente, nel XXI° secolo dovremmo essere capaci di non perdere per strada gli incapaci e accompagnarli verso uno mondo dove la parola, se lo desiderano, gli sia vicina e gli dia gioia. Anche perché, capaci di godere anche solo il soffio leggero di quanto dice Recalcati, lo sono, lo sono tutti i nostri giovani. Ecco perché è scuola dell’obbligo: perché sono tutti capaci e il diritto è tutelato con l’obbligo.

E allora attenti a parlare d’incapaci, non esistono. E così di parlare di capaci in opposizione ad essi.

Ma mi preme ancor più parlare degli immeritevoli. Sì, lo sapete perché. Perché aborro la meritocrazia. Perché, come diceva Sen, la meritocrazia premia  coloro che sono in grado di influenzare la definizione di merito e perché essere meritevole è ben più facile per i più abbienti.

Mi diceva Jean Tirole l’altro giorno che era a Roma che era scomparso (tragicamente e misteriosamente) il Rettore di Scienze Politiche di Parigi, università assai elitaria e oggi di ottima reputazione. E che lui era adorato in Francia perché si era dato da fare come non mai per identificare nelle varie scuole francesi giovani meno abbienti potenzialmente bravi e accostargli maestri addizionali durante la scuola per portarli ai livelli di giovani capaci ed abbienti e farli entrare a Science Po.

Ecco, cosa si dovrebbe fare. Come lui, moltiplicato per 100.

Ecco, quando merito_scan_ leggo nel disegno di legge che si faranno le Master class estive per i primi 3 classificati alle Olimpiadi e che verrà eletto in ogni scuola lo studente dell’anno a cui spetterà di pagare il 30% in meno di tasse universitarie (anche se è figlio di un super ricco e anche se le tasse universitarie sono briciole nel mare magnum della tentazione di un giovane capace ma povero di lavorare subito “perché i soldi – quelli veri, non lo sconto - non ci sono”), penso che non abbiamo capito che, come lo chiama Asor Rosa, “il colossale dibattito per la difesa ed il rilancio della scuola pubblica italiana” ha partorito un risibile topolino.

Che non cura, oh no, il vulnus che, non da questo Governo, è inferto da decenni alla nostra Scuola ed alla nostra Università, istituzioni senza pari opportunità e pari accesso all’essere onorate, tutelate, aiutate.

2 comments

  1. GianMarco Tavazzani

    03/06/2012 @ 09:27

    Che piacere la cristallina chiarezza di visione di cosa sia davvero cultura e scuola!

    Reply

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