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Studenti e governi sfigati? No, solo masochisti

Al di là dei toni, cosa pensare del contenuto dell’intervento del Vice-Ministro Martone sul laurearsi a 28 anni come cosa da “sfigati”?

Ci sono fior fiore di studi (vedi il bellissimo lavoro di Dan Ariely e Klaus Wertenbroch) sulla tendenza delle persone a procrastinare le loro decisioni, anche se sanno che ciò le danneggerà. Imporsi delle scadenze serve a poco, mostra Ariely. Se tali scadenze sono invece imposte dall’esterno e sono vincolanti, queste migliorano la performance.

Laurearsi a 28 anni non è da sfigati, è da masochisti. Perché nel farlo i laureandi 1) rendono il loro curriculum meno attraente per le imprese (mostrandosi lenti nel fare le cose) e 2) rinunciano ad entrare subito nel mondo del lavoro ed ad una maggiore remunerazione.

Che fare dunque? Semplice. Il Vice Ministro Martone si adoperi subito per parlare con il suo collega Profumo, Ministro dell’Università, ed introduca immediatamente il divieto di laurearsi fuori corso, come presente in quasi tutti i Paesi del mondo (vedi i tanto amati Stati Uniti).

Per farlo, basterà prevedere una modifica nei voti degli studenti universitari, che saranno costituiti da una media di tutti gli esami obbligatori da fare in un anno, voti che andranno da 0 al 30. Nessun docente avrà così diritto di veto sulla prosecuzione dello studio da parte dello studente. Solo se tale media sarà sotto il 18 lo studente dovrà ripetere l’anno (con tasse universitarie, tanto per aumentare gli incentivi a fare bene, più alte per studenti ripetenti).

Il risultato? Tanti studenti non più masochisti ma felici di avere fatto, miracolosamente la scelta giusta.

Un Governo che non adottasse questa ovvia norma sarebbe un Governo di sfigati? No, ma di masochisti sì!

11 comments

  1. Innanzitutto, mi sarebbe piaciuto sentire almeno cosa abbia detto in occasione della giornata dell’apprendistato il vice-ministro, dato che è il vice-ministro del lavoro (nonostante in tanti continuiamo a chiederci come e soprattutto perché), ma soprattutto perché l’apprendistato è uno dei temi importanti della riforma del rapporto tra università ed impresa. Poiché così non è stato dobbiamo subirci l’esternazioni di uno che finora non ha detto nulla, non si sa cosa stia facendo da vice-ministro.
    Sono sempre stata d’accordo con una regola dura sui fuoricorso alla francese, ma attenzione: una manovra del genere deve essere costruita in modo da non diminuire la qualità degli insegnamenti. infatti questa potrebbe essere una soluzione conveniente per le facoltà che direttamente o indirettamente ricevono fondi in base al numero di iscritti e laureati.

    Ad ogni mod, se vogliamo parlare di riforma dell’istruzione (non solo l’università) non credo che dobbiamo rivolgerci a Martone, il suo curriculum accademico non brilla, anzi ha molte ombre. Anche perché, mi lasci dire, se fosse stato un così brillante giuslavorista, sicuramente l’avremmo visto brillare anche fuori roma.

    Concludo con la frase di Zagaria su repubblica ‘Ordinari a 28 è da mafiosi -meglio il carcere duro-Repubblica.it’

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  2. maurizio campolo

    24/01/2012 @ 21:33

    Pur essendo andato a scuola, come usava dire una volta, “a sei anni”, mi sono laureato a 22 anni e 9 mesi, in tre anni e una sessione.
    A lei neanche lo chiedo, la domanda sarebbe retorica.
    A quelli come noi, le uscite come quella del vice-ministro Martone non fanno “né caldo né freddo”.
    Ma il punto è sempre il solito: perché, prima di fare una dichiarazione, i nostri governanti non pensano alle conseguenze di quello che diranno?
    Se sottoponessimo le loro dichiarazioni ad una semplice “prova di resistenza”, ne rimarrebbe in piedi, secondo me, meno del tre percento.
    Come dicono i ragazzini?
    Prima di mettere in moto la lingua, accertarsi che sia collegata al cervello….

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  3. maurizio campolo

    25/01/2012 @ 08:26

    Ad integrazione di quanto ho già detto sull’argomento – e non per dare ragione al Prof. Martone, resosi conto egli stesso della scarsa moderazione di quanto ha affermato – preciso che, ovviamente, c’è qualcosa di assolutamente sbagllato e di inaccettabile nel laurearsi – od addirittura frequentare ancora l’università – a 28 anni, specie considerando che la concorrenza che i nostri ragazzi devono affrontare è ormai internazionale e che, in molti Paesi stranieri, a quell’età si può ben diventare amministratori delegati di aziende anche di rilievo.
    E’ bene quindi che si comprenda anche da noi, una volta per tutte, che il percorso universitario deve giungere ad una naturale conclusione nei tempi strettamente necessari, in modo da consentire, anche a chi voglia perfezionarlo con master, PhD e quant’altro, un inserimento tempestivo nel mondo del lavoro.
    A pensarla diversamente ed a dare alibi ai cd. “bamboccioni”, si fa un grave torto prima di tutto a loro, inducendoli a gravarsi di una seria ipoteca sul proprio futuro.

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  4. Veronica Marotta

    25/01/2012 @ 10:18

    A mio avviso sono tante e diverse le misure che potrebbero e forse dovrebbero essere adottate per riformare il sistema universitario italiano. In alcuni paesi, tra cui ad esempio la Svizzera se non vado errata, un esame può essere rifatto al massimo tre volte: alla terza, se fallisci, sei automaticamente fuori. Questo sistema stimoli gli studenti a dare il meglio di se già al primo tentativo (in quanto c’è la minaccia psicologica delle chance che ti restano) e a passare gli esami subito e anche bene. In molti casi la causa del ritardo è dovuta al fatto che in Italia un esame può essere rifatto all’infinito: da studente quale sono, ho ascoltato storie di ragazzi che facevano un esame per la 5 o 6 volta, rimandando di sessione in sessione la conclusione dei loro studi. E ad ogni tentativo, la loro preparazione non migliorava di una virgola; frasi del tipo “vado a provare, tanto poi lo posso rifare” sono tipiche. Quindi concordo sul fatto che vincoli e scadenze vanno imposte dall’esterno.

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  5. Stefano Caiazza

    25/01/2012 @ 11:32

    L’intervento del viceministro è di una pochezza culturale e un’ignoranza linguistica senza precedenti. Evidenzia inoltre la presunzione di poter dare giudici morali su situazioni molto complesse e variegate.
    Fino ad oggi il problema italiano era la scarsa percentuale d ei laureati italiani rispetto alla media europea ed extra-europea (USA e Giappone). Oggi scopriamo che diventa anche quello dell’età a cui ci si laurea. Perché a 28 anni sei uno sfigato e a 27 no? Quali dati sopportano tale cut-off point?
    I dati invece dicono che il 30% dei giovani è disoccupato. Sono tutti laureati oltre i 28 anni o non laureati? E il problema di un laureato costretto a fare, nel nostro paese, un lavoro diverso d quello per il quale ha studiato, e per giunta per tutta la vita poiché la mobilità intra-settoriale è nulla, non è un problema più grave?

    Mi sembra incolmabile l’abisso tra le dichiarazioni del Presidente Obama e quella del viceministro de lavoro. Negli Usa si incita a fare meglio, da noi i vari Brunetta e Martone parlando per offendere senza fare nulla, e provenendo entrambi da realtà privilegiate, di tipo familiare, politico, economico.
    Ma è l’abisso culturale tra una nazione che vuole rimanere grande e sa di avere le capacità per farlo e un’altra che non crede più in se stessa, ha paura della sua ombra, e si popola di deboli che si ergono a forti con chi è più debole di loro.

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  6. Giorgio Zintu

    25/01/2012 @ 13:11

    Ma davvero qualcuno, ora, può affermare con statistica certezza che chi si laurea nei tempi previsti dal corso di laurea, con i voti massimi ed eventuale master al seguito ha qualcuno che lo attende fuori della porta di casa con un contratto (fermo restando che si risparmia in termini economici effettuando gli studi entro gli anni previsti).
    Ma siamo sicuri che la disoccupazione intellettuale è elevata perché si va fuori corso?

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    • maurizio campolo

      25/01/2012 @ 14:44

      Certamente no, perché il lavoro “disponibile”, in Italia, è poco e, quel poco che c’è, è canalizzato attraverso il circuito non virtuoso delle segnalazioni politiche e delle raccomandazioni di vario genere.
      Ma il ritardo nella conclusione degli studi e, conseguentemente, nell’inserimento nel mercato del lavoro, di sicuro non aiutano.

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  7. Francesco Palumbo

    25/01/2012 @ 15:25

    Mah! E’ difficile commentare l’uscita del prof. Martone. Soprattutto non sembra una frase attribuibile ad un collega, un docente universitario. Ho conosciuto tanti studenti che si sono laureati – diciamo – in età matura e, in tutta franchezza (sebbene per mestiere mi occupo di statistica e dovrei avere familiarità con tassonomie e categorizzazioni), trovo molto difficile poter costituire una categoria così netta e definita. E’ legittimo, prima di tutto, poter desiderare di completare il percorso formativo anche mentre si lavora; questo ovviamente dilata i tempi ma non è certo un demerito. E’ anche ragionevole immaginare che il percorso di formazione universitaria inizi non subito dopo il diploma.

    Eliminando queste due categorie di laureati “tardivi”, restano gli studenti che stentano per mancanza di volontà o perché non hanno i mezzi per andar più svelti. Bene, secondo me e in base alla mia esperienza, questi studenti sarebbero ben contenti di abbandonare il loro percorso di studio per fare altro e meglio. E qui ha ragione Piga nel dire che non abbiamo strumenti per disincentivare. Anzi, sapendo che lo studente ritornerà finché non passerà l’esame più o meno con la stessa preparazione, siamo (mi dispiace dirlo) più propensi a rimuovere un ostacolo.

    Ho visto invece studenti fare salti mortali per lavorare e frequentare con sforzi ammirevoli e con risultati apprezzabili. Troppo poco si fa per coloro che, con grande sacrificio, investono su se stessi. Andrebbero aiutati ed incentivati con corsi speciali (magari serali) che abbiano un taglio più adatto. La formation continue in Francia, per esempio, è erogata attraverso le università e incentivata dalle aziende. Questi signori, a cui ho avuto il piacere di insegnare, sono motivati ed attenti e partecipano portando in aula anche problematiche sorte nel loro ambito lavorativo. Francamente non li definirei affatto sfigati.

    Il nostro ordinamento, invece, anche in funzione di alcuni interessi, ha lasciato che le università telematiche (quasi tutte) private svolgessero questo ruolo. Ha, di fatto, delegato una funzione delicatissima lasciandola con una scarsa regolamentazione, spesso lacunosa, e con molti soldi che girano attorno. Sarebbe utile ripensare a questa offerta formativa, qualificarla, lasciandola anche nelle mani di istituzioni private, a patto che si rispettino ben precisi parametri di qualità.

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  8. Giorgio Zintu

    25/01/2012 @ 21:20

    D’accordo con quanto esposto da Francesco Palumbo. Ci sarebbe da capire se gli impropriamente definiti sfigati siano una risorsa per università e corsi di laurea dove contano purtroppo anche i numeri e non solo la qualità. Ma questa è un’altra storia.

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  9. Cosa dire agli studenti lavoratori? A chi non ha i soldi o la famiglia alle spalle per permettersi di studiare? Bisogna anche essere messi in condizione di fare le cose. Non tutti siamo figli di papà che si laureano a 28 anni. A loro poi mamma e papà pagando li mandano all’estero e noi a 28 anni dobbiamo restare qui e cercare un lavoro! Non credo nemmeno che sia utile creare università di serie A o di serie B. Possibile che se nasci povero (o sei orfano, o ti ammali o non so che) non hai diritto all’istruzione in questo paese????

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  10. Fabio Fraternali

    27/01/2012 @ 13:46

    Effettivamente concordo col pensiero di Luca.
    La realtà è sempre più complessa di qualunque legge (in questo caso della riforma dell’Università). Bisognerebbe prima parlare del principio dell’eguaglianza sostanziale (Art. 3 nostra Carta Costituzionale).
    Ma, ove possibile, bisogna distinguere tra realtà particolari (ad es. problemi sociali) da agevolare e realtà strutturali da correggere (abbassare l’età media di laurea)!

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