Napoli è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l’altra.
Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. Tutto il resto non conta.
Curzio Malaparte, La Pelle.
Ecco, all’articolo di Cécile Allegra sul quotidiano francese Le Monde di oggi che mi capita quasi per sbaglio di leggere sull’aereo che mi riporta a Roma, manca solo il riferimento al meraviglioso libro di Malaparte. Allegra si inerpica nei vicoli della nostra Napoli. E mostra che il quadro che di Napoli dipinse appunto Malaparte alla fine della guerra mondiale, di un misto poetico e grottesco di degrado morale ed umanità che caratterizzava allora la città campana, non si è modificato di molto.
Il sottotitolo dell’articolo: “migliaia di ragazzi hanno abbandonato la scuola e lavorano illegalmente per far fronte alle loro necessità ed a quelle della famiglia. Nell’indifferenza quasi generale.”
Come Gennaro, 14 anni, che lavora in nero a meno di 1 euro l’ora, guadagnando al massimo 50 euro a settimana. La madre dice che mai avrebbe immaginato di levarlo da scuola: lo sveglia all’alba per farlo arrivare a tempo dal fornaio dove ora lavora. L’altra figlia ha 6 anni e, morto il padre, si è dovuto scegliere: “non ho i mezzi per pagare i libri a tutti e due: o era l’uno o era l’altro”. Sul tavolo di cucina, continua la corrispondente del Monde, un pane di segale a lunga conservazione che costa solo 5 euro, prodotto degli anni della fame del dopo guerra”. Eccolo, Malaparte.
Dal Comune di Napoli i dati arrivano chiari: sono 54 000 in tutta la Campania ad avere lasciato la scuola tra il 2005 ed il 2009, 38% di essi con meno di 13 anni.
Dal 2008 le successive finanziarie hanno portato ad una crisi nel sostegno ai giovani più poveri. E il paradosso è che l’allungamento della scuola obbligatoria a 16 anni, provvedimento utile se non lasciato fine a se stesso, dice Allegra, ha spinto alcuni a lasciare la scuola ancora prima. La Camorra rimane la seconda opzione.
Nel quartiere Barra, “vero e proprio supermercato della droga” riescono ad entrare in pochi della squadra degli educatori. Come Giovanni Savino, del Tappeto di Iqbal, associazione che prende il nome dal ragazzo schiavo pachistano che si è rivoltato ed è stato per questo assassinato. Giovanni Savino, continua l’articolo, “è arrabbiato, con i camorristi, con un sistema scolastico fatiscente, con lo Stato che abbandona questi ragazzi: dalla crisi ad oggi il fondo per l’aiuto sociale è stato ridotto dell’87%, da 2 anni i 20000 educatori campani non vengono pagati e si indebitano per lavorare”.
Seduto accanto a me sull’aereo che vola da Francoforte a Roma siede Matteo, un giovane romano di 16 anni, dallo sguardo pieno di vita e curiosità. Ha lasciato quasi per caso la scuola romana per avventurarsi per un anno di scuola tedesca presso una famiglia. Sta dibattendo con i suoi genitori sul cosa fare alla fine di quest’anno. Non sa più se vuole tornare. “La scuola qui in Germania è un’altra cosa. E’ attiva e non passiva, i docenti ci danno fiducia e ci fanno dibattere da pari a pari. E poi, la Germania mi ha accolto, mi aspettavo rigidità ho trovato apertura. Mi sento come l’Ambasciatore d’Italia, so che se faccio bene contribuisco a modificare gli stereotipi sugli italiani dei tedeschi. Lo vedo già che sta succedendo.”
Matteo è stato fortunato di avere dei genitori che si sono sacrificati per questo, anche (ma non solo) perché potevano farlo. Paola Rescigno, la mamma di Gennaro, non poteva.
Non è più tempo di infiltrarsi dentro Barra come degli intrusi. Barra è nostra. E ci spetta riprendercela, in tutto il Meridione d’Italia. Sì, scusate se insisto, con risorse e determinazione. Non è una cosa brutta, non è un sacrificio, è una grande opportunità di sviluppo e di civiltà. Il declino è a un passo, il riscatto pure.
29/03/2012 @ 21:59
“Non perchè tutti siano artisti ma perchè nessuno sia schiavo”
insieme
Togliamo le perle ai porci
con stima
giovanni savino
29/03/2012 @ 23:36
Professore, la leggo quotidianamente e la ringrazio. Sono nato e vivo in uno di quei vicoli di Napoli nei quali c’è meno sole che durante la notte polare di Tromsø. Conosco alcune di queste storie che, in certo senso, si intrecciano con la mia e mi fanno capire quanto sia stato fortunato.
La sorte ha voluto che i miei genitori, pur non essendo persone colte, abbiano compreso l’importanza della scuola, consentendomi di essere, a 24 anni anni (e quindi al di sotto della soglia di “sfiga” indicata dal Professor Martone), prossimo alla laurea in Giurisprudenza. I bambini che giocavano a pallone con me fino ad una decina di anni fa, in alcuni casi non hanno nemmeno conseguito la licenza media (e non so come ciò possa essere possibile nell’Italia dl nuovo millennio). Oggi alcuni li vedo tornare la sera con i pantaloni sporchi di calce, felici di portare a casa 200 euro alla settimana “in nero”. Altri non ci sono più, perchè finiti in galera, oppure perchè finiti sotto terra.
Quanto vorrei che questo frammento di Sud del Mondo incastonato nell’eurozona riuscisse ad emergere con tutte le sue enormi potenzialità… Dopotutto è tra questi vicoli che nacque, nel 1224, la prima Università statale e laica del Mondo ed è tra questi vicoli che teneva lezione in lingua italiana quell’Antonio Genovesi che tanto ha contribuito alla diffusione del pensiero economico.
Serve la scuola e servono investimenti, ma sembra che i tecnici non abbiano tempo per occuparsene.
Grazie, Professore, a nome degli ultimi di questo paese.
30/03/2012 @ 09:35
Buongiorno Professore,
non mi ricordo se Le ho già raccontato la cosa, ma credo che comunque valga la pena ripeterla in considrazione del problema che Lei mette sul tappeto in questo post, ovvero l’educazione dei giovani.
La mia compagna è da sempre stata una sostenitrice della scuola pubblica. Sta anche portando avanti, insieme ad alcuni amici, un progetto che ha attinenza alla scuola.
Nonostante ciò, prima per il figlio più grande, poi per la più piccola si è dovuta arrendere a mandarli (liceo) in una scuola privata, visto che, data la scarsa qualità, in quella pubblica non combinavano nulla.
E’ una buona scuola privata, non di quelle di elite, ma frequentata dai figli di persone normali, classico ceto medio.
Qualche settimana un giorno mi ha chiesto di eseguire on line il bonifico per il pagamento della rata periodica.
Ho preso il foglio su cui erano riportati i pagamenti e a quel punto ho visto che il totale annuo delle rate era di circa 3500 €.
Incurionsito a quel punto mi sono messo a cercare su internet i dati relativi alla scuola pubblica per scoprire che lo studente medio costa all Stato Italiano circa 7000 €, esattamente il doppio di quanto chiede una buona scuola privata per fare, almeno nel caso specifico, un lavoro migliore e generandoci, immagino, anche un profitto.
E qui mi domando: ma che fiducia possiamo mai avere in uno Stato che non si capisce come faccia a spendere il doppio per ottenere risultati peggiori? Come è possibile che a nessuno venga in mente che piuttosto che mettere il doppio e triplo maestro alle elementari, cosa che a quanto mi risulta non c’è in altre parti del mondo, non ha al limite utilizzato quelle risorse per dare un sostegno alla Signora Paola Rescigno in modo che il figlio potesse continuare a studiare? O che non ha mandato quei maestri in giro per Barra come Giovanni Savino?
Non sto dicendo che dovremmo d’incanto ridurre quei 7000 € a 3500 €, anche se penso che sarebbe bene, sto dicendo che, se dobbiamo spendere 7000 €, almeno vengano spesi bene.
Oggi invece spendiamo 7000 € per non dare nulla ai ragazzi, anzi magari per farli uscire dalla scuola demotivati, incapaci di pensare al loro futuro, non autonomi. Cioè distruggiamo il futuro dell’Italia e tutto ciò lo facciamo solo per compiacere rendite di posizione.
Lei è un propugnatore della spesa pubblica, io meno, ma qualunque sia la riccetta giusta deve essere messa in mano a cuochi capaci e responsabili, che abbiano un’etica del lavoro e non che mirino soltanto a ricevere uno stipendio a fine mese.
La saluto cordialmente