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Milioni di farfalle in piu’ nel cielo universitario italiano

L’Università è un po’ sparita con il focus sullo spread dal circolo delle riforme essenziali. E’ passato quasi sotto silenzio nella spending review l’ulteriore riduzione della spesa universitaria che vede la possibilità di spendere in assunzioni solo il 20% della spesa per personale che va in pensione, dal 50% che era.

Non sono uno di quelli che pensa che nell’università ci siano pochi soldi, ma che vadano spesi bene sì. Se quindi tagliamo soldi per (non) assumere ricercatori non è detto che stiamo facendo un danno rispetto alle attuali pratiche di assunzione (potremmo evitare di prendere gente non brava) ma certamente stiamo rinunciando a fare cose importanti per il paese se sapessimo gestire bene i soldi dell’Università (stiamo evitando/rinunciando a selezionare tantissimi giovani eccellenti per la ricerca che o cambiano mestire o cambiano Paese). E quindi se facessimo i passi giusti su come selezionare bene i giovani ricercatori (magari un’altra volta ne parliamo) saremo un passo avanti e potremmo spendere bene. La riforma universitaria non si fa a pezzi e bocconi: per avere successo ogni misura deve essere coordinata con le altre. Ma tant’è.

Ora un altro “pezzo” viene affrontato singolarmente, ma è un pezzo rilevante: quello dei maledetti fuori corso. Bene ha fatto il Ministro a sollevare il problema: “dei quasi 600mila studenti che non hanno completato il ciclo di studi nei tempi previsti dall’ordinamento universitario, il 33,59% del milione e 782 mila iscritti all’anno accademico 2010/2011“.

E’ parte dello spreco. Lo Spreco che assilla questo bellissimo Paese pieno di risorse stupende che non valorizziamo a sufficienza. Spreco non tanto di noi docenti che dobbiamo insegnargli né delle strutture da loro usate. No, il fuori corso fa parte di un grande Spreco italiano del giovane che impara male, poco volentieri, poco motivato. Tant’è che l’azienda che guarda al suo curriculum lo considera subito di “serie B” anche se magari non lo è. L’Università non trasforma questo baco in farfalla.

Spesso in aula dico ai miei ragazzi “meglio un 105 preso in tempo che un 110 e lode preso in 8 anni”.

Non è chiaro dall’intervista al Ministro quale sia la soluzione appropriata che ha in mente per rimediare al problema dei fuori corso. Dietro di esso si nasconde un ugualmente importante problema, quello dell’abbandono durante l’università che contribuisce al disastroso e minuscolo 18% di laureati in età di 30-35 anni rispetto all’obiettivo europeo del 40% per il 2020 (irraggiungibile), dato che ci vede 24° su 27 nell’Unione.

Quando sento dire che sono così pochi perché la laurea non serve a niente e non garantisce lavoro, mi arrabbio: non sono a favore del 100% di laureati, ma 40% in un mondo dove i paesi occidentali diventano sempre più concentrati sul settore dei servizi, è essenziale. I servizi sono a crescente contenuto intellettuale ed è evidente che abbiamo bisogno di più laureati. Anche perché chi va all’università spesso riceve idee per diventare lavoratore di se stesso: il lavoro se lo crea e non deve trovarlo.

Ma torniamo a noi: c’è una cosa che il Ministro può fare, subito. L’ho già detto su questo blog. Vietare, come fanno la maggior parte degli altri Paesi europei, i fuori corso. Si va all’università come si va a scuola. Alla fine del terzo anno ci si laurea. Il che significa cambiare il modo di valutare i giovani: non più bocciature su singoli esami, che danno potere divino di vita e di morte a singoli baroni, ma voto medio alla fine dell’anno con possibilità di ripetere ad inizio anno successivo (a settembre)  l’esame peggiore per migliorarsi la media.

Un percorso di questo tipo permette anche di seguire meglio i singoli studenti e ridurre gli abbandoni: è un primo passo di non poco conto verso l’aumento dei nostri laureati.

Ministro, abbia coraggio, rivoluzioni l’università. I giovani la seguiranno. Centomila farfalle in più nel cielo italiano. Bellissimo.

5 comments

  1. Giuseppe Agrillo

    17/07/2012 @ 21:45

    Mi piacerebbe che si iniziasse a parlare anche dell’aspetto psicologico. Lo studente universitario è un giovane adulto (in genere, sceglie il proprio indirizzo di studi appena maggiorenne) e può vivere situazioni soggettive che mal si conciliano con il “lavoro” intellettuale. Far funzionare i neuroni su materie complesse, seguendo, come è giusto che sia, i ritmi serrati del calendario accademico, richiede organizzazione, ma anche un contesto sereno. Uno studente che è costretto a lavorare o che vive disagi familiari di varia natura, rischia di essere pesantemente penalizzato in termini di motivazioni e, di conseguenza, di rendimento. Poter interagire con un tutor esperto, incontrare docenti che credono in quel meraviglioso lavoro che è l’insegnamento, seguire le lezioni in aule non sovraffollate, sono dettagli che potrebbero salvare la vita universitaria di migliaia e migliaia di giovani. E’ vero, Professore, che chi è forte ce la fa comunque, ma qualsiasi comunità umana si compone di persone forti e di persone meno forti e se i meno forti restano indietro, il costo per la società intera diventa terribilmente alto.

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    • Credo che sia un punto importatissimo. L’Università alla mia proposta dovrebbe reagire con una ri organizzazione dell’approccio allo studente, vicinanza, attenzione. E le Università andrebbero premiate se lo fanno. Ci credo tantissimo. Che sia necessario e che sia fattibile. Grazie,

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  2. Il sistema universitario italiano è stato creato per sfornare i fuori corso, tant’è che il 55% degli studenti non si laurea nei tre anni previsti. Ma cosa si pensa? Davvero quel 55% di studenti è un fannullone?
    No! La verità è che l’università italiana è organizzata male, anzi malissimo!
    Non è possibile seguire le lezioni per tre mesi e poi avere una sola sessione per passarlo subito, cosa che non accade nella maggioranza dei casi (il prof. ha la luna storta il giorno dell’esame, l’esame è basato su argomenti mai affrontati e di una difficoltà eccessiva, ecc.)
    Non nego che ci sono persone che “frequentano” l’università tanto per non lavorare, ma non venitemi a dire che costituiscono il 55% del totale degli studenti!

    Frequento il secondo anno e so già che finirò fuori corso… perché è impossibile sostenere 10 esami in un anno con una media di 600 pagine ad esame!! Sono una studentessa media, ma vi assicuro che neanche le migliori del corso sono in regola con gli esami.
    Che delusione questa università. Mi scuso per lo sfogo!

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    • Concordo al 100%. Ma se le università non sono obbligatre a laureare in corso non si adeguano, dia retta a me. Ed è facile farle adeguare con riforma che obbliga ad avere un voto di fine anno ogni anno, come a scuola, come in Europa, come dappertutto.

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  3. Avevo già letto la sua proposta per migliorare l’università italiana e la trovo un’ottima soluzione. D’altronde, se ha funzionato per tutte le università europee mi chiedo perché non debba andare bene per l’Italia.

    Non credo che ci saranno riforme nell’immediato ed è per questo che ho deciso di ottenere la laurea magistrale in Inghilterra (o in qualsiasi altro paese europeo). Sempre che ci arrivi, ovvio!

    Ora Le chiedo una domanda personale e mi scuso per l’inadeguatezza del luogo: una studentessa in economia (fuori corso di un anno) potrebbe essere penalizzata nel momento in cui entrerà nel mondo del lavoro?
    Ovviamento parlo dell’estero perché non vedo un futuro qui… non per me!

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