Al confronto scontro tra viaggiatori e fermatorideldeclino l’altro giorno in facoltà a Tor Vergata, molto bello, alcuni studenti si sono lamentati che si è parlato troppo di politica e poco di economia. Un altro studente mi ha detto, “se siete d’accordo sul 70% delle cose, perché non vi alleate per il bene del Paese e mettete da parte le vostre differenze” (che sono molto minori, diceva sempre lui, di quelle che vi separano da altri?).
Ho pensato molto a queste frasi. Se devo generalizzare, ritengo i fermatorideldeclino dei liberisti. Nei viaggiatori invece ci sono una marea di posizioni, e trovo sia un bene fecondo. La mia tuttavia è quella di un liberale “protezionista”, molto diversa da quella di un liberista. Mi spiego qui sotto su questa differenza di posizioni e sulla domanda su politica e economia.
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E’ possibile rispondere no alla domanda “la concorrenza fa bene?”. Luigi Einaudi sosteneva la liceità della domanda. Ne “Ipotesi astratte ed ipotesi storiche e dei giudizi di valore nelle scienze economiche” nel 1943 così si pronunciava:
“Il diritto di limitare i propri studii all’investigazione delle leggi del prezzo in regime di concorrenza piena … non implica dunque l’affermazione, ben diversa, che la scienza finisca a quel punto e che gli sforzi altrui intesi ad investigare se l’attuazione della concorrenza piena … sia o non sia conforme ad un certo ideale di vita cadano fuori dal territorio scientifico.”
Che nello stesso saggio continuava: “Se le premesse ed i ragionamenti degli economisti furono fecondi di grandi risultamenti scientifici, grazie debbono essere rese anche ai loro ideali di vita. Consapevolmente o non, essi possedevano e posseggono un certo ideale; ed in relazione ad esso ancor oggi pensano e ragionano.” Naturalmente Einaudi non si esime dal manifestare quali fossero i suoi ideali: “Chi, al par dello scrivente, aborre dall’ideale comunistico o plutocratico-protezionistico non può fare a meno di palesarsi fautore dell’ideale liberale”. E qui, e chiudo con le citazioni, vi è un rimando ad una nota meritevole di essere ricordata: “Liberale e non liberistico ché liberismo è concetto assai più ristretto sebbene abbastanza frequentemente compatibile col liberalismo; ed ha un contenuto concreto di applicazione, in particolare a certi problemi soprattutto commerciali e doganali. Il liberalismo implica un ideale di vita e vien fuori da imperativi morali assoluti (la cui condizione fondamentale è quella della libera scelta da parte degli uomini dei proprii fini e quindi anche dei propri consumi)”.
Come vedete, l’economista Einaudi aveva ben chiaro che per porre un problema economico bisognava esprimere dei giudizi di valore politici. L’economia nel vacuo dell’ideale è nulla perché non rimanda a dei valori.
Quindi per Einaudi il liberismo (la concorrenza) non è né condizione sufficiente né necessaria per perseguire l’ideale del liberalismo. Tema d’attualità, visto che si ha spesso l’impressione di vivere in un’area geografica, l’Unione Europea, che ha fatto del liberismo economico, della concorrenza, un’ideale di vita. Non uno strumento, come lo intendeva Einaudi, funzionale, quando può (e spesso può), all’ideale del liberalismo, quello di rimuovere le barriere alla libertà di scelta degli individui. E questo è un male. Gli esempi non abbondano, ma non sono nemmeno pochi. Ne cito alcuni, cercando di provocarvi un po’.
Primo, la concorrenza nel mercato del lavoro. Sia Smith che Einaudi hanno sempre messo in guardia da riforme che introducessero eccessiva concorrenza nel mercato del lavoro. Smith si preoccupava dell’eccessivo potere delle imprese rispetto ai lavoratori; Einaudi raccomandava la nascita di grandi gruppi confederali da un lato e l’altro del mercato: “l’organizzazione perfetta delle leghe padronali e delle leghe operaie allontana il pericolo degli scioperi e dei conflitti violenti”. Entrambi temevano, anche se per motivi diversi, un’asimmetria di potere contrattuale tra le parti, così estrema, da essere portati a giustificare la nascita di associazioni volontarie dei lavoratori ed imprenditori volte a confrontarsi. Associazioni volontarie che invece, come ben sappiamo, sono vietate tra imprenditori dalle leggi Antitrust quando si tratta di decisioni sul quanto produrre ed a che prezzo, proprio per non generare un eccessivo potere contrattuale a scapito dei consumatori. Un’asimmetria tale, e torno al mercato del lavoro, una tale debolezza di una delle parti rispetto all’altra, da svuotare il concetto di libertà di scelta da parte dei lavoratori, e quindi intollerabile per un liberale.
In effetti, a guardare i dati, esiste pochissima evidenza empirica che là dove i mercati del lavoro divengono più concorrenziali (flessibili diremmo noi) indebolendo le protezioni per i lavoratori le prestazioni dell’economia migliorano. Il Premio Nobel Robert Solow si spinge addirittura a dire che anche se tali miglioramenti avvengono non sarebbero desiderabili se generano troppa insicurezza sul posto del lavoro per il lavoratore.
Eppure non è questa l’enfasi che proviene da Bruxelles, specialmente dalla Commissione Europea, che si spinge fortemente in avanti sul tema invece della flessibilità.
Esempio numero due. Gli appalti pubblici. Negli Stati Uniti, dal 1953, Amministrazione Eisenhower, la partecipazione alle gare d’appalto delle piccolo imprese è protetta da un notissimo Atto, lo Small Business Act, che riserva un minimo di 23% degli acquisti pubblici alle Piccole imprese (fatturato inferiore a 750.000 dollari annui). Val la pena citare le apparentemente contradditorie parole di apertura dell’Act: “L’essenza del sistema economico privato americano è la libera concorrenza. Preservare ed espandere tale concorrenza è basilare non solo per il benessere ma anche per la sicurezza della Nazione. Tale sicurezza e benessere non possono essere realizzati a meno che l’attuale e potenziale forza delle piccole imprese non sia incoraggiata e sviluppata.”
Al di là dell’accostamento tra sicurezza e benessere economico (la nazione ricca è una nazione forte e dunque sicura) su cui tornerò tra poco, merita qui notare che viene accordata alle piccole una protezione che impedisce alle grandi imprese di liberamente partecipare ad alcune gare d’appalto. Tale protezione è, di nuovo, basata sul rimuovere una chiara asimmetria di potere contrattuale, questa volta tra piccole e grandi imprese che hanno capacità diverse in partenza per partecipare a gare d’appalto, e ciò è confermato dal fatto che tale protezione è estesa ad imprenditori appartenenti a minoranza etniche.
E in Europa? Oggigiorno la Direttiva Europea sugli appalti (anche l’ultima di prossima approvazione) esclude la possibilità di prevedere che una quota degli appalti pubblici sia riservata e destinata esclusivamente alle piccole e medie imprese. Il problema appare gravissimo nei nuovi Paesi membri dell’Unione Europea che hanno appena aperto completamente il loro mercato delle commesse pubbliche alle grandi imprese estere multinazionali.
Siamo di fronte ad un apparente paradosso: una politica liberale, quella degli Stati Uniti, che restringe la concorrenza; da paragonare ad una politica puramente liberista europea.
Questi due esempi sintetizzano efficacemente le ragioni dello scetticismo che circonda da qualche tempo la costruzione europea, apparentemente slegata da un qualche ideale e votata a raggiungere testardamente un mero risultato tecnico-economico spesso slegato da un’analisi piena del suo impatto ultimo.
Le quote rose al femminile e la quota lattanti da me proposta ieri fanno parte di queste tutele necessarie per ridurre l’asimmetria del contratto sociale all’interno del Paese in cui viviamo, in cui la discriminazione verso donne e giovani è evidente.
Vi è infine la questione della contendibilità di alcuni settori considerati strategici rispetto all’interesse economico di controparti estere e dunque della concorrenza non tanto tra imprese ma riguardante la proprietà delle imprese. Dobbiamo per forza aprire le nostre imprese del settore della difesa, le nostre imprese energetiche, telefoniche, bancarie ad acquisizioni da parte di stranieri? Rispondere no a questa domanda significa evidentemente non essere considerati come liberisti.
E’ giusto allora parlare di limitare la concorrenza proprietaria verso l’estero?
Mi sembra che si possa tranquillamente dire sì nel caso del settore della difesa e dell’energia senza tradire il credo liberale. E anche qui per non generare eccessiva asimmetria nelle posizioni contrattuali, in questo caso dei nostri cittadini rispetto a quelli di altri Stati. Nella difesa, cedere un’azienda chiave in mani estere significa cedere significative porzioni di informazioni strategiche, che generalmente si vogliono mantenere segrete e quindi indebolirsi come Paese in termini di protezioni dei confini nazionali. Così come ci si indebolisce nel momento in cui le priorità energetiche del Paese vengono sacrificate alle priorità di altri Paesi a cui l’azienda in mano estera è più sensibile.
Indipendenza energetica. Se e nei limiti in cui il concetto di libertà dei cittadini di un Paese è messo in pericolo dal possesso straniero di tali aziende non vedo perché un liberale non debba opporsi alla contendibilità di tale imprese.
Se così è, estenderei – anche se con meno passione e convinzione – questi ragionamenti al settore delle telecomunicazioni e al settore bancario.
Per un Governo che deve garantire la sicurezza interna con controlli e spionaggio anti-crimine e/o anti-terroristismo, anche via rete telefonica, è pensabile che ci si possa preoccupare di mantenere perlomeno un carrier nazionale.
E che dire del settore bancario? Esiste abbastanza evidenza empirica che dopo le fusioni tra banche di diverse nazionalità il mercato dei servizi non diventa più concorrenziale di prima dato che gli stranieri si adattano alle pratiche del mercato interno. In assenza di benefici evidenti per i consumatori, come non preoccuparsi di una proprietà straniera che – o per motivi politici o per motivi di asimmetria informativa – presterà meno alle nostre piccole imprese con il nostro risparmio? Se, come sostengono gli americani, benessere economico comporta sicurezza, come non preoccuparsi di una proprietà che ovviamente non è neutrale nelle sue scelte e che sbilancia il potere contrattuale a favore delle imprese estere e contro le nostre (specialmente piccole) imprese? E non si pensi che tale atteggiamento sia da denunciare come provinciale: a parte il Regno Unito (che basa il suo sviluppo economico sul divenire la piazza finanziaria mondiale) gli altri Paesi sviluppati, inclusi quelli dell’Unione Europea, non sono più esterofili di noi quando si tratta di aprire la proprietà delle banche.
Si dirà che siamo in Europa e che quindi dobbiamo ragionare così solo verso i paesi fuori dall’Unione Europea. Può darsi. Allora a questo punto ricorderei che tali acquisizioni vanno legate strettissimamente al concetto di reciprocità.
Se così non fosse, finché alla cultura dello sviluppo europeo non si affianchi lo sviluppo della cultura europea che porti ad un Governo politico europeo, bene facciamo a proteggere le nostre libertà coltivando campioni nazionali non contendibili.
Più di ciò non riesco immaginare contro la concorrenza: da qui in poi ha inizio il territorio vasto e fertile in cui liberismo e liberalismo vanno a braccetto ed in cui va tenuta, alta e bene in vista, la bandiera della concorrenza.
Ma, come potete ben capire, non è facile ridurre queste differenze e sedersi al tavolo di una visione di programma comune.
21/10/2012 @ 21:50
Lei è sempre gentilissimo Professore, anche con una semi-mascalzona che ogni tanto se ne esce con delle bordate non troppo bon ton.
Una volta il liberismo non mi sembrava male. Ma solo perché ero completamente disinteressata alla politica e all’economia e non sapevo nulla di queste asimmetrie (e di molto altro, completamente lobotomizzata dall’informazione di regime che seguivo con estrema superficialità, ahimè!!!).
Oggi, grazie anche a lei, sono riuscita a capire molto di più.
Non mi piace il livellamento totale, resto convinta che il merito vada premiato, ma è certo che la forma di politica/economia attuale non è assolutamente equa e neppure lungimirante. Invece di progredire, stiamo retrocedendo e non si può dire che la concorrenza sia libera. Credo che finirà per implodere, mi sembra autodistruttiva.
Ovviamente, ci deve essere un sistema che controlli e compensi questi enormi squilibri di potere e di ricchezza a tutela degli attori più deboli e a garanzia dei diritti/servizi fondamentali e di una sostanziale parità di possibilità.
Il merito più grande delle lobby è quello di aver comprato politici che fanno leggi che aumentano il loro strapotere e la loro ricchezza, quindi possono comprarsi ancor più potere politico che gli garantirà ancor più ricchezza (togliendoli ovviamente a tutti gli altri) in un circolo vizioso. E non dimentichiamo che si comprano anche l’informazione. La concorrenza non è realmente libera e i “meriti” non sono veri meriti positivi.
Il mio ideale è quello di libertà e benessere il più possibile diffusi ed è chiaro che in Europa stiamo andando in direzione ostinatamente contraria. Se pure in Germania, con il suo spaventoso surplus, il valore reale dei salari è diminuito e dilagano i minijob sottopagati, c’è evidentemente qualcosa che non va.
Chi parla di far concorrenza alla Cina ha capito cosa significa?
Nonostante gli esempi citati, ho molte perplessità anche sugli USA.
Per quanto riguarda le imprese straniere, in linea di massima e salvo rare eccezioni, preferirei che rimanessero all’estero.
Ovviamente le differenze tra Lei e i cosiddetti fermatorideldeclino non sono quisquilie e un accordo è impossibile. Però il nome è sbagliato perché seguendo le loro idee il declino è assicurato.
Professore, mi ha detto di aver scritto tanto fa sul “divorzio” Banca d’Italia – Tesoro, ma non mi ha detto cosa ha scritto (o dove trovarlo). Pro o contro?
Grazie per i suoi sempre interessantissimi e “poco allineati” post (che ultimamente ho poco tempo per seguire). Lo dico con stima sincera, non come il supinamente allineato dott. Barisoni.
ps
Se si “disallineasse” ancora un po’ (sull’euro) potremmo rimuovere l’ultima barricata che ci separa.
21/10/2012 @ 22:02
Ma lasciamo ancora qualche barriera sennò questo sito perde energia!
Scrissi nel 1998 sull’irrilevanza dei banchieri centrali indipendenti credo mi riferissi a questo. Lo pubblicai in inglese e in italiano su studi economici (si interessò allora di tradurlo il prof. Graziani, noto economista napoletano e fu una cosa bella sentire il suo interesse, quasi più che pubblicarlo su rivista inglese!).
Non lo ho in italiano se non stampato e ho trovato un vecchio file in inglese in word. Mi dica se lo vuole e come.
Di fatto dicevo (avendo come alleato, pensi un po’ Milton Friedman!) che indipendenza banche centrali o era inutile perché il popolo alla fine ottiene quello che vuole o pericoloso perché finiva nelle mani dei banchieri (come pensava e temeva Friedman). Pensi che (stasera sono preda di nostalgie da vecchiotto) mandai il lavoro a Friedman e 2 mesi dopo mi arrivò nella posta (non elettronica) una sua bella lettera scritta a macchina che aveva amato il lavoro. Ero felice allora di queste cose.
Scoprii anche un interessante saggio di David Ricardo sull’importanza di nazionalizzare le banche centrali.
Grandi anni quelli lì.
21/10/2012 @ 23:27
Grazie 1000 per la risposta, ma saltano fuori le mie lacune, abbia pazienza!!!
Milton Friedman dovrebbe essere, se non sbaglio, quello che ha ispirato le politiche di Thatcher e Reagan (e di Pinochet).
Però voleva le banche centrali nazionali? Non è in contraddizione?
E anche lei era sfavorevole alla separazione in quanto aveva previsto che sarebbe finito tutto nelle mani dei banchieri? Ho capito bene?
Secondo c’è qualche possibilità che si ritorni a una nazionalizzazione?
Non si preoccupi per il testo, con l’inglese non me la cavo tanto bene, mi bastava sapere la sua opinione.
Sono contenta di averle fatto ricordare un bell’episodio, ma non sia troppo nostalgico, sono certa che il meglio debba ancora venire! (i vecchietti sono tutta un’altra cosa e sa che la piaggeria non è il mio forte)
21/10/2012 @ 23:33
Assai incredibile non trova. Friedman in realtà non voleva banchieri centrali perché ne temeva appunto la cattura, ma una semplice regola costituzionale che facesse crescere la moneta ad un tasso costante compatibile con una qualche stabilità dei prezzi.
Io combattevo allora il mandato alla BCE – come oggi – sia perché era solo sull’inflazione sia perché temevo che venisse catturata dalla lobby dei banchieri, come Friedman.
Se lei guarda cosa è successo in Ungheria vedrà che la nazionalizzazione è politicamente impossibile perlomeno ora.
Ma modificare il mandato della BCE non è impossibile. Né chiedere un maggior potere di controllo al Parlamento europeo.
22/10/2012 @ 09:52
Milton Friedman ha ispirato le politiche di Pinochet!!!!??? in Germania il valore reale dei salari è diminuito!!!!??? ma lei le legge le cose che scrive o parla a caso tanto per dire?
Ma tanto il problema dell’Italia non è il liberismo…
22/10/2012 @ 15:40
http://ideas.repec.org/a/diw/diwwrp/wr5-28.html parlatene
22/10/2012 @ 19:59
ah, quello studio non lo conoscevo… Quindi chiedo scusa a Silvia a metà (visto che la storia secondo cui un difensore delle libertà individuali e diritti civili sarebbe la musa ispiratrice di un dittatore la dice comunque molto lunga…)
22/10/2012 @ 22:16
Carissimo Marco Della Seta,
a me pare proprio che Friedman abbia avuto rapporti con Pinochet, ma ho aggiunto che su questo potevo anche sbagliare.
Sono convinta che sia esatto, ma siccome sono entrambi morti e sepolti, a me preme piuttosto il futuro di noi europei (ovvero italiani, greci, tedeschi….) e quando dico che il valore reale degli stipendi tedeschi è sceso, so bene quel che dico.
Ringrazio il prof. Piga per aver linkato una fonte, che non era la mia, ma altrettanto attendibile e pubblicata addirittura su Ideas.
Possiamo parlarne finché vogliamo, ma non si tratta di opinioni: i numeri sono dati oggettivi al di sopra delle soggettività.
Ma dico, Marco, è su internet le costava tanto fare una ricerca? E se non mi ha corretta il prof. Piga, non l’ha neppure sfiorata l’idea che potesse essere giusto? Non le pare di essere un tantino presuntuoso?
Purtroppo la sua risposta prova chiaramente qual è il nostro male più grande e pericoloso: la gente che invece di usare la testa preferisce aderire supinamente al pensiero unico, acritico e dominante.
Forse legge troppi quotidiani di regime. Le consiglio di disintossicarsi. Il blog del prof Piga è un buon antidoto, se lo rilegga dall’inizio.
Professore,
dice che una ricongiunzione tra banca d’Italia e Tesoro sarebbe impossibile citando l’Ungheria. Ma se qui e in tanti altri paesi ha funzionato per tanti anni perché dovrebbe succedere come in Ungheria? Perché non potrebbe semplicemente tornare come prima, dopo aver visto l’esito disastroso del “divorzio”?
22/10/2012 @ 22:26
Scusate il commento a puntate, ma per curiosità ho cliccato sul nome Marco Della Seta:
“I am collaborateur de recherche (postdoc) at UNIL-University of Lausanne, Institute of Banking and Finance”
ODDIO!!!!! Ma lei non è una persona qualunque come me che, se dice stupidaggini, ha sempre la giustificazione di fare tutt’altro nella vita.
E poi dicono male dei docenti universitari italiani…
23/10/2012 @ 13:38
Cara Silvia,
come ha visto, appena visto qualcosa che “contraddice” quello che dicevo, non ho avuto nessun problema a tornare sui miei passi. E questo nonostante che il paper linkato sia UNO e non pubblicato (Ideas, per sua informazione, non è una pubblicazione).
Quello che si sa per certo è che in Germania i salari sono cresciuti meno della produttività. ma qualcuno dovrebbe anche dirle che questo deriva da accordi tra imprese e i sindacati dei lavoratori tedeschi.
Poi, visto che non ha elementi per giudcare il mio lavoro, tralascio sul “e poi dicono male dei docenti universitari italiani”. Ma le posso assicurare (dato che sono quasi 7 anni che sto all’estero) che è vero, ne dicono male.
Faccia un giochino, prenda una lista delle riviste internazionali considerate di un certo rilievo in economia e finanze e guardi in media numero di pubblicazioni (vere, non finte) dei docenti universitari che lavorano in italia quelli all’estero.
Poi si chieda anche perché la gente se ne va dell’università italiana e provi a darsi una risposta.
23/10/2012 @ 14:49
Marco, io capisco tutto, ma perché deve creare polemica invece di discutere con calma? La tendenza a fare di tutte le erbe un fascio è propria di fermare il declino, ma non di questo blog, dove ci confrontiamo con calma.
Lei sta dicendo che ci sono più ricercatori bravi all’estero che non in Italia? E da dove tira fuori questo stereotipo?
I ricercatori italiani alcuni sono bravissimi altri meno. Idem all’estero. E per favore non mi dica che un buon economista si vede dal numero di pubblicazioni su riviste di un certo rilievo: condizione né necessaria, né sufficiente.
Marco, la vita è bella perché è complessa e ogni situazione merita un’analisi specifica, senza stereotipi: sennò la cura ammazza il paziente.
Continui a seguirci con rassegnata calma olimpica. Potrebbe essere un valore aggiunto stimolante per tutti noi.
23/10/2012 @ 22:09
pubblicare[pub-bli-cà-re] v.tr. (pùbblico, pùbblichi ecc.) [sogg-v-arg]
• Diffondere, rendere qlco. di pubblica conoscenza: p. una notizia segreta; in partic. divulgare qlco. per mezzo della stampa o di un sito web: p. un articolo
Ergo, tutti gli articoli presenti su http://ideas.repec.org/ sono pubblicati da Ideas.
E se io mando un paper mio non lo inseriscono di certo nel database.
Di suo c’è qualcosa?
Sono italiana e sono fiera del mio paese. Nelle nostre università ci sono tantissimi bravi docenti e altri meno bravi, come ovunque. Criticarle per partito preso è un luogo comune. Io invece mi riferivo a una caso specifico (il suo).
E visto il suo impegno anche politico, la sua negligenza sulla situazione dei salari tedeschi non è una mancanza da poco.
24/10/2012 @ 09:20
Caro Piga, vedo come in questo blog ci si confronta con calma. Infatti, avendo un punto di vista un po’ diverso dal vostro vengo accusato, non si sa su quali basi, di “aderire supinamente al pensiero unico, acritico e dominante”.
Cara Silvia, le comunico che, al contrario di quello che pensa lei, tutti possono inserire un articlo nel database di Ideas. Pure lei. Ne tragga le dovute conseguenze.
Comunque si, in Italia va tutto bene, le università funzionano alla grande (tanto è vero che dall’estero non viene nessuno) e i problemi che ci sono derivano dal complottone neoliberista organizzato da me, Boldrin, Zingales, la CIA, il Mossad e Citigroup.
Vi saluto definitivamente. Statemi bene.
24/10/2012 @ 09:24
Bye. Best of luck.
22/10/2012 @ 09:02
Ho sentito anch’io la necessità di distinguere liberale e liberismo. L’ho fatto dal punto di vista lessicale in un articolo al quale ho ora aggiunto il link al suo. L’articolo si trova là: http://vietatoridere.blogspot.it/2012/10/liberale-liberalismo-liberismo.html
22/10/2012 @ 22:39
Caro Marco,
so che Wikipedia non è Ideas, ma conferma la relazione tra l’economista e Pinochet e rimanda pure ad una lettera citata come fonte.
http://wwww.naomiklein.org/files/resources/pdfs/friedman-pinochet-letters.pdf
Definire poi un difensore dei diritti civili uno che ha ispirato Thatcher e Reagan, mi sembra un tantino fuori luogo, ma la sua attività spiega tante cose sul diverso modo di intendere le parole “diritti civili”.
23/10/2012 @ 14:08
Scusi lei ha mai letto quialcosa di Friedman?
P.S. il beato Giovanni Paolo II è andato in visita di stato da Pinochet oltre che avere collegamenti piuttosto stretti con i colonnelli argentini. Scriva una letterina pure a Ratzinger.
23/10/2012 @ 21:30
Infatti il Vaticano non è esattamente all’apice dei miei ideali.
Se mi dà l’email scrivo una bella letterina a Ratzinger. Per Wojtyła è tardi.
Le sembrerà impossibile, ma lo sa che esiste qualcuno che non è debole con i forti e forte con i deboli?
No purtroppo non ho mai letto niente di Friedman, gliel’ho detto che faccio tutt’altro nella vita. L’unico libro di economia che ho letto è “Il grande crollo” di Galbraith. Molto attuale.
Ma so cosa hanno fatto Thatcher e Reagan e non mi sembra per niente un progresso in termini di civiltà ( http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/C/civilta.shtml )
E soprattutto sono ben informata sulla attuale situazione europea.
E guardi che non c’è bisogno di leggere le pubblicazioni di Ideas (che infatti non ho mai letto, se non qualche breve estratto) per sapere che il valore reale degli stipendi tedeschi sono calati. Lo sanno anche i cani (i porci ci arriveranno presto).
Diciamo che sono più vicina alle politiche keynesiane, tipo il New Deal di Roosevelt (questo ci vuole per risollevare un paese in grave crisi) e che preferisco Kennedy alla lobby dei petrolieri tra i mandanti del suo assassinio.
L’11 aprile del 1962 Kennedy affermò in un discorso ufficiale:
«Il popolo americano troverà difficile, come lo trovo io, sopportare una situazione in cui un pugno di industriali dell’acciaio, la cui ricerca del potere privato e del guadagno supera il senso di pubblica responsabilità, dimostra un assoluto disprezzo per gli interessi di 185 milioni di americani». Parole assolutamente attuali che condivido al 100.000% e forse più rivoluzionarie oggi di allora; infatti nessuno, tra quelli che contano, osa pronunciarle.
Il presidente intendeva inoltre abolire il vantaggio dell’esenzione dalle tasse sul reddito dei petrolieri per il 27.5% dei loro guadagni (esenzione per i petrolieri!!!!) e queste idee molto probabilmente gli sono costate la vita.
Ecco quali sono i meriti delle lobby. E lei chiede la privatizzazione, cioè di mettere tutto in mano a loro.
“Non ci resta che piangere”. In una manciata d’anni ci troviamo catapultati nel 1400 (quasi 1500).
23/10/2012 @ 01:23
Caro Marco Della Seta,
ho risposto a un suo commento sul vecchio post:
“Nessun Fiorito, ma 1000 viaggiatori per dare speranza a questo bellissimo Paese”
24/10/2012 @ 18:20
Carissimo Marco,
il professor Piga siamo vicini dal punto di vista economico, condividiamo principi e valori, ma siamo anche molto lontani politicamente, in quanto abbiamo un’opinione assolutamente opposta sull’euro.
A volte l’ho anche attaccato in modo abbastanza provocatorio, ma sempre su un’idea, un fatto, un argomento con cui non concordavo. Il prof. Piga è molto aperto a qualsiasi discussione, ma anche giustamente molto allergico ai luoghi comuni.
Per quanto riguarda il nostro dialogo, è stato lei il primo ad aggredire dicendo in malo modo che non sapevo ciò che scrivevo, che poi si è rivelato esatto. Dunque di cosa si lamenta?
E adesso vuole pure farmi la lezioncina e spiegarmi quello che non sapeva?
Guardi, seguo principalmente il blog del prof. Bagnai (oltre a questo) e sono sicura che finché mi baso sui dati che riportano Bagnai e Piga sono nel giusto, perché sono due validissimi e scrupolosi economisti.
Quanto al complottismo, mi pare che tra me e lei, quello più avulso dalla realtà sia lei che non conosce tanti fatti e dati e colma le lacune con i luoghi comuni, che crede che il Vaticano sia il regno dei santi e che i sindacati facciano gli interessi dei lavoratori.
E poi, fosse anche solo per disprezzo che lei e il dr. Boldrin mostrate per il mio paese e per il concetto di stato non vi voterei mai e mai. Come può uno che disprezza l’Italia rappresentarla e fare il suo bene?
Mi spiace di aver coinvolto il prof. Piga in questa accesa discussione.
ps
prof, scusi ma è vero che inseriscono nel database di Ideas gli articoli di chiunque li mandi?
01/05/2014 @ 09:22
La penso esattamente allo stesso modo (da liberale autentico e non liberista). La ringrazio molto per aver plasmato perfettamente cose che mi tenevo dentro da tempo.