Tutti nella vita abbiamo dei rimpianti. Occasioni perse, mancate, mal gestite. Spesso non abbiamo avuto maggiore coraggio, “perché si vive una volta sola” e spesso non ci è data un’altra occasione.
Penso questo leggendo l’articolo sul New York Times della Professoressa Christina Romer, ottima economista e soprattutto, per quanto rileva in quest’articolo, a capo della struttura del Council of Economic Advisors, al servizio del Presidente Obama, nei primi due anni circa del suo mandato, ora tornata ad insegnare. Fu lei l’artefice del piano fiscale del nuovo leader, e probabilmente se ne andò (anche se non lo dirà mai) per diversità di vedute rispetto al gruppo di consiglieri, che la spuntò, che preferì usare le risorse dei contribuenti Usa per sostenere il sistema bancario piuttosto che l’economia reale.
Ha tre rimpianti, Christina Romer. Li ordino in ordine di crescente importanza politica, per come la vedo io.
Il primo: “un diverso mix di aumenti di spesa e di tagli di tasse avrebbe potuto essere congegnato … Tante famiglie non si sono nemmeno rese conto di aver ricevuto un taglio della tassazione, e questo può avere ridotto l’impatto del programma.” Lo diciamo spesso: in una recessione di questa gravità le famiglie le diminuzioni di tasse le risparmiano, non le consumano. Meglio usare i soldi dei contribuenti per fare programmi di spesa pubblica con appalti pubblici che fanno lavorare imprenditori e lavoratori e generano reddito e produzione.
In Italia, anche se Monti non avesse compensato la diminuzione Irpef con l’aumento Iva, quella diminuzione sarebbe stata irrilevante per le sorti dell’economia italiana, che di ben altra potenza di fuoco espansiva ha bisogno per rilanciare PIL e abbattere il debito pubblico sul PIL.
Il secondo: “i politici – me compresa – avrebbero dovuto impegnarsi più duramente per ottenere il consenso del pubblico sulla manovra espansiva… E’ più di una mera questione di pubbliche relazioni. Le misure volte a restaurare la ripresa funzionano meglio quando ridanno fiducia – come ben capì Franklin D. Roosevelt nel New Deal degli anni trenta. Le sue trasmissioni radiofoniche alla nazione davanti al caminetto (fireside chats) ed il suo discorso d’investitura, dove proclamò che avrebbe combattuto la Grande Depressione con la stessa determinazione che avrebbe adottato per sconfiggere un nemico invasore, miravano a rassicurare gli americani. Ricerca economica recente suggerisce come i programmi del New Deal di fatto potrebbero avere avuto il loro maggiore impatto sull’economia influenzando le aspettative dei consumatori e delle imprese sul futuro corso della crescita e dell’inflazione … e a causa anche del nostro imperfetto modo di comunicare il Recovery Act obamiano ha generato solo una minima ripresa di fiducia. Di conseguenza non ha avuto quell’extra spinta (“kick”) rooseveltiana”.
Non si preoccupi Christina Romer. I nostri politici e burocrati europei hanno fatto ben di peggio. Hanno depresso le aspettative e l’ottimismo di tantissime famiglie, lavoratori, imprese, predicando la bontà dell’austerità. Il cielo europeo è diventato cielo cupo di nuvole nere all’orizzonte che ha fatto incartare l’economia europea, trascinando con essa anche, in parte, quella mondiale. Altro che rimpianto.
E poi. E poi.
E poi c’è il terzo rimpianto della Romer. Quello che mi dà più fastidio dentro, perché è al 100% anche il mio, quello per cui non c’è da rimpiangere nulla se non l’ottusa incapacità dei governanti di ascoltare la voce delle persone che soffrono.
Ecco cosa dice la Romer. Lo lascio prima in inglese e poi lo traduco. “And I desperately wish we’d been able to design a public employment program that could have directly hired many unemployed workers, especially young people.”
“E rimpiango disperatamente (sì dice proprio così) di non avere saputo costruire un programma di diretta assunzione di tanti lavoratori disoccupati, specialmente di giovani”.
Già. Come il nostro appello per l’assunzione diretta e temporanea di un milione di giovani nei gangli dove servivano della Pubblica Amministrazione, ignorato dalla burocrazia dei tecnici che non hanno tempo che di pensare ai saldi delle manovre.
Un giorno, ne sono certo, oltre al mio sarà il loro più grande rimpianto.
22/10/2012 @ 17:10
“se non l’ottusa incapacità dei governanti”
Ma non è ottusa incapacità dei governanti e non è “cattiveria”; è una mentalità, un modo di vedere i rapporti sociali che si riflette necessariamente nell’ottusa acquiescenza un po’ gaglioffa dei governati. Se non si parla di questo è inutile meravigliarsi che le buone proposte costruttive non vengano ascoltate ed è altrettanto inutile pensare di impegnarsi in battaglie come l’uscita dall’euro che richiederebbero una consapevolezza e una partecipazione che non esisteranno minimamente finché qualcuno non si deciderà a parlare alle persone faccia a faccia nella loro lingua. Lo fa Grillo che non ha proposte e fa il 20%; chi le proposte le ha o si rinchiude nel suo blog o fa come l’antico romano di Verlaine che mentre i barbari entrano a Roma se ne sta lì
“En composant des acrostiches indolents
D’un style d’or où la langueur du soleil danse”.
23/10/2012 @ 05:55
Grazie, professore, le sue riflessioni sono sempre stimolanti e accendono il dibattito li nel cuore dei problemi.
Provo a dire anch’io la mia, anche se mi devo scusare a priori, so di essere sommaria e approssimativa.
Io credo che se Christine Romer, avesse potuto, beh, l’avrebbe fatto. In realtà è il sistema capitalistico che glielo ha impedito. Sono le leggi intrinseche al meccanismo di sviluppo e accumulazione che non lo consentono. Cioè, io credo, che i vincoli sono oggettivi. Le classi sociali ( ora lobby) non ti permettono di fare queste manovre perchè ne va di mezzo della loro esistenza.
Con questo, rinunciamo? No. Ma lo dobbiamo dire. Si devono spostare forze enormi. Rapporti di forza che scalzano questi governanti espressione di questo sistema e portino al potere altri che siano espressioni di altri interessi. Scusate il mio linguaggio, è inadeguato mi rendo conto, ma il terreno della discussione a mio avviso va spostato sulle leggi del capitalismo, oggi nel mondo.
E, ultimo spunto , tratto dal bellissimo articolo citato dal professore, la democrazia partecipata. per la riuscita di ogni progetto, sia per la messa a punto ( I milioni di individui che non vengono ascoltati) sia per il sostegno delle misure messe in campo. Ma questo processo va affrontato con impegno, oserei dire che deve diventare un pezzo del nostro bagaglio culturale.