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La poesia del pecorino e del futuro aperto

A Macerata la scorsa sera a parlare – due economisti ed un filosofo – ai e con i giovani imprenditori del luogo. Parlare di “futuro aperto” dove tutto dipende da noi, tutto è nelle nostre mani. Si legge sul cartoncino dell’invito Karl Popper: “Il futuro è molto aperto. E dipende da noi, da noi tutti. Il futuro è molto aperto. E dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori, dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”.

Bello questo ottimismo, sottolineato dall’assenza di punti interrogativi. Parliamo di giovani in questo momento particolare: giovani lavoratori, giovani imprenditori, facile finire per parlare anche di piccole imprese.

In questo bel clima di volontà di fare non passa benissimo il mio messaggio che non è vero che tutto dipende da noi, specie se riferito, appunto, ai giovani ed alle giovani imprese. Troppo è fuori dalle loro mani ed è chiedergli troppo di lanciarsi nel mondo, di sfidarlo con convinzione, di aprire la porta del loro futuro, se non aiutati.

Sono piccoli, vanno aiutati. Come dei bambini, cosa fareste: gli fareste attraversare quella strada trafficata da soli o li prendereste per mano attraversando con loro fino a quando non saranno capaci di farlo e lo saranno, capaci, perché gli avrete insegnato a diventare grandi da soli? Non c’è nulla di brutto nel proteggerli, c’è qualcosa di immorale nel considerarli già come dei grandi.

Nell’arrivare a Macerata passo con la mia vecchia VW per una strada che ho percorso mille volte quando insegnavo lì, a cavallo dei secoli, 5 anni meravigliosi di una provincia italiana bellissima e piena di fiera dignità del proprio modo di vivere e di fare impresa. Mi lascio Spoleto alle spalle e con emozione attraverso la galleria che mi porterà nella Valnerina. So che di nuovo sto per entrare in un mondo di fiabe; come per magia al termine del tunnel so che mi accoglierà un tempo diverso. I colori, la luce delle cose bagnate dal Nera magicamente chiedono alla meteorologia per una volta di adeguarsi a dei voleri diversi. Sono in un altro mondo.

Ognuno ha degli angoli di mondo segreti dove ritrova la pace. Il mio è lungo una curva dove la strada bacia il fiume, a Borgo Cerreto, sotto la dominanza saggia e paterna di Cerreto di Spoleto incastonata lassù sulle rocce. Lì c’è un salumiere del luogo. Non siamo lontani da Norcia. E’ antipatico come nessun altro. Aspetta sulla strada seduto di fronte al suo negozio il cliente e lo segue malvolentieri dentro quando ci infiliamo per chiedere come sempre da 15 anni a questa parte un panino al ciauscolo (“il salame tipico delle Marche”, dice Wikipedia). Malvolentieri taglia il pane caldo, malvolentieri ci infila tantissime fette di ciauscolo, malvolentieri ti parla. Esco felice col mio panino e la mia coca cola, dopo avere acquistato (sembrava gli facessi un favore) una mezza forma di pecorino dolce di Norcia. Felice di averlo rivisto.

Attraverso la strada e entro in un giardino magico, un pezzo di terra privata donata a tutti, dove alberi ritti come soldati sorvegliano che nulla faccia del male al piccolo Nera che scorre da migliaia di anni, pulito, accompagnando le sue trote. Il silenzio è perfetto e così convinto che nessuna macchina, nessun TIR te ne distrae.

Penso al pecorino che tengo nella busta. Penso a quegli imprenditori del vicino e meraviglioso Abbruzzo, così diverso dalle Marche eppure così simile, così nobilmente montagnoso.  Penso a Nunzio Marcelli, 58 anni, che dice di voler “appendere il pecorino al chiodo”, quel pecorino che vende a Obama. Intervistato dal Corriere sorrido quando lo leggo dire al giornalista: “il mio formaggio piacerà pure ad Obama  ma già adesso riesco a malapena a pagare i miei dodici dipendenti.” Sorrido perché ne vedo la faccia dignitosa e seria quando sorride.

Continua l’articolo: “con l’ arrivo dell’ Imu rischio di andare perennemente sotto”. Da qui l’ idea di abbandonare quelle stalle, 2.500 metri quadri che secondo i suoi calcoli gli verrebbero a costare sui 4 mila euro l’ anno. «Sto pensando di abbandonarle, di abbatterle pur di non pagare. O addirittura di chiudere l’ attività e non se ne parla più. Sarebbe la fine di una tradizione familiare, generazione dopo generazione: «Io non posso lavorare in perdita. Ma lasciare quelle stalle segnerebbe un altro passo verso l’ abbandono della montagna». Fino agli anni ‘ 90 nella Valle del Sagittario erano dieci le aziende che producevano formaggio. Adesso è rimasto solo lui: «E se la montagna si spopola è un problema anche per chi vive giù in città. Anche se ve ne ricordate solo quando ci sono le frane e le alluvioni.”

L’Imu sui capannoni usati per la produzione è un urlo di dolore di tanti imprenditori marchigiani la sera all’incontro. Imprenditori non solo di pecorino, non solo agricoltori, ma di sana industria manifatturiera.

A Roma le proteste di chi si vede tassato e vede altri prodotti non locali, fatti all’estero da imprese italiane, sussidiati dallo Stato in egual modo. Grandi imprese, come al solito, che diventando grandi perché è più facile diventare grandi se si abbandona quel mix di qualità ed unicità che proviene da queste magiche terre e si va altrove abbassando la qualità. Eppure aiutiamo in maniera eguale le due aziende, quella grande capace di fare da sola e quella piccola che è più sola.

Ecco mi dico, non dipende da loro. Dipende da noi. Dipende dal Governo che deve capire che esiste un mondo che non ce la fa a queste condizioni e che quel mondo sparisce se non lo proteggiamo, e con lui un po’ di bellezza. Non possiamo chiedere ai giovani di affermarsi ed aprire un futuro se noi, dall’alto della nostre torre, gettiamo su di loro qualche obolo e chiudiamo il portone con enormi chiavistelli, rendendo impenetrabile il loro futuro per garantirci un triste presente senza innovazione, idee nuove e tradizione.

Nasca subito un Ministero per le Giovani Imprese, come negli Stati Uniti. Nasca per proteggere e coltivare il bello che è in ognuna delle loro giovani e forti idee. Nasca per non spezzare oggi per sempre il germoglio che domani diverrà quercia.

6 comments

  1. oriana salvucci

    18/03/2012 @ 13:48

    caro professore, il suo articolo mi ha commosso , mi hanno emozionato le descrizioni dei luoghi e la magia tipicamnte marchigiana di alcuni di alcuni angoli…ma soprttutto il suo lirismo..e anche la sua analisi che non ha niente di lirico ma che condivido. L’unica attenuante è il credere nella imprevedibilità del reale almeno nel lungo periodo. e tanto altro ci sarebbe da dire e mi riprometto di dirglielo a voce, magari, se ci sarà occasione.
    Un grazie di cuore.

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  2. Rudy Colacicco

    18/03/2012 @ 13:58

    Caro Prof., complimenti per il bell’articolo sulla mia terra. E’ stato un piacere leggerlo. Si sente che lo ha scritto con il cuore.

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  3. Tiziano Micci

    19/03/2012 @ 13:20

    Porfessore,
    ho lasciato le Marche quando avevo pochi mesi, ma molti anni orsono.
    Non le dico con quale orgoglio sentivo parlare del “modello marchigiano”. Orgoglio che si faceva più forte nel vedere quell’artigianato marchigiano ed umbro che con i suoi salumi e formaggi contrastava il piattismo culturale della grande distribuzione.
    Sono pienamente daccordo cone lei tranne su una cosa: perché ministero per le giovani imprese? Perché un cinquantenne che vuole aprire una piccola impresa non deve essere aiutato, specie se ha perso il lavoro?
    Ben venga un Ministero nuovo ma per piccole imprese di qualità!

    Grazie per quello che mi ha fatto rivivere con il suo articolo!

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  4. Ci sono piccole imprese che non sono solo fonti di reddito e di posti di lavoro: sono le nostre tradizioni, sono la possibilità di resistere ai prodotti alimentari industriali, realizzati con materie prime di scarsa qualità, nella logica del puro profitto, non della ricerca dell’eccellenza.
    Far sopravvivere le nostre aziende “a km zero” è fondamentale anche per il nostro benessere fisico, la nostra salute.
    E’ per questo che ritengo sia un gravissimo errore caricare di altri costi, con l’IMU, l’equilibrio finanziario di agricoltori e piccoli produttori locali. Se loro chiudono, ci rimane il cibo delle multinazionali anonimo ed insapore (deve piacere a tutti, per massimizzare il suo target di mercato), e non mi sembra un passo avanti. E anche poco salutare, poichè riempito di sale e prodotti chimici che cercano di dare consistenza, colore e gusto a qualcosa che altrimenti sarebbe poco gradevole. Basta leggere le etichette per rendersene conto.
    Ad esempio, nel salame del suo panino, di sicuro non c’era il lattosio, nella tradizione non si è mai utilizzato. E invece, perchè le grandi aziende ce lo mettono? per dare colore scuro (come se fossero stagionati) a salami che vengono venduti senza una reale stagionatura, perchè costa tenere fermi i salami per farli stagionare. Se li vendi subito con il ricavato ne produci subito altri e con lo stesso capitale finanziario si fanno più cicli di produzione nell’anno.
    Chi ci rimette è il consumatore, che paga salame e riceve salsiccia (la carne è ancora fresca, se ne accorge quando lo affetta, perchè si spappola, le fette non rimangono compatte), se è allergico al lattosio sta male e comunque non ha il sapore del salame (quello che acquisisce con la stagionatura).

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