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Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi …

Questa è l’economia. Mai scienza esatta. Così gli stessi dati (quelli contenuti nel DEF aggiornato e da noi già commentati)  possono essere interpretati in un modo da chi li scrive, il Ministero dell’Economia delle Finanze, e da chi li commenta, la Corte dei Conti, così come ha fatto nella sua audizione il Presidente della stessa, Luigi Giampaolino.

Che ha un grande merito, quello di avere portato aria fresca nel dibattito di politica economica evidenziando come i dati disastrosi contenuti nel DEF sono frutto … dello stesso DEF e del suo impatto recessivo sulla domanda interna e non di qualche incredibile congiuntura astrale. Leggete qualche passaggio in corsivo della relazione:

Nel caso dell’Italia, si sommano due fattori negativi: al rallentamento della domanda internazionale, frenata dai problemi di gestione dei debiti sovrani, si accompagna la caduta del prodotto imputabile proprio alle misure di consolidamento fiscale. E ciò a causa di una manovra di bilancio che, nel breve periodo, trasmette impulsi restrittivi su una domanda interna già avvitata in una spirale depressiva. Secondo gli stessi parametri offerti dai documenti governativi, le correzioni attuate a partire dal luglio 2011 determinerebbero una riduzione cumulata del Pil pari a due punti e mezzo nel triennio 2012-14. Anche a motivo di questo effetto, la Nota di aggiornamento valuta che, nel biennio 2012-13, il tasso di crescita del Pil potenziale sia divenuto negativo, per collocarsi sul modesto valore dello 0,2 per cento nel 2015. L’incremento che, nel corso dei prossimi anni, dovrebbe derivare dalle riforme strutturali non sarebbe pertanto sufficiente neanche a riportare all’uno per cento le variazioni del prodotto potenziale.

Solo una quota ridotta del deterioramento delle prospettive di crescita può essere fatta risalire al meno favorevole ciclo internazionale. Secondo gli stessi parametri offerti dal documento governativo, quasi due terzi della riduzione del Pil nel 2013 devono essere imputati alle dimensioni e alla composizione della manovra complessiva di finanza pubblica attuata a partire dall’estate 2011.

Secondo calcoli meritoriamente esplicitati dal DEF, l’effetto recessivo attribuibile direttamente alle misure di riduzione del disavanzo avrebbe dissolto circa la metà dei 75 miliardi della correzione prevista per il 2013.

La revisione del quadro macroeconomico riguarda esclusivamente le componenti della domanda interna. Per quest’anno, la crescita delle esportazioni continua a essere quantificata all’1,2 per cento, come già nel DEF. Una flessione delle importazioni (-6.9 per cento) molto superiore alle precedenti valutazioni  determina, al contempo, un contributo positivo delle esportazioni nette di ben 2,3 punti, a fronte dei valori di 0,2 e 1 punto assunti, rispettivamente, nella Relazione al Parlamento e nel DEF. Il contributo negativo della domanda interna sale di contro a 3,6 punti, il doppio di quanto preventivato lo scorso aprile, quello delle scorte a 0,9 punti, peggiorando di tre volte la quantificazione del DEF. Il deterioramento è ancora più pronunciato se il confronto viene esteso alla Relazione al Parlamento, che per le componenti della domanda interna indicava un contributo complessivo di -0,7 punti. Nel complesso, la caduta della domanda interna ha ormai superato quanto registrato nel 2009.

Da vari passaggi della relazione parrebbe chiaro, secondo la Corte, il ruolo negativo giocato dall’austerità fiscale nello spiegare questo crollo della domanda interna:

Nell’ultimo biennio … l’efficacia delle misure rilevanti di contenimento della spesa pubblica si è tradotta in una riduzione in valore assoluto delle uscite totali al netto degli interessi. Ma in un contesto di riduzione del Pil in termini reali, la quota della spesa sul prodotto è rimasta al di sopra dei livelli pre-crisi. L’urgenza di corrispondere alle richieste dell’Europa ha, dunque, indotto a ricorrere pesantemente al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per un ulteriore effetto recessivo.

In altri termini, ancorché obbligato, il pareggio di bilancio conseguito con queste modalità appariva alla Corte un equilibrio precario. Con un alto livello di entrate e di spese pubbliche – oltre che con un’inflazione in rapida risalita – la compressione del reddito disponibile di famiglie e imprese non può, infatti, non generare una caduta dei consumi e degli investimenti.

Si è, insomma, di fronte ad evoluzioni contraddittorie: si realizzano risultati importanti nel controllo della finanza pubblica, ma i mercati li riconoscono solo in parte; si continuano ad inasprire le manovre correttive, ma l’economia reale non riesce più a sopportarne il peso. La somministrazione di dosi crescenti di austerità e rigore al singolo paese, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e di solidarietà, e soprattutto se incentrata sull’aumento del prelievo fiscale, si rivela, alla prova dei fatti, una terapia molto costosa e, in parte, inefficace. E che, neppure, offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie.

Lo stesso orientamento dei “mercati” appare sempre più influenzato dalla percezione negativa delle prospettive di crescita di paesi come l’Italia o la Spagna ed anche dall’impressione che l’alto livello della pressione fiscale sia destinato a perdurare, in ragione della difficoltà di andare oltre l’attuale compressione della spesa pubblica, se non ripensando radicalmente il perimetro entro il quale dovrebbero svilupparsi gli interventi dell’operatore pubblico.

Questa spirale negativa è ben evidenziata dall’esame della situazione italiana. Ma, più in generale, essa appare proprio la conseguenza di una visione distorta e incompleta delle ragioni della crisi che l’Europa sta attraversando. Mercati, da un lato, e autorità europee, dall’altro, leggono la crisi e le prospettive dell’euro in modo divergente: le autorità europee, ponendo al centro della strategia economico-finanziaria il rigido controllo delle finanze pubbliche dei paesi in difficoltà e considerando debito e deficit pubblici la causa principale della crisi dell’euro. I mercati, invece, attribuendo un peso sempre maggiore ai fattori di vulnerabilità di un insieme di paesi privi di una reale convergenza economica e di una vera unione politica.

Di qui, le decisioni in materia di pareggio di bilancio (elevato al rango di prescrizione costituzionale) e di abbattimento del debito pubblico entro sentieri molto raccorciati. E, parallelamente, la messa a punto dei nuovi strumenti di intervento (scudo anti-spread e meccanismo europeo di stabilità) che dovrebbero spuntare le armi della speculazione finanziaria attraverso l’impiego di risorse di dimensioni adeguate.

Ma, dall’altro lato, l’evidenza degli insufficienti risultati di questa strategia. Il caso dell’Italia è, da questo punto di vista, esemplare, perché consente di verificare come il rigore di bilancio, da solo, non basta, se manca una crescita dell’economia su cui appoggiare la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica.

Quindi, cosa suggerisce la Corte di fronte a questo crollo della domanda interna dovuto all’austerità? La fine di questa? La reflazione via maggiore domanda pubblica  e minore tassazione? Sembrerebbe ovvio visto che la stessa Corte dubita che le riforme ci salveranno:

Secondo recenti valutazioni dell’Ocse, le riforme finora implementate potrebbero elevare di mezzo punto il saggio di crescita potenziale dell’economia italiana in un arco di tempo di dieci anni. L’azione di governo apre, dunque, fondamentali prospettive di recupero per l’economia italiana. Cionondimeno, non si può non rilevare come i risultati attribuiti al programma di riforme abbiano una dimensione insufficiente per colmare il vuoto di domanda apertosi a partire dal 2007. Oltre ai dati già richiamati, è necessario a tal riguardo sottolineare che siamo in presenza di un ridimensionamento della domanda aggregata che a metà 2012 aveva raggiunto queste cifre: -19 per cento per gli investimenti in macchinari, -23 per cento per le costruzioni, -4 per cento per i consumi delle famiglie, – 6,7 per cento per le esportazioni. Sono valori fortemente negativi e presumibilmente destinati a peggiorare nella seconda parte dell’anno e nei primi mesi del 2013. Necessario è dunque rafforzare la strategia per la crescita, affidando ad essa obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati. Gli interventi per la crescita sono solo in parte riforme senza spesa. E sicuramente richiedono che si apra una prospettiva di riduzione della pressione fiscale.

Bene, dunque? Espansione fiscale? No, un attimo:

Per quanto risulti non semplice in una fase di allarme sopito ma non cessato, vi è, dunque, da auspicare che l’impostazione della politica economica (soprattutto della politica di bilancio), non più costretta dalla sola spinta dell’emergenza, riacquisti gradualmente un segno di maggiore equilibrio, recuperando le condizioni per la crescita economica, secondo le linee efficacemente tracciate dal Governo stesso (ma non è quello stesso Governo che vuole l’austerità?).

…  ciò non può avvenire attraverso un allentamento – che non ci è consentito – del percorso di riequilibrio dei conti pubblici avviato.

E quindi? E quindi, altro che politiche espansive, eccole qui le politiche che la Corte raccomanda:

Vi è semmai la necessità di muovere con ancora maggiore determinazione in direzione di una attenta selezione della spesa, accelerando sul fronte della semplificazione del quadro amministrativo (unioni di comuni, province regioni….) incidendo sulle strutture di rappresentanza ma anche sulle sovrapposizioni di competenze ancora esistenti; portando a termine un processo volto ad individuare le aree di spesa che è opportuno dismettere superando logiche meramente difensive; garantendo il coordinamento delle strutture destinate alla tutela dei diritti fondamentali, per destinare le risorse oggi disperse in incomprensibili duplicazioni ad un miglioramento della qualità del servizio. Una revisione dei confini dell’intervento pubblico richiede una attenta riconsiderazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici e dei meccanismi per la selezione degli accessi agli stessi. Solo in tal modo sarà possibile attenuare gli effetti negativi di un inevitabile restringimento delle tutele garantite dal settore pubblico. E’ determinante pertanto l’opera di revisione dei sistemi di valutazione delle condizioni economiche a cui sta lavorando il Governo. Un processo che tuttavia richiede l’approntamento di un adeguato sistema di controlli e di sanzioni.

Spero che voi abbiate capito. Io no. Parrebbe un misto di riforme (ma non bisognava colmare un vuoto di domanda?) e una non meglio precisata serie di provvedimenti amministrativi volti a ridurre il ruolo e l’invasività dello Stato. Per carità, utilissimi. Ma che c’entrano con il vuoto di domanda che causa la crisi?

*

Ma io non me la prendo con la Corte dei Conti, che è stata ventimila volte più coraggiosa di qualsiasi altra istituzione italiana sinora nel far capire le cause dei problemi italiani. Non me la prendo che alla fine si sciolga come neve al sole di fronte all’idea di menzionare l’unica logica conclusione dell’ottimo ragionamento di partenza.

E cioè: la congiuntura pessima e l’alto debito-PIL sono causati dalla forte tassazione e scarsa domanda pubblica? Sì? Sicuri? E allora c’è solo una cosa che si può fare: si diminuisca la prima e aumenti la seconda, ovvio!

“No, non si può fare più spesa pubblica e meno tasse, aumenta il debito su PIL!” Ma come aumenta? Mi avete appena dimostrato che, al contrario, aumenta a causa della scarsa spesa e alte tasse!

Mi capita spesso, ai convegni sulla crisi. Di vedere tante persone che sanno cosa devono dire ma non ce la fanno a dirlo. Li vedi, stravolti, i loro volti si arrampicano sulle loro rughe, l’occhio si spegne, l’eccitazione termina: sanno dove è la verità ma sanno anche che non possono dirlo, o che non devono dirlo, anche se vogliono dirlo. Poi vengono da me e mi dicono “bravo, bravo, diglielo tu” e ci abbracciamo. Magari andiamo pure a bere un bicchiere insieme: a quel punto mi spiegheranno pure quanto odiano non poterlo dire, perché sono d’accordo con me.  Gli voglio bene e poi parliamo d’altro.

Ma la goccia scava la pietra. Mai mi sarei aspettato la Corte dei Conti dire quasi la verità con tanto coraggio istituzionale. Piano piano. Piano piano finirà questa commedia e ci sentiremo liberi di fare e dire “la cosa giusta” fino in fondo.

3 comments

  1. La spallata che li “sblocchi” dall’impasse (a good swift kick, come per le vecchie tv) gliela può dare uno come lei se venisse il 27 “solo-ed-esclusivamente” per sostenere la proposta dell’abolizione del Fiscal Compact mettendo tutti i più rigidi distinguo che vuole nei confronti degli altri movimenti che parteciperanno alla manifestazione.

    L’ho seguita in alcuni dibattiti televisivi, non ho mai visto un economista ascoltato con tanta timorosa reverenza e solo l’idea che lei si possa essere fatto saltare la mosca al naso avrebbe un effetto dirompente presso quelli che già tentennano avendo capito che si stanno ficcando in un vicolo cieco ma hanno ancora qualche timore a dirlo apertamente.
    Il suo movimento acquisterebbe un peso straordinario dall’oggi al domani e si creerebbero i presupposti per formare delle alleanze (strettamente di programma) sufficientemente trasversali, il che nel momento attuale è un prerequisito indispensabile se si vuole che il paese intero reagisca unito per ritrovare la sua strada.

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  2. Giacomo Gabbuti

    04/10/2012 @ 06:03

    “Mai mi sarei aspettato la Corte dei Conti dire quasi la verità.”

    Questo passaggio dovrebbe inserirlo nel suo libro di Macro!

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  3. Dall’appello di 120 economisti francesi del 2 ottobre pubblicato su le Monde.

    “Au nom d’une prétendue « solidarité européenne », le traité organise de fait la garantie par les Etats des grands patrimoines financiers privés. Il grave dans le marbre des mesures d’austérité automatiques, imposées aux représentants des peuples, en contraignant leurs décisions budgétaires, dictées par une instance non élue. Le Mécanisme européen de stabilité (MES), institution anti-démocratique par excellence, pourrait proposer des prêts à des taux un peu moins élevés (5% en moyenne). Mais ces prêts seraient conditionnés à l’application d’une austérité drastique imposée aux peuples ! La garantie publique des investisseurs privés ne fait qu’encourager la spéculation, alors qu’il faudrait lui briser les reins en sortant de leur mains la dette publique.

    …”spezzare le reni”…

    Previsione: il tappo salterà in Francia.

    Vado a prenotare un posto da tricoteuse per il ritorno della Louisette.

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