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Il Regno Unito ed il Regno Disunito: quanto tempo abbiamo ancora?

Il governo crede che oggi l’Europa fronteggi una domanda fondamentale a cui rispondere: che valore (l’Europa) ha aggiunto e potrà aggiungere in futuro, oltre quello derivante dall’azione nazionale o locale, nel promuovere la prosperità e la sicurezza dell’Europa, e nell’aumentare l’influenza della voce dell’Europa nel mondo?

Ecco questa domanda (chi l’ha posta ve lo dico tra poco), pur se imperfetta nella sua struttura ortografica, avrei voluto fosse stato un qualsiasi Governo italiano a porsela. Ma la crisi ci porta lontano dal porci le domande giuste, aggravando di conseguenza la crisi.

Continuiamo a proporre soluzioni tecniche per attenuare la crisi di domani mattina dello spread senza sapere indicare la strada da seguire per ottenere il risultato che vogliamo raggiungere tra 100 anni. Roberto Perotti sul Sole 24 ore ha mirabilmente illustrato i difetti dell’ennesima proposta, quella della garanzia dei depositi bancari:

Se anche, per assurdo, non ci fosse alcun problema con il debito pubblico greco, finché c’è un rischio di un’uscita dall’Eurozona i cittadini greci continuerebbero dunque a portare i propri depositi in Germania … In questa situazione, un’assicurazione europea scongiurerebbe una fuga dalle banche greche solo a due condizioni: i depositi dovrebbero essere garantiti per il loro valore in euro, ed anche se la Grecia dovesse abbandonare l’euro. Ciò è impossibile: è impensabile che i contribuenti dell’Eurozona siano chiamati a garantire i depositi di un Paese che ha abbandonato l’euro, e per di più a garantirne il valore in euro.

Ma c’è di più. Se anche questa garanzia venisse data, essa, perversamente, aumenterebbe la probabilità che la Grecia abbandoni l’euro! Come abbiamo visto, un’uscita dall’Eurozona con la conseguente svalutazione della dracma ha il vantaggio di rendere l’economia greca più competitiva; ma ha il grave costo di diminuire il valore di tutta la ricchezza (inclusi i depositi) che viene ridenominata in una dracma svalutata. Un’assicurazione europea che garantisca il valore dei depositi in euro eliminerebbe gran parte del costo dell’uscita dall’Eurozona, lasciando solo il vantaggio della svalutazione. L’incentivo ad abbandonare l’euro per i politici e i cittadini greci aumenterebbe, e questo grazie a un’assicurazione pensata per scongiurare proprio questo evento!

È qui la differenza con l’assicurazione federale sui depositi Usa. Negli Stati Uniti, se c’è una crisi bancaria in Texas, nessuno in quello Stato penserebbe di abbandonare il dollaro. Nell’Eurozona questo rischio c’è. È una piccola differenza, ma con enormi conseguenze.

Domanda chiave a Roberto: e perché con una crisi bancaria in Texas, a nessun texano verrebbe in mente di abbandonare il dollaro? Ovviamente non perché non vi sarebbero guadagni dallo svalutare, così come per la Grecia. No. Semplicemente perché ci si sente parte di un progetto più ampio, da cui ci guadagna, ieri oggi e domani, lo Stato più povero, con i trasferimenti dagli Stati più ricchi, ma anche gli Stati più ricchi, dato che grazie alle dimensioni e forza dell’Unione influenzano lo scacchiere geopolitico a loro favore, economicamente e culturalmente parlando.

Non se ne esce: l’unione bancaria e tutte le altre belle o meno belle proposte tecniche sono figlie dell’unione culturale e sociale, e non viceversa. Vero è che gli economisti leggono poco i libri di Storia, ma questo è, francamente, così ovvio…

E dunque torno alla prima frase, pronunciata non da un governo dell’euro, ma dal governo di sua Maestà la Regina,il Regno Unito, che, a distanza di 39 anni dal suo ingresso nell’Unione europea ha lanciato una nuova iniziativa pluriennale di formidabile ambizione come sintetizzato dal Ministro degli esteri britannico:

“Oggi, ho pubblicato una ordinanza (Command Paper) che descrive nel dettaglio come affronteremo … “l’esame dello stato attuale delle competenze dell’Unione europea (UE). Tale esame sara un audit di quello che  fa la UE e di come ciò impatta sul Regno Unito. Esaminerà dove si concentrano le “competenze”, siano esse esclusive dell’UE, condivise o a supporto, di come queste siano utilizzate e di cosa ciò significhi per il nostro interesse nazionale.” E questo perché “l’Unione europea fronteggia 3 sfide urgenti: la globalizzazione, la crisi dell’eurozona e la legittimità democratica”.

Ce lo dicono, lo dobbiamo sentire da quei britannici che pian pianino stiamo perdendo (anche se loro lo negano con un fare minimalista adorabile) come àncora preziosa del nostro futuro progetto geopolitico, proprio per la nostra incapacità di progettare un futuro a 100 anni (e seguono ricchi dibattiti alla London School of Economics per preparare l’intellighenzia).

Non c’è tanto tempo per lasciare un futuro europeo ai nostri figli. Anche perché tra poco non ne vedranno l’utilità. Pochi giorni fa Alessandro Piperno ci ricordava, in un interessante articolo sul Corriere, come “è ogni istante più vicino il giorno in cui l’ultimo sopravvissuto della Shoah scomparirà dalla faccia della Terra…. Con la scomparsa dalla faccia della Terra dell’ultimo internato, infatti, non ci sarà più nessun essere umano capace di testimoniare con il proprio corpo, con il proprio spirito, con il proprio cervello, con il proprio sangue quello che successe in Europa centrale più di mezzo secolo fa. Da quel momento in poi i testimoni verranno sostituiti dai figli e dai nipoti…. Tutto questo autorizza l’ipotesi che, nel corso di poche generazioni, la Shoah — inghiottita dai decenni trascorsi, divorata dalla retorica istituzionale, banalizzata dal profluvio bibliografico, oltraggiata dal risentimento dei negazionisti, offuscata da qualche altra tragedia più incombente — diventi un fantasma? Ovvero, qualcosa di non immediatamente intellegibile. Qualcosa imposto dall’alto: come una religione, o come una vecchia carta costituzionale. Una ricorrenza in mezzo a tante altre ricorrenze. Quanto tempo deve passare prima che il più spaventoso dei ricordi cada in prescrizione?

Ecco, anche altre cose si possono dimenticare. Quanto tempo ci vorrà perché i nostri giovani, cresciuti all’ombra gentile della pace, non capiscano più dell’importanza di lottare per una Grecia sorella della Germania? E quanto stiamo noi accorciando questo tempo con le nostre miopi ed erronee politiche? Quanto tempo prima che i giovani italiani non comincino a parlare della Germania esattamente come parleranno dell’Italia i giovani tedeschi, con sprezzo e indifferenza come hanno fatto per secoli, interrotti soli dalla costruzione dell’Unione dal dopoguerra?

Come spiegargli, in assenza delle giuste politiche, che, ad un tavolo negoziale con Cina e Stati Uniti, l’Europa porterebbe con la sua storia e la sua filosofia il più importante bene planetario di tutti, quello della solidarietà?

E quanto tempo abbiamo per non diventare un minuscolo e banale frammento di questo incredibile video (cliccate qui per vederlo, grazie Lucio Picci)? Quanto? Quanto?

5 comments

  1. Quanto? 3 o 4 mesi direi.

    Perché non si prova a rispondere piuttosto alla domanda di come mai, se questa Europa conviene a tutti, alcuni la vogliono e altri no? Se l’ Europa è questo sogno meraviglioso quali sono in concreto gli interessi che si oppongono? Come si convince la gente che Europa è bello se non si spiega con chiarezza (o come dice Krugman “brutally and frankly”) qual’ è il progetto anti europeo, a cosa mira e chi lo vuole?
    Senza la partecipazione dei cittadini il “progetto più ampio”, basato sulla solidarietà rimane una chiacchiera di fronte al pericolo ben più immanente di perdere in grandissima parte il valore dei propri risparmi.
    E come si fa a chiedere solidarietà agli stranieri se prima non si predica e si pratica la solidarietà fra le classi di uno stesso paese, invece di portare avanti politiche divisive che non vengono denunciate se non da intellettuali di nicchia o troppo raffinati per avere un’ audience a livello nazionale?
    Davvero non capisco come si possa fare il manifesto di un nuovo movimento senza parlare dell’ euro che è attualmente un problema che angoscia tutti i cittadini senza esclusione, del perché sia in crisi, di come ci si voglia restare, di cosa si pensi di fare in caso di forzato abbandono che senza una preparazione sarà un massacro; non capisco come si faccia a non parlare del lavoro mentre nella vita reale è il primissimo problema, per dire se esiste un’ altra via oltre la precarizzazione permanente e la disoccupazione endemica in funzione competitiva.
    Così facendo si spingono le persone a preoccuparsi esclusivamente della salvezza almeno parziale del proprio patrimonio senza guardare in faccia a nessuno e in un simile contesto è ovvio che parlare di solidarietà, di grande progetto, di patriottismo europeo diventa un’ assurdità a cui nessuno (come chiunque può constatare) presta attenzione. Per mancanza di coraggio oggi ci troveremo dopodomani in una situazione che di coraggio ne richiederà fin troppo e passeremo alla storia come una generazione di ignavi e di opportunisti, ammesso che avremo ancora il tempo e la voglia di pensare alla storia.

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  2. Buongiorno Professore,
    Lei scrive a proposito degli USA “No. Semplicemente perché ci si sente parte di un progetto più ampio, da cui ci guadagna, ieri oggi e domani, lo Stato più povero, con i trasferimenti dagli Stati più ricchi, ma anche gli Stati più ricchi, dato che grazie alle dimensioni e forza dell’Unione influenzano lo scacchiere geopolitico a loro favore, economicamente e culturalmente parlando.”
    E’ tutto assolutamente vero ma a ciò che lei scive aggiungerei anche i termini “politicamente e militarmente”.
    Gli USA hanno un qualcosa che l’Europa non ha, una politica estera unica supportata da una forza militare, fatta di portaerei, missili e marines, che non esitano ad utilizzare quando ne sentono la necessità. E in politica estera non la mandano certo a dire, ma agiscono.
    L’enormemente inefficiente URSS si è retta per anni, anche oltre il suo fallimento interno, sugli stessi identici presupposti; quando qualcuno non ci stava, arrivavano i carri armati dell’Armata Rossa, Budapest e Praga insegnano.
    Non sto certo affermando che dovremmo mandare i carri armati con le dodici stelle in giro per il mondo, ma che una politica estera comune, cioè come ci si rapporta con gli altri è il primo ed essenziale presupposto per una qualsiasi unione, prima ancora delle politiche economiche, finanziarie e fiscali.
    Gli USA sono nati da una battaglia comune contro il colonialismo inglese e si sono basati sulla dottrina Monroe, l’America agli Americani. E questa base si sono formati prima ancora che essi fossero una potenza economica.
    Ugualmente la Rivoluzione di Ottobre ricompattò sotto l’ideale comunista e contro le mire dei vicini quello che era stato l’impero zarista.
    Lo stesso fece Ataturk in Turchia, combattendo una ulteriore guerra contro la Grecia e le altre potenze vincitrici della prima guerra mondiale.
    Se guardiamo invece a come si muove l’Europa, vediamo che ognuno va in ordine sparso, seguendo la propria storia. Ai tempi della guerra in Jugoslavia la Germania stava con i croati e la Grecia con i serbi, ortodossi come loro. Su Iraq e Afghanistan ci sono stati gli interventisti, i neutrali e i contrari. Non parliamo poi di cosa è successo per il caso Libia.
    A un texano non verrà mai in mente di pensarla, in politica estera, in maniera diversa da un californiano sull’Iraq solo perché è texano. In Europa un italiano la pensera diversamente da un francese proprio perché è italiano.
    Il governo Berlusconi flirtava con Putin (e Schroeder ha fatto lo stesso). Vada a raccontarlo ai polacchi divisi da secolare e ricambiata (l’esercito polacco è stato l’unico ad occupare Mosca per oltre un anno; Napoleone, che pure ci arrivò, se ne dovette andare subito) inimicizia con i russi. Non a caso agli ultimi europei di calcio, peraltro tranquillisimi e senza neanche polemiche arbitrali a fare da innesco, i tifosi di Polonia e Russia se le sono date di santa ragione. E non tiriamo in ballo i soliti teppisti, La settimana scorsa ero in Polonia ed un mio collega mi ha detto che tutti sapevano che, giocandosi la partita a Varsavia, rasa al suolo dai tedeschi mentre i russi stavano beatamente a guardare, gli incidenti sarebbero scoppiati. Ma la miopia dell’UEFA ha avuto la meglio. E lo stesso vle per l’UE

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  3. Aggiungo un aneddoto che ho letto qualche tempo fa che spiega bene cosa significa la politica estera.
    Ad un giornalista che gli chiedeva come fosse possibile che dopo una guerra sanguinosa il suo paese avesse ottimi rapporti con gli USA, un importante politico vietnamita, rispondendo con saggezza tipicamente orientale, ha detto che loro avevano un ingombrante vicino, la Cina, con cui sono stati in guerra per duemila anni. Cosa mai potevano essere vent’anni di guerra a paragone di duemila anni?

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  4. Temo davvero che la scomparsa fisica dei soggetti portatori del pathos storico e sociale (oltre che della memoria) lascerà un’Europa arida e indegna. L’aridità la stiamo già vedendo nella scomparsa dei principi etico morali (l’Europa è la zona del mondo dove il materialismo culturale è prevalso, particolarmente dopo il 1989 e in modo accelerato dall’entrata in vigore dell’Euro nel 2001). Non è cosi’ in USA, dove c’è una moralità fondamentalista di ritorno, ma anche in Cina, dove i principi confuciani e della tradizione sono integrati nel sistema politico e sociale, e poi in Africa e America Latina non c’è segno di decrescita della religiosità. L’Europa, che fu patria delle grandi idee universalistiche, si sta tramutando in una società indegna della civilizzazione da cui discende: sciovinismo, razzismo, egoismo, etnocentrismo, particolarismi, sono ormai molto diffusi.
    L’autogoverno dell’Europa si sta dimostrando una catastrofe. Al di la delle litanie sullo stato dell’economia e dei debiti, il problema europeo è eminentemente culturale, e quindi politico. I germi culturali indegni della sopraffazione e dello sfruttamento (che si sono declinati in diverso modo dal colonialismo al nazismo) non sono stati eradicati, anzi ritornano rinvigoriti dalla diffusa stupidità dilagata nella società europea.
    Nel quadro geostrategico mondiale, gli USA e la Cina stanno pensando ad un superamento del modello di Bretton Wood per mettere le basi di una nuova “pax” mondiale. La Russia e l’Europa (Eurasia) dovranno essere imbrigliate nel nuovo progetto del XXI secolo. Questione di (poco) tempo, ormai.

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  5. Pingback: Il Regno Unito ed il Regno Disunito: quanto tempo abbiamo ancora? « Sud – Il Blog di Gianfranco Miccichè

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