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Gangs of New York, China ed Italy

Quanto galoppa la corruzione in Cina, mamma mia. Specie se uno legge i giornali americani, che paiono fissati sulla questione.

In realtà è noto che quando un Paese si avvia verso un percorso di industrializzazione la corruzione cresce. Con la successiva crescita economica e lo sviluppo il Paese ottiene risorse e cultura per combattere la corruzione che declina inesorabilmente. Insomma una relazione ad “U” rovesciata: nelle prime fasi di sviluppo più corruzione e poi minore.

Questa è perlomeno la storia degli Stati Uniti.

Vi ricordate le incredibili gangs of New York del grande Scorsese? Così corrotta l’America del 1860. Quella del: “Remember the first rule of politics. The ballots don’t make the results, the counters make the results. The counters. Keep counting.” (“ricordati la prima regola della politica: le urne non determinano i risultati, gli scrutatori determinano i risultati. Gli scrutatori. Continua a contare i voti“).

Ma quanto era corrotta quell’America? Più o meno della Cina odierna?

Ecco questa è una domanda che val la pena porsi. E’ l’unica domanda valida. Non certo valido è il paragone tra Cina e Stati Uniti odierni, come paragonare mele e banane. Bisogna paragonare due paesi a parità di ricchezza, ce lo hanno insegnato bene Simone Borra ed Annalisa Castelli nel loro lavoro sulla corruzione: quando un Paese è più ricco è ovviamente più capace di combattere e sconfiggere la corruzione.

Se la è posta, questa domanda, Carlos Ramirez di George Mason University. Che ha notato, basandosi sul numero di menzioni sui giornali dei casi di corruzione, come la Cina di oggi è più corrotta di quella del 1996. Ma.

Ma nel 1996 la Cina era ricca come gli Stati Uniti di Scorsese, e cioè quelli del 1870. Banane con banane. E scopre, Ramirez, che il numero di crimini di corruzione negli Usa, riportati sui quotidiani americani di allora (1870), era 8 volte maggiore di quello della Cina del 1996.

Non solo.

Ma che la Cina di oggi, più ricca e ricca come gli Usa del 1928 (eh, si, quello che la Cina ha fatto in 15 anni gli Usa fecero solo in 50 …) appaiono parimenti corrotti.

Ecco il grafico affascinante proposto dall’autore (in rosso la Cina dal 1996 al 2009, in nero gli Usa dal 1870 al 1928, sull’asse delle ascisse il reddito reale pro-capite in dollari per Cina ed Usa).

 

Quindi calma e gesso. Non c’è molto di anomalo nella corruzione cinese in crescita. E’ probabile che nel tempo cali, come ha fatto negli Usa.

PS: ah scusate. Borra e Castelli hanno rifatto le classifiche della corruzione tenendo conto del livello di ricchezza. Senza tenerne conto, della ricchezza raggiunta, l’Italia è classificata 72° come capacità di essere percepita come poco corrotta. Pensate sia un cattivo risultato? Aspettate e ascoltate. Se tenessimo conto che l’Italia fa parte della fascia alta dei paesi quanto a ricchezza, allora in classifica siamo messi ben peggio. Ben peggio. Ma proprio messi male. E se il lavoro di Ramirez indica la crescita come meccanismo decisivo per trovare le risorse per sconfiggere la corruzione, allora stiamo freschi, il nostro Paese non solo non combatte la corruzione, ma non combatte nemmeno il nemico numero uno dell’antidoto contro la corruzione: la recessione. Goodnight Italy.

3 comments

  1. Riccardo Colangelo

    07/12/2012 @ 00:09

    Considerazioni su: L’italia e gli Italiani (l’uso della minuscola è voluto)

    Stamattina parto per Avezzano con mia moglie, per una serie di incombenze burocratiche.
    La burocrazia e le incombenze burocratiche racchiudono tutta la insoddisfazione di noi cittadini, sono l’archetipo prototipo dei nostri difetti nazionali (forse del nostro Stato): inefficienza, sprechi, incompetenza, corruzione. E l’affrontarle ci predispone male, ci rende critici ed autocritici. Forse ha ragione quel sottosegretario tecnico che dice che lavoriamo poco, dovremmo lavorare una settimana in più per alzare il PIL. O quell’altro che dice che i nostri giovani sono perditempo e “sfigati”. O quel ministro che dice che i giovani pretendono solo, e sono “choosy”.
    Questo mi viene in mente, mentre sono alla guida. Forse dopo un secolo e mezzo non siamo risusciti nel compito: “l’Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani”. Forse ancora non li abbiamo fatti. Per questo non siamo capaci di esprimere personalità in grado di dare all’Italia il giusto ruolo nel contesto internazionale, che per questo ci snobba. Anzi, ne abbiano espresso solo uno.

    Avezzano mi accoglie sotto il leggero velo della prima neve, che le dà un’atmosfera particolare, non il bianco accecante delle nevicate dell’inverno passato, ma una trina delicata che mette in risalto le forme. In un gelo di -4°, ed una nebbiolina che ti attacca il freddo alle ossa.
    Le pratiche burocratiche si risolvono rapidamente, con persone gentili che fanno di tutto per risolvere i problemi. Già fatto? Come l’iniezione con il celebre ago!

    E allora? Eccezione del piccolo centro. No. A questo punto mi tornano alla mente tante altre occasioni, anche a Roma, compresi i Carabinieri con i quali ho avuto rapporti non volontari dopo la sgradevole visita di ignoti a casa mia. Tanti casi in cui il front office ha lavorato in modo ottimale, magari con un po’ di attesa dovuta al numero di persone da servire.
    Anche presso le Poste, che certo non brillano per la customer care, ho incontrato uffici nei quali tutti gli impiegati, incluso il dirigente, lavoravano con un occhio alla fila, cercando di ottimizzare il livello di servizio. Una volta, dopo l’operazione allo sportello, ho fatto i complimenti all’impiegata, che mi ha guardato meravigliata, ed ha chiamato la direttrice per farmela incontrare.

    E, incredibile, nessuno mi ha mai chiesto niente, neanche l’ombra di una “mazzetta”.

    Mi sono anche tornate alla mente la dicotomia tra individuo e nazione sperimentate all’estero.
    A Stanford il mio tutor è stato Ed McCluskey, che, per chi non lo conosce, è l’autore di un teorema fondamentale per la logica combinatoria alla base dei circuiti digitali, il teorema di Quine-McCluskey. Il primo approccio è stato “qui le cose sono di tutt’altro livello”, per arrivare a “ma perché in Italia vi interessate di computer?”. Che botta! Mi sono sentito un verme. Se cominciamo così…. Ma invece il seguito è stato completamente diverso: ero come tutti gli altri, rapporti alla pari, apprezzamento personale totale.
    E così sempre, ho sempre sperimentato direttamente ed indirettamente, attraverso amici e colleghi, come all’estero noi siamo noi, affidabili, alla pari loro, ma quando si parla di Italia, l’Italia è bella, si mangia bene, ha l’arte. E basta. Tu però sei bravo, competente, efficiente, innovativo. Pensiamo a tanti nostri scienziati, tecnici, imprenditori all’estero.

    Allora gli Italiani ci sono? E l’italia ha la “i” minuscola?

    Continuo a pensare. Il front office funziona, magari sovraccarico di lavoro e con stipendi talvolta mortificanti. Magari funzionano anche i capi diretti, come nell’ufficio postale. Magari hanno l’orgoglio vecchio stampo del pubblico dipendente, il “civil servant” anglosassone.

    Forse che “l’Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani” non è proprio corretto. Retorica risorgimentale. Forse gli Italiani ci sono, manca l’Italia con la “I” maiuscola.

    E il problema allora dov’è? Forse nel back office, forse nei piani alti, forse dove il dovere viene dopo (se viene mai) la difesa della posizione personale, della sedia, del privilegio.

    Riparto verso Roma. la temperatura è passata da -4° della mattina a -2° del pomeriggio. La nebbia non si è alzata, ma subito fuori c’è il sole, ed il Velino completamente innevato è avvolto in una bellissima luce rosa.
    Rosa come le speranze degli Italiani. Ma l’italia di che colore è?

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  2. Pingback: Sarebbe ora di finirla, di parlare di #Casta » The Soviet Unit

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