Nel grande progetto di espansione fiscale 2009 a firma Obama di ricostruzione e reinvestimento c’era anche questo. Mi era sfuggito, ma merita essere ricordato. Merita ricordare cosa significa fare politica economica.
Significa riservare la bellezza di 3 miliardi di dollari per le peggiori scuole. Per ognuna di esse 2 milioni di dollari ogni anno per 3 anni.
Già. Noi le chiudiamo, le peggiori università, loro le individuano e cercano di aiutarle. Non perché gli piace spendere. Perché sanno che le scuole sono necessarie e bisogna migliorarle, non chiuderle. Ma con intelligenza, senza buttare i soldi dei contribuenti.
Così. Così i soldi vanno a scuole identificate sulla base dei risultati degli studenti nei test nazionali: attenzione massima là dove questi sono scarsi e dove non si vede miglioramento nel tempo. Specie in matematica e grammatica.
In cambio dei soldi le scuole si impegnano ad adottare uno di questi 4 percorsi: trasformazione (74% hanno scelto questo), riforma (20%), ripartenza (4%) e chiusura (2%). Nella trasformazione si sostituisce il preside e si procede a cambiamenti di docenti e progetti, mentre nella riforma si devono cambiare almeno il 50% dei docenti.
Domanda chiave. Ma ha funzionato o è il solito intervento dall’alto che porta a scarsi risultati? Molto spesso non è tanto il cambiamento esterno di per se che genera cambiamento, si dice, ma l’idea che ci sia l’interesse e la voglia di cambiare, che stimola tutti gli attori a impegnarsi di più in un contesto spesso molto difficile: famiglie, insegnanti, studenti, Stato.
Uno studioso americano, Thomas Dee, ha analizzato l’esperienza dello Stato che più di tutti ha usato questi fondi, la California. Dove 82 scuole su 9000 hanno avuto l’OK ai finanziamenti, ricevendo fondi annuali uguali a circa 1500 dollari per studente. I risultati? Miglioramenti sostanziali per quelle scuole con studenti scarsi che mostravano fino ad allora pochi miglioramenti nel tempo. Il che non significa che questi soldi, spesi su scuole invece di studenti migliori, non sarebbero invece stati inutili. Ma in quelle scuole hanno fatto la differenza.
Se in queste scuole il punteggio degli studenti era – prima del programma di stimolo fiscale – di 150 punti sotto al livello target di 800, la riforma ha ridotto di 34 punti, circa il 23% questo loro ritardo. Risultati migliori non solo quanto a voti, ma anche quanto a sospensioni e assenze ingiustificate. Con l’arrivo di maestri (per elementari e medie) più giovani e meno esperti ma probabilmente pieni di entusiasmo.
In Italia lo dovremmo fare in modo diverso, certo. Ma 2 miliardi di euro nelle scuole più in difficoltà, con monitoraggio ed assistenza di qualità, 0,1% di PIL, non sarebbe spettacoloso? Non darebbe coraggio ai tanti che lavorano in condizioni disastrate sentire che lo Stato c’è e ci tiene?
Certo che sì. Domande retoriche. Se lo Stato si mettesse in mostra, facendo vedere a tutti che le cose le sa far bene, lo spread crollerebbe. Perché la crescita si nutre di scuola.
Perché la scuola è ricca. E’ ricca di speranza, la speranza dei giovani.
Ma, come i fiumi della Sicilia del film Mery per Sempre che vedete sotto, questa ricchezza è sparita sottoterra perché non c’è stato lo Stato a proteggerla.
Ci vuole coraggio per fare emergere da sottoterra questa speranza dei giovani sparita, fare affiorare questi fiumi di nuovo dalle viscere della terra. Ma chi ha mai detto che sia facile? Chi ha mai detto che non ci spetta provarci? Sennò, scusate, cosa ci stiamo a fare qui?