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Democrazia unica e moneta

Uscito ieri su Fatto quotidiano (versione leggermente diversa) e a breve sul sito Formiche
di Paolo Messsa e Gustavo Piga

E se la crisi, almeno nella sua declinazione europea, fosse una questione più politica che finanziaria? Il dibattito di queste settimane sui rischi per le democrazie nazionali fa emergere un pezzo di verità che pure si è cercato di occultare per molti mesi. Guardiamo cosa è già accaduto a pochissimi passi da noi, in Grecia. Nata dalla pessima supervisione di Bruxelles e dei governi europei, la gestione di questa crisi ha prodotto un virus devastante a causa di una battaglia ridistributiva in cui gli interessi nazionali (tedeschi in particolare) hanno prevalso su quelli comunitari. Il Paese di Pericle è stato commissariato, spinto su una linea di austerity che ha messo in ginocchio i suoi cittadini e non é stato ancora salvato, anzi si fatica a capire quali siano stati i benefici, per la Grecia, di questi sacrifici e di queste umiliazioni. Il fatto che adesso a chiedere aiuto ci sia la Spagna e non l’Italia non dovrebbe darci particolare sollievo.
Nei giorni scorsi Otmar Issing, autorevole ex dirigente della Bce, dalle colonne del Financial Times ha spiegato che mai e poi mai i tedeschi avrebbero dato il via libera ad un salvataggio dell’Italia senza chiedere in cambio di poter intervenire nelle scelte economiche e fiscali del nostro Paese. Pochissimi giorni dopo la Bce ha ratificato l’idea di “condizionare” gli aiuti finanziari ad una cessione di fatto della sovranità, mimetizzata da un apparentemente innocuo memorandum. Mario Monti è arrivato a palazzo Chigi vergando sulle colonne del Corriere della Sera un editoriale dedicato proprio al “podestà forestiero” (all’epoca Berlusconi aveva un dubbio rapporto epistolare con la Bce) ed è quindi ben consapevole che la chiamata in causa della troika sarebbe non un salvataggio ma un fallimento. Il fallimento più grave,  peggiore dell’onta di un default. Si tratta di un esito che senza dubbi il governo è impegnato ad evitare ma rispetto al quale non può e non deve essere lasciato solo.
In meno di un anno sono stati approvati numerosi decreti legge. Sono state riformate le pensioni, la spesa per acquisti pubblici, il mercato del lavoro. È stato ratificato senza batter ciglio persino il fiscal compact: quel grimaldello contro la sovranità e la democrazia che è stato oggetto di una campagna elettorale in Francia (dove ha vinto Hollande che era contro) e che in Germania è oggetto del vaglio della Corte costituzionale, proprio perchè è evidente che è un Trattato che incide sulle prerogative fondamentali dello Stato. Abbiamo fatto quello ci era stato chiesto (sin dalla risposta della Bce a Berlusconi) ma, invece di ottenere tassi più bassi, siamo entrati – come in Grecia – in un tunnel in cui dietro le richieste legittime dei creditori si fanno spazio le mire degli speculatori, non solo finanziari, che infatti ora chiedono una svendita generalizzata del nostro patrimonio.
Quello ora spaventa più dell’Italia, e dovrebbe spaventare noi italiani per primi, non è più il valore del nostro debito pubblico ma la caduta verticale del prodotto interno lordo. Il 120% di debito è un numero enorme che va ridotto, ed era ora che se ne iniziasse a discutere in modo serio. Ma se la nostra economia continuerà a segnare il -2,5% ogni sforzo rischia di essere vano. La crescita si regge su due pilastri: la domanda estera e quella interna. Mentre la prima si va incartando in tutto il mondo anche a causa dell’austerità imposta dall’Europa nel suo insieme, obbligando Obama ad inviare i suoi emissari ad ogni vigilia di incontro decisivo europeo per sollecitare più coraggio espansivo, la seconda – consumi e investimenti – sono attanagliati dalla paura del futuro che una politica con il braccino del tennista non cancella per nulla. Ad una maggiore domanda pubblica che non sia spreco ma conseguenza di una intelligente e rigorosa spending review a monte viene negata la libertà di provare ad esercitarsi là dove l’austerità ha miseramente ed inequivocabilmente fallito.
Ruolo dello Stato versus ruolo del mercato, sviluppo versus austerità, democrazia versus ‘feudalesimo della troika’ sono solo tre dei nuovi cleavages che dividono esperti ed opinioni pubbliche ma che ancora non vedono la formazione di schieramenti politici credibili e alternativi. La difesa della democrazia e dei bilanci pubblici passa anche da qui. Dalla consapevolezza che questa crisi non riguarda solo una giovane moneta utilizzata in 17 dei 27 paesi europei ma pone questioni più profonde che non possono essere affrontate separando politica ed economia come fossero categorie distinte e non dipendenti fra loro.

3 comments

  1. Bellissimo articolo.

    Quoto:

    “gli interessi nazionali (tedeschi in particolare)”

    Temo che purtroppo non si tratti di una semplice contesa fra interessi nazionali che poi si riflette contro gli interessi comunitari.
    Non credo che i tedeschi siano gli unici o i principali responsabili e temo anzi che siano i qualche modo usati come testa di ponte da gruppi e interessi sovranazionali (che non sono gli Illuminati di Baviera nè i Rettiliani).
    Lei parla giustamente di problema più politico che finanziario e giustamente scrive dei rischi che corrono le “democrazie nazionali” (trad.: la democrazia tout court); il problema è proprio questo e sarebbe utile identificare chi può avere interesse in una drastica “semplificazione” della democrazia.
    Se si resta nel vago il messaggio non arriva e se non arriva non si ha la forza contrattuale democratica per opporsi; se si pensa di essere diplomatici per lasciare spazi di “mediazione” aperti bisognerebbe ricordare che si ha a che fare con gente che cerca precisamente di eliminare del tutto ogni passaggio di “mediazione” politica.
    Se lei stesso scrive “democrazia versus ‘feudalesimo della troika’ ” è ovvio che sta definendo degli interessi contrapposti ma finché non si ha il coraggio di nominarli si farà come Polifemo che accusava Nessuno. Tanto tra non molto ci arriveremo lo stesso quindi meglio essere espliciti subito.

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