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Anche Roosevelt direbbe no allo stupido piano anti-spread

… it appears that the EU is attempting to move towards changing their political union in a manner that creates rules for the member states and discretion for the center. This is exactly the opposite of the long run American experience where rules for the center and discretion within the rules for the member states have been the common pattern.

“… pare che l’Unione europea stia tentando di muoversi verso un cambiamento della sua unione politica in una maniera volta a creare regole per gli stati membri e discrezione a livello centrale. Ciò è esattamente l’opposto dell’esperienza di lungo corso americana dove regole per il centro e discrezione (all’interno di regole) per gli stati membri sono state le modalità tipiche”.

WHAT WAS NEW ABOUT THE NEW DEAL? Price V. Fishback e John Joseph Wallis, Working Paper 18271, NBER WORKING PAPER SERIES, fresco di stampa.

Così chi studia e riassume gli studi finora effettuati sul New Deal americano guidato da Roosevelt negli anni Trenta. “Vi fu una marcata tendenza per i programmi di regolamentazione ad essere gestiti dal centro, mentre programmi con significativo impatto fiscale erano condivisi con gli Stati membri sin dall’inizio o lo divennero quando proseguirono … Quando Roosevelt e gli uomini del New Deal volevano spendere molti soldi, dovevano operare con gli stati e gli enti locali.”

Furono gli anni in cui la spesa pubblica (non i trasferimenti) Usa totale su PIL in 10 anni (1927-1937) salì dal 12% al 21%, negli anni in cui al posto del settore privato che non domandava più si fece coraggiosamente entrare in campo il settore pubblico.

Non che qui si sia nostalgici. Né accaniti tifosi del ruolo dello Stato nell’economia. Ma precisi sì. E desiderosi di capire cosa ci insegna la Storia o, perlomeno, cosa questa non ci sconsiglia. Ebbene non ci sconsiglia, in momenti di crisi da domanda aggregata in una unione monetaria, di espandere la spesa pubblica lasciando autonomia ai singoli stati sul come farlo, supportandoli dal centro, con fondi e risorse.

L’Italia, invece, si appresta – con il Piano anti-spread della BCE legato a politiche di austerità obbligate, Piano che troppi segnali fanno percepire come imminente malgrado troppo timide smentite – a cedere il controllo della sua politica economica al centro e, per di più, non per generare più espansione ma più austerità.

Andremo a contribuire ad una (dis)-unione politica europea senza precedenti con la recessione in cui ci ficcheremo, come se quella che sperimentiamo oggi non fosse abbastanza. Facendo, paradossalmente, felici i fan dell’uscita dall’euro visto che renderemo più probabile la fine dell’unione monetaria. Perché saranno solo la recessione e la disoccupazione a fare scordare prima, e odiare poi, l’Europa al crescente numero di coloro che oggi soffrono e che nessun dottore al mondo ci obbliga di far soffrire, sadismo in cui perseveriamo per incredibile miopia politica e rigida testardaggine ideologica.

Dobbiamo dire no, no a tutti i costi, all’adesione allo stupido piano anti-spread e pro-austerità. Roosevelt sarebbe d’accordo. Ma forse erano altri tempi, altra politica, altra leadership, altra democrazia.…

5 comments

  1. “…sadismo in cui perseveriamo per incredibile miopia politica e rigida testardaggine ideologica.”

    Ma quale miopia? Quale testardaggine ideologica?
    Vogliamo dire quali sono i gruppi (o coacervo di gruppi) e gli “interessi” autentici che spingono verso la distruzione del tessuto produttivo italiano, la cinesizzazione dei lavoratori, la colonizzazione del sud Europa, la mortificazione della democrazia?

    Prof, tra non molto lei sarà costretto a dirle queste cose e lo sa, ma ha scelto di farlo quando sarà troppo tardi. E’ proprio vero che artisti e professori sono poco bellicosi.

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  2. “Dobbiamo dire no, no a tutti i costi, all’adesione allo stupido piano anti-spread e pro-austerità.”.
    … dire di no a chi? Pensa che qualcuno dall’altra parte abbia intenzione di ascoltare? Ci è stata forse data l’opportunità di dire no al pareggio di bilancio in costituzione o al fiscal compact?
    Non mi pare proprio che il progetto Europa, quale si è andato sviluppando, sia frutto di miopia politica o testardaggine ideologica: coloro che lo portano avanti non sono né miopi né testardi, semplicemente perseguono lucidamente un disegno altro rispetto a quello che ci era stato narrato.
    Direi piuttosto che miopia e testardaggine è non volerne prendere atto, a questo punto, e trarne le conseguenze.
    Perciò non posso non rammaricarmi ogni volta nel costatare la “inconsequentia” fra le sue analisi e le soluzioni da lei auspicate.

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  3. Il punto è un altro.
    E ha grossi riflessi politici.
    L’euro si regge, in pratica, solo sull’Italia.
    Tecnicamente senza l’Italia non sarebbe stato abbastanza conveniente per i tedeschi e avrebbe già distrutto la Francia (comunque nei restanti paesi med il cambio fisso sarebe stato esiziale; persino un euro senza la germania, tipo euro-2, avrebbe portato a insostenibili squilibri commerciali e monetari, magari più lentamente ma sarebbe stato inevitabile).

    Detto questo, è evidente che decidere se por fine all’esperienza dell’euro dipende essenzialmente da noi (cioè la nostra decisione è condizione necessaria e sufficiente per la fine dell’euro).

    Ora chi in Italia si avvantaggia (tutt’ora, dopo dieci anni e scontandone i sopravvenuti costi finanziari, pubblici e privati) dell’euro, sono i creditori delle nostre banche- e di riflesso dei nostri titoli pubblici “ancora” rimasti in mani estere- e le stesse nostre banche, dato che è evidente che queste non premono affatto per l’uscita dall’euro.
    Ma perchè (pur essendo “anche” debitrici verso l’estero)?
    Perchè l’euro, con le sue dinamiche consente enormi guadagni sui mercati dei titoli pubblici e suoi derivati. Roba sicura (basta comprare qualche miliardo di cds-swap, orientando i corsi e cioè gli spread- e anche le borse coinvolte- per guadagnarci centinaia di milioni …al giorno).
    Una manna per la finanza, che si ripartisce, con opportune concertazioni (di “prassi”), i guadagni a prescindere dalla nazionalità teorica di appartenenza dell’operatore. Occorre rammentare che tutto il sistema bancario è intrinsecamente anche merchant e agisce globalmente, utilizzando il “braccio” dello shadow banking (che patrimonializza quasi quanto il sistema bancario “vigilato”…per così dire).

    Senza parlare della “realizzazione-svendita” del patrimonio dei paesi debitori che costituisce l’atto finale di questo tipo, ben noto, di crisi.

    Tutto il resto degli imprenditori italiani (per via di domanda interna o per via di tassi di cambo reale se “sopravvivono” con export extra-UEM, non si scampa), e degli italiani in generale, sta per esserne travolto.

    Solo che i giornali, i partiti e ogni possibile forma di classe dirigente con potere decisionale è, con vari strumenti diretti o indiretti, controllata dalla finanza (o aspira ad esserlo, per agganciarsi alla piccola parte della società italiana che verrà risparmiata come “feudataria-vassalla”).

    Dunque non deve stupire se l’opinione pubblica è rigidamente, graniticamente, controllata nella sua indispensabile ignoranza sulla questione “euro”.

    Quindi non c’è speranza “ragionevole” che persone contrarie a questa manovra (anche volendo scindere, con molta buona volontà, ma proprio “buona”, l’euro di maastricht da quello del fiscal compact,-pur trattandosi di due atti perfettamente complementari e coerenti tra loro) divengano mai una maggioranza (non dico partitica, ma neanche in un referendum).

    Perchè ciò accada occorre un cambio di paradigma esogeno alla zona euro.
    Cioè che il mercantilismo tedesco minacci:
    1) di alterare il quadro dei (difficili) equilibri “dinamici” che fanno capo agli USA (il dominio euro-tedesco come organizzato ora comporta il tramonto sia della continuità della linea NATO, che della domanda complessiva dell’area UE ridimensionando la rendita geopolitica dell’offerta USA, in presenza cioè di una germania sempre più forte e di tutti altri stabilmente e strutturalmente indeboliti),
    2) gli stessi “diretti” interessi finanziari USA (le controllate USA delle banche tedesche sono vere e proprie bombe a orologeria “dentro” il convalescente sistema USA http://www.bloomberg.com/news/2011-11-21/johnson-deutsche-bank-could-transfer-contagion.html + http://www.reuters.com/article/2012/03/21/deutschebank-us-idUSL6E8ELB1N20120321).

    Ma una presa di posizione USA sarà possibile solo dopo le presidenziali con la rielezione di Obama (dato che se vincono i “tea-party” la componente ideologica comune potrebbe portare a ulteriori compromessi e ambiguità nei reciproci rapporti).
    Fino ad allora, nulla in Italia smuoverà il controllo dell’opinione pubblica, per lo meno in misura sufficiente (è già accaduto nel 1943, pari pari)

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  4. Prof, una domanda tecnica per cortesia.
    Su un blog del Fatto ferve la discussione se alla radice della situazione italiana ci sia il debito pubblico o il debito estero netto e il debito privato (cioè una questione che riguarda solo le cause e non le soluzioni).
    Sarebbe possibile avere la sua opinione argomentata in un post apposito? Credo che interesserà a molti lettori.
    Grazie

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  5. Trovo sempre motivate le argomentazioni del professore. Ho tuttavia la sensazione che dell’Europa e sull’Europa vi siano grandi differenze di come essa venga intesa e che esse siano rilevabili non solo tra un paese e l’altro ma all’interno di ciascun paese. Trovo molto rischioso, in una situazione incerta, accettare l’ingresso di altri paesi sino a che tutti gli Stati membri non abbiano raggiunto una comune linea d’azione. Diversamente la torre di Babele sarà destinata a implodere e non solo per ragioni economiche.

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