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Bisin e la fallace austerità

Ho avuto modo di interagire con Alberto Bisin in occasione dell’incontro molto bello e pieno di vis polemica all’università Tor Vergata tra il sottoscritto ed i fermatorideldeclino, gruppo a cui Alberto appartiene.

Quel giorno ho apprezzato la sua moderazione e voglia di dibattere. Resta però scolpita nella mia mente la sua frase di allora: “congiuntura (o ciclo economico)” come fenomeno “relativamente irrilevante”. Irrilevante?

Oggi Alberto si sente obbligato a rispondere a tutti quelli che sostengono che:

politiche di riaggiustamento fiscale, nel mezzo di una recessione, non sono desiderabili perché sono controproducenti in quanto aggravano la recessione stessa.”

E’ interessante che Bisin sia d’accordo con la seconda parte della frase, quella in grassetto:

Ma comunque la si rigiri, …. una politica di austerità fiscale – almeno nel breve periodo – deprime l’attività economica. E deprimere l’attività economica quando essa è già depressa (in una recessione) fa più male.

Quindi,  direi che anche per Bisin tanto “irrilevante” le politiche di austerità non sono. Un passo avanti notevole che raramente si ode dalle parti dei fermatorideldeclino.

E’ tuttavia sulla desiderabilità (il sottolineato sopra) di queste politiche che Bisin non concorda:

Lo scivolone logico sta nell’assumere che l’affermazione che politiche di austerità peggiorino la recessione implichi  che esse non siano desiderabili”.

E dunque in quanto segue nel suo pezzo Bisin considera le varie opzioni alternative a quelle dell’austerità e ne esclude una serie come implausibili.

Fa piacere vedere che quella che ritiene la più fiera avversaria, l’ultima da demolire, sia quella che su questo blog sposiamo da sempre:

Ma concentriamoci solo su quelle tra le altre politiche che siano al contempo sensate e rilevanti riguardo (sic) nostra discussione. I più fieri e seri sostenitori della indesiderabilità di politiche di austerità oggi hanno in mente – generalmente – politiche espansive (o almeno non recessive) oggi associate ad un riaggiustamento fiscale in futuro (quando la recessione sarà terminata). Il buon senso sembra chiaramente a loro favore: se riaggiustare bisogna, meglio quando fa meno male. Ma il buon senso funziona finché funziona.”

Bisin vede “due problemi con questa classe di politiche, espandere (non contrarre) oggi per riaggiustare domani”.

Primo problema. “Aspettare ad intervenire allungherebbe la recessione … l’austerità serve (ai mercati) a convincerli ad allentare la presa”.

Verrebbe da dire a Bisin: ma i mercati non stanno allentando la presa. Ma lui su questo ha la risposta (giavazziana?) pronta: è vero, ma è perché l’austerità la stiamo facendo male, non riducendo la spesa ma aumentando le tasse. Detto che, come abbiamo visto nel post sul pezzo sulla Voce di Giavazzi, i tagli di spesa ci sono eccome (pienamente a casaccio e non a taglio degli sprechi, quindi ampiamente recessivi), Bisin sembra avere in mente un mondo dove spread a 350 punti base (5 miliardi di meri trasferimenti e non di domanda di beni) siano più recessivi di 30 miliardi di minori spese. Siccome in realtà lui stesso riconosce che “una politica di austerità fiscale – almeno nel breve periodo – deprime l’attività economica”, vorremmo capire come sia possibile che si allunghi la recessione alleviando l’austerità. Mai e poi mai i costi dei maggiori spread hanno un potere congiunturale equivalente alla minore di domanda se guardiamo alle dimensioni dei valori in gioco.

Secondo problema: “anche se la recessione se ne andasse come una fatina cattiva al sorgere del sole, indipendentemente dai nostri comportamenti durante la notte, attendere per riaggiustare, nel contesto istituzionale italiano, oggi,  significa procrastinare ad libitum: non riaggiustare mai … L’Italia non ha bisogno di riaggiustamento fiscale da oggi, ma da almeno un decennio.  Abbiamo avuto condizioni economiche favorevoli per farlo (bassi tassi di interesse, cortesia dell’Euro) e non abbiamo riaggiustato. Come immaginare che domani sarà diverso, che domani usciti dalla recessione ci butteremo a picco nel riaggiustamento, nelle stesse condizioni in termini di struttura politica ed istituzionale?”

Ecco, questo mi pare problema decisamente più comprensibile. Tra l’altro questo Alberto l’aveva già sollevato al dibattito a Tor Vergata, e mi sento di ripetere quanto detto su questo blog allora:

“Non l’abbiamo fatta prima, la riduzione della spesa, quando potevamo, la dobbiamo fare ora quando fa male. Rimediare ad un errore con un altro errore? No grazie. Certo, esiste un problema di garantire alla cittadinanza che quando l’economia tornerà a crescere la spesa pubblica scenderà. Ed ha ragione Bisin a preoccuparsi di questo perché finora non possiamo dirci rassicurati dai nostri politici (né da quelli francesi o tedeschi che hanno fatto saltare il patto di stabilità un decennio fa). Christina Romer suggerisce che un problema simile lo ha anche la politica economica americana. Ma questo è la politica: eleggere qualcuno che lo sappia fare (ringrazio Alberto per avere detto che se ci fossi io al Governo non dubiterebbe che questo avverebbe ma che non sarò mai eletto e dunque  ….) spetta ai cittadini.”

Anche perché, e qui arriviamo al punto chiave ….

Bisin sostiene che “aspettare significa non riaggiustare e non riaggiustare significa essere costretti a farlo in condizioni ancora peggiori (o finire in default)”.

No Alberto. Tu che parli di politica e di dinamica, dovresti sapere che non c’è tempo, che oggi in Europa breve e lungo periodo sono collassati in un unico periodo, quello brevissimo che ci manca all’uscita della Grecia dall’area dell’euro per la stupida austerità impostale (lo dice persino il conservatore Fondo Monetario Internazionale che la Grecia non regge più i falsi e, questi sì, non credibili dinamicamente piani di rientro ellenici). Se esce la Grecia crolla tutto l’euro e allora auguri a tutti noi. La lotta alla recessione e contro l’austerità non è irrilevante: è l’unica cosa rilevante. E siccome tu riconosci il valore nel breve periodo della politica fiscale sai bene che il costo di non espandere spesa e ridurre entrate in tutta l’area euro può essere mostruosamente alto.

Certo tu ti lamenti e dici che “solo 5 anni fa le voci di chi chiedeva un riaggiustamento erano poche, inascoltate, e provenivano principalmente da coloro che, come noi a nFA, continuano a richiedere il riaggiustamento. Dove stavano quelli che oggi chiedono di aspettare tempi migliori? Cosa facevano quando i tempi erano davvero migliori? Aspettavano tempi peggiori per poter aspettare poi tempi migliori”.

Non io Alberto. Io nel 2001 scrissi che l’uso improprio dei derivati e la finta austerità del 3% del rapporto deficit PIL truccato un giorno ci sarebbero tornati indietro e ci avrebbero fatto molto male, e così è stato. Non ricordo nessuno a mio sostegno allora, ricordo solo tante telefonate quando la frittata era ormai fatta, 8 anni dopo, quando si seppe dei derivati greci con Goldman di cui la BCE ancora oggi non ci dice nulla.

Ma avere medaglie al petto non ci rende necessariamente meritevoli di essere ascoltati di più di altri di fronte ad un problema nuovo. E questa recessione, malgrado causata anche dai problemi che noi denunciammo inascoltati, richiede soluzioni nuove perché nuovo e drammaticamente unico è il contesto in cui si sviluppa, quello di una giovane unione monetaria alle prese con un’austerità che sfilaccia sempre più la voglia di stare insieme sotto un’unica bandiera.

5 comments

  1. Monti ha appena detto che non garantisce dell’affidabilità dell’Italia dopo le elezioni. Ha detto: “Vedremo”.
    Meno male che almeno sono costretti a tirarsi giù la maschera così almeno, forse, l’urgenza delle prossime “implicazioni” di questa frase montiana diventerà evidente per tutti.

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  2. riforme strutturali o contrasto alla congiuntura? Premesso che non mi sembrano azioni in contraddizione tra loro, avanzerei l’ipotesi che coloro che propendono per riforme strutturali siano in effetti coloro che hanno un’ottica di breve periodo cercando di prendere tempo per continuare ad approfittare, da parassiti, dell’apparato produttivo sempre più prostrato. Apparato produttivo che, anche se collasserà e impedirà lo sviluppo per i prossimi 30 anni, intanto ha dato grosse rendite. Quindi se uno vuole davvero le riforme strutturali deve innanzi tutto salvaguardare il patrimonio esistente e da quello partire per azioni di lungo periodo.

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