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23 anni di dolce far niente

Parlare di sprechi negli appalti è essenziale. Così diventa essenziale parlare di collusione negli appalti e di come questa viene combattuta, visto che la restrizione della concorrenza in gara da parte dei potenziali fornitori della Pubblica Amministrazione porta il più delle volte a prezzi d’acquisto più alti o, meno frequentemente, a minore qualità rispetto a quanto desiderato.

Ma i dati son pochi. A meno che uno non capiti a un convegno con un dirigente dell’antitrust, Pierluigi Sabatini, che ti sciorina una serie di dati impressionanti sul tema. In realtà su quanto poco il tema è stato al centro dell’agenda di politica economica ed industriale del Paese.

Leggere per credere. Numero di istruttorie su collusione in appalti pubblici aperte da nascita Antitrust (23 anni) =  22. Meno di una l’anno.

Incredibile.

In 21 dei 22 casi l’Antitrust accerta la colpevolezza delle aziende. 2 soli ricorsi delle aziende sono stati accolti in secondo grado.

4 istruttorie sono state aperte per boicottaggio orchestrato fuori dalla gara: in alcuni casi perché le aziende si sono rifiutate di partecipare ad una gara, in altri casi hanno partecipato praticando lo stesso prezzo, in un caso praticando prezzi alti.

18 istruttorie aperte riguardano collusione in gara: 1/3 con offerte fasulle dei (finti) perdenti, 1/3 con partecipazione selettiva di alcune aziende e non di altre ed 1/3 con partecipazione in ATI (raggruppamenti temporanei d’impresa).

22 istruttorie in 23 anni sono bruscolini. Uno vero e proprio scandalo. Perché non vengono segnalati casi di collusione negli appalti pubblici all’Antitrust?

Sabatini indica due possibili motivi, tutti e due altamente credibili:

a) poche segnalazioni da parte delle stazioni appaltanti.

A sua volta per 3 possibili ragioni:

a1) incompetenza. Le stazioni appaltanti non sanno individuare se l’esito della loro gara è “macchiato” di collusione. Non hanno le competenza sufficienti per farlo. Probabilità che Piga assegna a questo evento: alta. Soluzione? Quella che proponiamo da tempo su questo blog: ridurre drasticamente il numero di stazioni appaltanti, concentrarvi le migliori competenze del Paese, adeguatamente remunerate.

a2) esigenza di assegnare la fornitura. Le stazioni appaltanti, non disoneste, temono che denunciando all’Antitrust una possibile (ma non certa) collusione, la gara debba essere interrotta e si debba abbondantemente ritardare la consegna dei beni pubblici domandati. Probabilità che Piga assegna a questo evento: medio/alta. Soluzione? Rimuovere l’incertezza nella testa (mia e delle stazioni appaltanti) che denunciando una possibile collusione non si possa al contempo continuare con l’aggiudicazione della gara fino a sentenza definitiva. Le punizioni al cartello potranno essere adottate a valle di tale sentenza, anche, se possibile, per recuperare i danni dei prezzi alti per i contribuenti.

a3) corruzione. Le stazioni appaltanti non denunciano la collusione perché esse stesse coinvolte.  Probabilità che Piga assegna a questo evento: media. Soluzioni? Poche. A meno che … non parliamo del secondo motivo:

b) poche autodenunce per via dell’inapplicabilità programmi di clemenza. Già. Avrete notato che solo due istruttorie (in 23 anni!!!) sono state aperte per denuncia di ex (?) dipendenti pubblici. Ed 1 istruttoria da membri del cartello pentitisi. Nulla.

Perché, dice l’Antitrust nella sua recente segnalazione al Parlamento ignorata alla grande, non pensare a programmi espliciti di clemenza per quei membri del cartello che denunciano il cartello stesso?

E, soprattutto, che ne direste di aiutare, proteggere, premiare quegli eroi che una stampa idiota chiama “corvi”, e che in America vengono chiamati “whistleblower”, suonatori del fischietto che fischiando, con il loro coraggio, denunciano atti di collusione e corruzione negli appalti?

Altro che la pietosa norma attuale della legge anti corruzione appena approvata che recita (art. 1 comma 51):

(Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti). — 1. Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Non può essere sanzionato? Non può essere licenziato? Non può essere sottoposto a misura discriminatoria? Ma che razza di battaglia volete che si possa fare in questo Paese se non si decide di rivoluzionare la lotta negli appalti alla collusione, che va a braccetto spesso con la maledetta corruzione, proteggendo e premiando questi eroi che denunciano i malfattori?

C’è un’autostrada davanti a noi: è libera e vi possiamo far scorrere lungo di essa tantissime decisioni di politica economica ed industriale che riducono sprechi, aumentano la effettiva libertà delle imprese e la loro partecipazione alla vita economica, danno servizi pubblici di qualità alla cittadinanza. Dopo 23 anni di inazione assoluta, è tempo delle decisioni vere, quelle che servono al futuro ed al rilancio del nostro Paese.

One comment

  1. In realtà un programma di clemenza in Italia esiste. Ma è assai poco efficace. Le ragioni sono due: le sanzioni attese sono molto basse e il “premio” per l’impresa che per prima collabora e, autodenunciandosi, consente la scoperta del cartello è troppo basso. Si aggiunga che nel caso di collusione esplicita in negli appalti, la condotta costituisce anche un reato e chi si autodenuncia rischia una sanzione penale. L’attuale programma di clemenza non protegge da questo rischio e rende la collaborazione con l’antitrust del tutto inconveniente, sebbene, di fatto, il rischio di un’indagine penale sia molto basso. La proposta dell’autorità, pienamente condivisibile, è di estendere l’immunità dalla sanzione amministrativa per l’impresa alla sanzione penale per i manager di quelle imprese che svelano l’esistenza di un cartello segreto. Si potrebbe fare di più, sia con riferimento al “premio” concesso all’impresa che collabora con l’autorità sia con riferimento alle sanzioni. Ad esempio, bisognerebbe attenuare fortemente la responsabilità civile delle imprese che consentono la scoperta del cartello e si dovrebbero introdurre sanzioni speciali, diverse da quelle penali, per i cartellisti negli appalti pubblici, come un’automatica esclusione dalle gare per un certo periodo di tempo.
    Gustavo, lasciami aggiungere che esiste in Italia uno studioso (che conosciamo bene entrambi) che è considerato uno dei massimi esperti della materia. Credo che lui sarebbe disponibile a dare una mano anche gratis (il che sarebbe comunque sbagliato), ma l’autorità e il governo si guardano bene dal consultarlo per capire come migliorare l’efficacia del proprio programma di clemenza o dei programmi di whistleblowing. Anche un po’ di presunzione in meno aiuterebbe.

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