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La spending review sulla difensiva e superficiale che non salverà l’Italia

Sul sito del Governo alla ricerca della famosa scheda da inviare al Governo stesso per segnalare sprechi, mi imbatto in una presentazione sulla Spending Review.

Tanta informazione rilevante, il mio occhio casca su una strana slide, la numero diciannove (19). Che vi allego.

 

Strana questa ultima frase: a me sembra che dica che non c’è bisogno di “gestire meglio”. Una frase sulla difensiva.

Ho controllato, ed in effetti c’è una qualche regolarità tra classifica nella spesa pro-capite delle prefetture e classifica nella dimensione regionale, al di là di Molise e Lombardia.

Vero è però che se uno guarda, per esempio, a Campania e Puglia, stessa spesa pro-capite, 9 euro, popolazioni molto diverse, 5,8 milioni l’una e 4 l’altra. Non possono dunque essere tutti costi fissi.

Dunque la Campania spende 52 milioni e la Puglia 37 circa. Se i costi fissi, per esempio,  fossero 30 milioni, sul rimanente dei costi la Campania spende 22 milioni (circa 3,8 euro per abitante) contro i 7 della Puglia (circa 1,75 per cittadino).

La Campania appare dunque più spendacciona. Come mai allora il commento alla slide sembra dire invece che tutto va bene e non si indaga sulle Prefetture campane, per esempio, per questi loro maggiori sprechi?

Sorpresa, non è questo il punto. Il problema è altrove. Forse, infatti, quella maggiore spesa pro-capite campana non è indice di sprechi.

Primo, a me cittadino serve conoscere la qualità del servizio. Forse la Campania spende di più per cittadino, oltre ai costi fissi, perché vi sono più problemi di ordine pubblico perché c’è bisogno di più lavoro per le partite del Napoli che per quelle del Lecce? Se così fosse, mi parrebbe giusto che si spenda di più in Campania.

Secondo, supponiamo invece che per le partite di calcio del Lecce e del Napoli abbiamo bisogno dello stesso livello di sforzo da parte delle 2 prefetture e che dunque, tolti i costi fissi, la Campania continua a spendere più della Puglia, apparentemente senza ragione. Magari hanno comprato servizi di pulizia a prezzi diversi. Cari quelli per gli uffici campani e meno cari quelli per gli uffici pugliesi.

Dobbiamo per questo parlare di nuovo di spechi campani e di virtù pugliesi?

Non necessariamente. Forse a Napoli quando fanno le gare per le pulizie delle prefetture le fanno bene, controllando la qualità dei servizi che l’azienda che ha vinto l’appalto effettua durante la vita del contratto, mentre a Bari nessuno sorveglia le ditte. Se così fosse, è naturale che in gara le ditte campane abbiano fatto prezzi più alti (perché prevedevano di dover lavorare) di quelle pugliesi che sapevano che avrebbero avuto bassi costi perché, ripeto, sapevano che non sarebbero state sorvegliate e non sarebbero state spinte a offrire buoni (e costosi) servizi come quelle campane.

Quindi anche in questo caso la maggiore spesa per abitante in Campania non sarebbe stato indice di spreco.

Insomma volevo farvi questi esempi per dirvi 2 cose:

a) la spending review è cosa seria e complicata, che non si nutre di slide fatte rapidamente, che deve tenere conto di tutti i possibili fattori che influenzano la spesa. Il rischio se non lo facciamo? Magari tagliamo i fondi alle prefetture campane perché spendono di più quando invece sono le più brave a gestire i fondi.

b) vedere in un documento del Governo nella parte della spending review una slide così superficiale e sulla difensiva non fa ben sperare. Ci vogliono competenze per fare bene la spending review. Trovatele.

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Stiglitz 1. Ecco lo spreco che dobbiamo tagliare, per sempre.

Via. Si parte. Parte lento, come un motore diesel, Joe Stiglitz, Premio Nobel per l’economia. Ma è solo un’impressione.

E subito scatta, con quello che per me rimane il colpo più pesante di tutti. Parla di sprechi. Ma non parla di Bondi. No, il più grande spreco, quello vero, quello reale, dice Stiglitz, è lo spreco immenso, trilioni di dollari, di tutte quelle risorse, naturali, materiali ed umane, uguali a quelle che avevamo nel 2008 e che da allora però non utilizziamo più a causa di questa crisi.

Ed è l’austerità che tiene vivi questi sprechi.

Tutti quei giovani, che oggi non lavorano, che diventeranno alienati dal resto della società, che se e quando, tra tanti anni – se continuiamo con la stupida austerità – troveranno forse un lavoro, ma a salari più bassi perché avranno disimparato a fare e avranno perso l’orgoglio e la voglia di affermarsi. Ecco lo spreco, dice il Premio Nobel.

Ecco, è questo l’unico vero, grande intollerabile spreco di questa maledetta crisi che non vogliamo combattere.

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Stiglitz 2. Spicchi di saggezza.

Nessuna grande economia mondiale, mai, è uscita da una crisi di questo tipo con l’austerità.

L’austerità non funziona, basta guardare ai dati: essa smonta anche i rientri dei bilanci pubblici verso il pareggio.

In Europa c’è questa follia dove le istituzioni si affidano a regole di contabilità assurde. Nessuno valuterebbe un’azienda soltanto guardando solo al suo livello di debito: se quel debito viene usato per fare investimenti che fanno crescere l’azienda, è un debito benvenuto. Purtroppo nel settore pubblico tutti parlano del debito e non di come questo viene usato. Negli Stati Uniti, vi assicuro, tanta spesa in infrastrutture, in istruzione ha avuto un rendimento maggiore del costo del debito utilizzato per finanziarla.

Potranno pontificare quanto vogliono gli esperti che bisogna avere fiducia per rilanciare la crescita, ma con l’austerità crollano sia la fiducia che la crescita.

Le riforme? Le riforme che servono anche nel breve periodo sono quelle che migliorano la situazione dell’accesso al credito per le piccole imprese e quelle che aumentano il sostegno alle università. Le riforme sono utili, ma hanno bisogno di tempo e, nel frattempo a volte riducono la domanda nel sistema, che già manca. Il mercato del lavoro americano è certamente flessibile eppure ciò non ha impedito che si raggiungesse una disoccupazione del 10%.

In questa crisi non si creano posti di lavoro senza maggiore domanda aggregata. Bisogna fare politiche per il breve periodo. E il breve periodo può durare a lungo se si mantiene l’austerità.

I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perché a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? E’ criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa.

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La sfida Monti-Stiglitz

C’è grande attesa. Lo si sente. Accanto a me il mio caro collega Roberto Tamborini che è venuto da Trento apposta. Alla mia sinistra riconosco Valentino Parlato, storico direttore del Manifesto.

Si respira la tensione. In fondo è solo un dibattito di economia, eppure. Eppure ammiro Monti che si espone a parlare di “Oltre l’austerità” con Joe Stiglitz. Qualcuno accanto a me fa la battuta facile, è come dire “Oltre Monti”. Ma è per questo che mi piace che Monti ci sia. Mi chiedo come farà a difendersi dagli stimoli precisi, espansivi, keynesiani del Premio Nobel.

E la mia opinione è che non ci sia stata partita. Troppo più potenti le cannonate dell’economista americano, che lasciano basita una platea abituata allo slang triste europeo. Sento chi alla fine del discorso di Stiglitz dice, “mamma mia”. Si sente lo spavento che pervade la sala, paura per una crisi che forse non passerà se non si fanno le cose giuste. Per la prima volta da quando ho iniziato questo blog 6 mesi fa sento che il messaggio viene snocciolato con durezza e chiarezza in questo continente che non vuole imparare nulla dal passato e dalla Storia, che si ostina a parlare di austerità come di un toccasana, senza sapere che così firma la sua condanna.

Monti ha perso? Forse. E forse non ha perso. Forse perché Monti gioca una partita diversa, su di un piano politico, sia a casa che in Europa. Ma questo non significa che il messaggio di Joe Stiglitz non vada ascoltato e importato nelle stanze del potere.

Meglio ascoltarlo. Nel prossimo post.

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Quel Monti riformatore che desideriamo

Scusate sono tornato solo ora a casa, ma così tante cose da raccontarvi. Che splendida giornata oggi al dibattito tra Monti e Stiglitz!

Possiamo essere positivi? Intanto fatemi dire che sono saltato dalla sedia dalla gioia quando, in chiusura, il nostro Presidente del Consiglio ha annunciato (scusate se non sarò preciso al 100% sulle parole, guardo le mie note scritte a mano) a tutti che “stiamo lavorando con l’Europa per una operazione trasparenza” che porti ad una correzione delle statistiche del debito pubblico prima che parta l’orologio dello (stupido, lo dico io, non Monti) Fiscal Compact che ci obbliga a ridurre il debito in 20 anni al 60%.

In che senso? E’ presto detto. Negoziare con Bruxelles per vedere aumentato il debito pubblico su PIL dell’Italia dal 120% attuale al 125%, così ottenendo le risorse subito dal mercato per ripagare i crediti commerciali che le imprese hanno con la Pubblica Amministrazione!!!

L’impatto sugli spread? Nessuno negativo: il mercato sa che il debito su PIL italiano, quello vero, è già del 125%, solo che oggi è fintamente del 120% perché gli scandalosi debiti commerciali non pagati in tempo non vengono contabilizzati nelle statistiche ufficiali.

Ma grande impatto positivo: respirerà, con la liquidità che verrà data alle imprese, tutto il sistema sul territorio. Quella liquidità che le banche gli negano e che dal Pubblico gli spetta. Quella liquidità che farà da ossigeno per coloro che soffocano. E se riprende l’economia, crollano gli spread.

Grande Monti, proceda velocemente a portare a casa questo enorme risultato, sarebbe la prima vera riforma che riuscirà a fare ed il Paese gliene sarà grato.

Su tutte le altre cose che ha detto il nostro Presidente sorvolo e rinvio al prossimo post sul meraviglioso Stiglitz, che comincio a breve a scrivere, di getto. Perché oggi, Professori Monti e Stiglitz, dopo avere ascoltato le vostre considerazioni, mi sono schierato. Decisamente e senza il minimo dubbio, sulla ricetta di politica economica adeguata.

A tra poco.

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Stiglitz 3, the end. Speriamo non dell’Europa.

Eccole le proposte di Stiglitz per una politica economica per l’Europa.

1. Politica fiscale espansiva in Germania, anche con ampi deficit pubblici. Concordiamo

2. In Italia, politica fiscale espansiva senza maggiori deficit pubblici. Il che significa più spesa pubblica con gli aumenti di tasse (già fatti) destinati a pagarci la spesa pubblica e non il debito pubblico. Oppure con i tagli agli sprechi. Concordiamo. Tra parentesi: Stiglitz lo chiama moltiplicatore del bilancio in pareggio. Aumenti di spesa pubblica e tasse di uguale ammontare, senza toccare il deficit; il Pil sale, facendo anche scendere i rapporti deficit e debito su PIL. Grande ruolo di investimenti pubblici, spesa per l’istruzione e per la sanità. Senza maggiore spesa pubblica anni ed anni davanti a noi di maggiore disoccupazione. Ecco.

3. Tasse e spesa pubblica devono anche ridurre le disuguaglianze che specie in questa fase distruggono la crescita economica. Concordiamo.

In assenza di questi interventi lunghi anni di stagnazione, disoccupazione e sofferenza.

Monti ha detto alla fine del dibattito: “sono desideroso di sapere come rispettare l’obbligo di bilancio in pareggio facendo diminuire il rapporto debito su PIL e soddisfacendo al contempo l’esigenza immediata di crescita”. Non avrebbe potuto riassumere meglio quanto gli aveva spiegato pochi minuti prima Stiglitz.

Muoviamoci, non c’è molto tempo.

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Non posso immaginare cosa ci sia di piu’ bello al mondo della spending review.

Non basterà scendere dalla business alla economy. Dovremo anche verificare che non si comprino troppi biglietti economy. E che si impari a comprare i biglietti economy col giusto anticipo. O ad andare in treno. O ad usare la videoconferenza.

Qualsiasi cosa si faccia bisognerà dunque avere il potere di bloccare appalti scritti male, per fabbisogni non giustificati e contratti chiusi a condizioni non vantaggiose.

Tutto ciò richiede centralizzazione dati, potere ispettivo e autorizzativo nonché tante risorse di personale competente ben pagato per l’ente che dovrà essere a capo della strategia di controllo e della spending review.

Ma bisogna anche ridurre il peso dei controlli per chi controlla per non renderlo ben presto un pachiderma affossato da un compito troppo gravoso. Ovviamente bisogna ridurre, aggregandole, il numero di stazioni appaltanti, sono veramente troppe, subito.

Ma ricordiamoci che secondo Bandiera, Prat e Valletti l’80% degli sprechi è dovuto ad incompetenza e non a corruzione e io in parte ci credo: per ridurre il lavoro di chi controlla dal centro bisognerà investire nelle competenze degli acquirenti pubblici in basso. Come nelle Filippine, per ogni stazione appaltante (una volta ridotte di numero) si esigerà un  piano triennale di miglioramento concordato volto a raggiungere obiettivi di competenza e performance al quale si legheranno ampi bonus per il personale in caso di raggiungimento.

Nessun bonus ai dipendenti che appartengono a stazioni appaltanti dove una delle persone avrà concluso un appalto con corruzione. La corruzione calerà perché i corrotti avranno meno incentivi a chiedere tangenti sia perché investire in competenze avrà un ritorno economico, sia perché chi lavora in squadra con i potenzialmente corrotti sorveglierà che all’interno della propria squadra nessuno metta in pericolo il successo dell’organizzazione.

E’ una sfida stupenda la spending review, non è tagliare, è dare alle imprese profitti, know-how e reputazione da spendersi nel mercato globale, ed ai giovani e meno giovani lavoro e competenze là dove lo Stato vuole sviluppare la presenza del settore pubblico nell’economia. E’ far pagare le tasse per qualcosa che serve a tutti, compresi a quelli che pagano le tasse. E’ ridurre la tassazione per ottenere gli stessi servizi e massimizzare i servizi per una data tassazione.

Non posso immaginare cosa ci sia di più bello al mondo della spending review. Perché vuol dire ridare a questo Paese l’immagine che gli avevano dato i nostri nonni alla fine della Guerra: un Paese di gente che lavora, con entusiasmo e coesione, per il bene individuale e comune e per sentirsi orgogliosa, con diritto, di essere italiani. Sorrida Bondi, lei è un uomo fortunato.

Grazie Ric.

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Bridges (or currencies) that go nowhere?

So  M. Hollande has yet to come into power in France and his agenda is already dictated, obviously by those that are scared by his pseudo-Keynesian agenda on larger public spending. The latest (of the several) quotes:

Spending on infrastructure – “shovel-ready” projects, as President Barack Obama has called them – is, of course, a standard Keynesian solution for an economy that is caught in a downward recessionary spiral. Under normal circumstances, such spending might be a great idea. In Europe, however, there are plenty of reasons to be skeptical. … calls for Europe to spend its way out of debt are an illusion. There is, of  course, scope for argument about the pace of deficit reduction. But in a  highly-taxed, highly-regulated, highly-indebted continent like Europe, more  state-funded public works would simply build another road to nowhere.

Well, let’s see what happened in the only episode of roads and bridges going to (nowhere? everywhere?) during the latest recession. That might constitute more objective evidence.

Enter Messers Leduc and Wilson of the Federal Reserve Board of San Francisco, who have just published in the NBER Macroeconomics annual (thank you to Fausto Panunzi for pointing it to me) a study where they measure – through a novel and rigorous approach - the impact on GDP of US  highway state public spending (federally funded) in this last decade. They find the following:

a)    first, there is a positive and significant contemporaneous impact. This effect is particularly noteworthy given the view by many that infrastructure spending is ill-suited to provide short-run stimulus because of long implementation delays.

b)    second, after this initial impact fades, (they) find a larger second-round effect around six to eight years out. Yet, there appears to be no permanent effect as GDP is back to its pre-shock level by ten  years out.

c)     the multipliers that (they) calculate … are large, roughly 3 on impact and even larger 6-8 years out. For 1 euro spent 3 euro of GDP in the short run.

d)    the results point to a possible productivity effect of improved highway infrastructure… the new highway capital triggers higher productivity in transportation-intensive sectors, reducing goods prices and boosting demand. Ultimately, the increase in economic activity raises state tax revenues and increases state government spending as a result.

e)    the initial impact of highway spending shocks are much larger when they occur in state-years experiencing a recession.

f)      What about Obama’ 2009 Recovery and Reconstruction apportioned funds? (They) find that both the contemporaneous and the year ahead effects on GDP were significantly higher from highway shocks in 2009 than the average effect over the 1993-2010 sample.

So. Bridges don’t go nowhere, they are bound to help going somewhere. Especially in a recession, especially immediately. Somewhere nice.

Can a large maintenance program for Europe’s infrastructure be anticipated with respect to its planned schedule? Sure it can.

Then do it. It will help the euro area recover growth and consensus before it is too late. Before being named the “currency that went nowhere”.

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Perché prendere Bondi per fargli fare il contrario di Steve Jobs?

Non mi sento molto di parlare di spending review senza avere trovato i documenti necessari per capire la proposta. Magari domani.

Oggi ne abbiamo parlucchiato a Baobab di Radio 1, prima di sapere di Bondi, e mi parevano cose di buon senso che si sono dette (dopo il sesto minuto di registrazione).

Ho solo da dire 2 cose.

Primo. A me pare che se tutto ve bene, troveremo 5-10 miliardi per tagliare le spese. Al di là di come lo faremo  (cosa essenziale su cui voglio aspettare i dettagli) una cosa è certa: se queste risorse non saranno reimmesse nell’economia ma andranno a ridurre il debito, allora il PIL, l’occupazione, l’immenso disagio che c’è nel Paese, aumenteranno, non diminuiranno. Sarebbe follia, letteralmente. C’è bisogno di speranza tramite la politica economica. Non di cilicio.

Secondo. Enrico Bondi (p.s.: magari un giorno avremo qualche trentenne, come nel Regno Unito, dove la Spending Review è affidata a Danny Alexander, 39enne, la metà degli anni di Bondi?).

Nulla da dire sul suo fantastico Curriculum Vitae. Davvero. Ma in realtà non capisco perché sia stato scelto, forse si sono sbagliati. Enrico Bondi è un eccelso tagliatore di costi aziendali. Voi sapete che un’azienda funziona cercando di massimizzare i profitti per i suoi azionisti, dati da ricavi meno costi. Quindi se tagli i costi, in maniera intelligente, ottieni maggiori profitti e la tua azienda tira. Certo un’azienda si può anche rimettere su come ha fatto Steve Jobs, ridando vita con fantasia alla sua capacità di vendere prodotti nuovi ed utili, agendo cioè sul rilancio di vendite e ricavi.

Ecco. Qualcosa di simile si può dire dello Stato italiano. Come qualsiasi altro Stato il suo compito è di fare bene per i suoi azionisti, ovvero i cittadini. Cioè “vendere” (gratuitamente) eccelsi servizi (detti pubblici) a imprese e cittadini minimizzando al massimo i costi per gli stessi (ovvero le tasse).

Quindi dovevamo, per fare quel che Bondi ha fatto così bene in Parmalat, assumere qualcuno che riducesse le tasse. Se poi volevamo uno Steve Jobs (che bello!) avremmo avuto bisogno di qualcuno che ridesse i colori alla spesa pubblica, rendendola efficace per questo bellissimo Paese, aumentandola se del caso in questo momento di gravissima recessione (vedi punto sopra).

Ma mi pare che abbiamo preso un Bondi per fare il contrario di Steve Jobs e allora sono proprio confuso.