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Biancaneve e i 27 nani

Sì insomma, penso che sia così. Che siano 27 simpatici nani, i nostri governanti europei, stravolenterosi ma incapaci di uscire dalla buia grotta dove lavorano, distratti dai diamanti, incapaci di vedere il bello che c’è intorno.

Ma c’è lei, la bella Biancaneve Europa, un progetto bellissimo. Se soltanto se ne accorgessero, se soltanto abbandonassero le loro scontrosità à la Brontolo, diventerebbero fieri protettori di questo sogno di pace e sviluppo.

Ci vuole uno scatto di reni. Sì forse la cattiva Strega è la crisi e la sua gestione. E il Principe? Che domande: la politica fiscale espansiva e solidale. Proprio a me lo chiedete.

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La felicità di leggere il Corriere la domenica mattina davanti al caffè latte

Pare non sia una buona strategia scrivere 2 post a rotto di collo uno di seguito all’altro e oggi ho 3 tesi di laurea da leggere. Ma… Scusate ma almeno una notizia buona ve la devo dare.

Ah, che gusto leggere il Corriere della Sera stamattina davanti al caffè latte.

Perché i miei amici A&G scrivono: “bisogna resistere alla tentazione di usare i risparmi ottenuti riducendo una spesa per finanziarne un’altra, anche se qualcuno pensa che così si aiuterebbe la crescita. Ad esempio tagliare i tribunali per costruire nuove infrastrutture. Innanzitutto non è detto che così si aiuterebbe la crescita: e comunque l’unica strada per uscire dalla stagnazione in cui ci siamo avvitati è abbassare la pressione fiscale, incominciando dalle tasse che gravano sul lavoro“.

Qualcuno? Qualcuno? Oddio non sarà mica che A&G pensano al sottoscritto mi dico pomposamente. Per fortuna no. Basta sfogliare a pagina 2 e 3 del Corriere la interessante (sotto molti punti di vista) intervista del Direttore del Corriere al Governatore della Banca d’Italia per capire con chi ce l’hanno i nostri 2 compagni economisti. Eh sì, con il Governatore.

Che alla domanda di De Bortoli su come rilanciare gli investimenti in questo Paese, dice: “Un ampio progetto di manutenzione immobiliare dell’Italia, di cura del territorio, una terapia contro il dissesto idrogeologico. I soldi si trovano, mi creda. Si diano gli incentivi giusti, soprattutto a chi ha cura della messa in sicurezza dell’ambiente e della sua estetica. I terremoti, purtroppo, insegnano. Si faccia un piano, pubblico e privato, con il concorso dei fondi europei“. E aggiunge: “su scuola, formazione e ricerca bisogna investire di più“.

Scusate la grande soddisfazione. Finalmente la goccia scava la pietra. Vedete che pian pianino ci arriviamo. Per la prima volta il Governatore, al quale non abbiamo sempre riservato caldi commenti, indica la strada che (possiamo dirlo?) indichiamo da quasi 1 anno ormai. E’ una grande vittoria. Speriamo che Monti ascolti subito.

Per quanto riguarda A&G, che dire. Felice che dalle trincee siano scesi a più miti consigli ed adesso ammettano che “non è detto” che la politica fiscale non serva (anche se per ora chiedono la meno utile riduzione di tasse che la gente non spende perché ha paura)? Bah, mi interessa meno. L’importante è che Monti si sbrighi, non c’è tanto tempo. Ma la strada da seguire, finalmente, si comincia a vedere.

PS: una cosa gliela dico però a A&G. Supponiamo che ogni volta che lo Stato spende il 10% è spreco. Se taglio gli sprechi e la spesa scende da 100 a 90 (senza effetti recessivi), ho 10 da usare. Se metto quei 10 in nuova spesa, 1 sarà spreco (10%), 9 vera spesa che domanda alle imprese e dà occupazione e reddito. Scusate se è poco, ma io per quel 9 farei in questo momento i salti mortali, anche a costo di sopportare quell’1 di spreco. Spreco che pian piano sparirà nel tempo se la madre di tutte le riforme, quella della PA al servizio di cittadini e imprese, nel tempo, darà i suoi frutti.

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Il mercato del lavoro italiano ed il Grande Spreco

A Bologna a discutere del rapporto Prometeia sullo stato dell’economia italiana. Orrendo ovviamente: Prometeia conferma un tasso di crescita del PIL simile a quello di Confindustria: -2.2% per il 2012.

Ma partiamo … dagli Stati Uniti. Dove il paradosso è quello di una disoccupazione in calo ma in cui il rapporto tra occupazione e popolazione non riprende, rimane a livelli storici drammaticamente bassi per quel Paese (vedi grafico). Quello che succede lì (e che deve preoccupare Obama) è che gli occupati salgono sì, ma di poco: è la forza lavoro che diminuisce a trainare la diminuzione del tasso disoccupazione.

In Italia, il quadro è esattamente opposto. Come lì i nostri occupati crescono leggermente (+92000) ma la nostra disoccupazione sale (molto rapidamente, del 2% in 1 anno almeno, con quella dei giovani che sembra spinta da un acceleratore malsano di 9 punti percentuali. 9.) perché la forza lavoro si ingrossa: cresce il numero dell’esercito di coloro che cercano lavoro, addirittura di 612000 unità solo tra maggio e giugno (di cui solo poco più di un quarto circa è dovuto a regolarizzazione di immigrati)!

Nella precedente recessione ciò non si era avuto, spiega il rapporto: la forza lavoro era calata e ciò aveva aiutato a mascherare un disagio occupazionale che ora emerge in tutta la sua forza. L’aumento dell’offerta di lavoro riguarda uomini e donne e non distingue tra regioni italiane. Ma spicca l’aumento per gli “anziani” tra 55 e 64 anni, e le donne.

Eccoci al dunque. Perché questo andamento? Due possibilità secondo il rapporto. Prima causa, la riforma delle pensioni (sia per le donne del pubblico impiego sia per i recenti provvedimenti) che ingrossa le fila di coloro che cercano lavoro senza naturalmente trovare sbocco. Di nuovo, sono i giovani a spingere inutilmente sul pesante portone d’ingresso. A Prometeia si diceva che questo è un effetto temporaneo che non ci deve preoccupare più di tanto. Non sono d’accordo. Perché comunque siamo di fronte ad una dinamica di riforma pensionistica che durerà almeno un lustro e, secondopoi, perché nulla in questa crisi che è temporaneo può essere lasciato cadere come irrilevante. Il fenomeno d’isteresi, del fatto che shock di breve tendono a permanere nel lungo periodo, è gravissimo in questa fase: se un giovane non trova lavoro ora e per i prossimi 2 o 3 anni allora rischiamo di perderlo per sempre per scoraggiamento: il Grande Spreco, di cui parla Stiglitz.

Seconda causa. This time is different. Dopo 4 anni di riduzione del loro reddito disponibile le famiglie tornano sul mercato del lavoro: spesso per integrare il reddito del lavoratore a tempo pieno o per rimediare al licenziamento o alla perdita di lavoro per lo stesso. Non a caso mentre l’occupazione non cala calano le ore lavorate: questi nuovi lavori sono spesso part-time.

Insomma mentre nella crisi del 2008 erano le fasce più giovani e marginali a perdere lavoro, pare che qui trattasi del lavoro dipendente. Prometeia parla di segnali “molto negativi” e delbilancio “peggiore mai registrato dal dopoguerra, anche se non così diverso dall’esperienza dei primi anni 90 quando furono necessari 10 anni per recuperare il livello di occupazione pre-crisi”. E, … ovviamente, il Rapporto non pensa si possano ottenere effetti positivi dalla riforma del mercato del lavoro.

Qualcosa ci unisce agli Stati Uniti: viaggiamo su tassi di partecipazione (occupati su popolazione in  età lavorativa) magrissimi, sotto al 60%. Il Grande Spreco continua e ai giovani continuiamo a non dare speranze concrete.

Nessuna impresa investe in un paese che decresce a questi ritmi. Nessun giovane investe in capitale umano in un paese che sbarra le porte ai giovani. I capitali fuggono.

E’ tempo di aprire quel maledetto portone chiuso ai giovani. E’ tempo di coinvolgerli nel prendere mano il loro futuro, non è più il nostro tempo. Possiamo uscire da soli, gentilmente, e allora potremmo dare un contributo essenziale di guida, consiglio, strategia. Altrimenti ci cacceranno a pedate per questi 30 anni in cui ci siamo divertiti senza pensare a loro. L’unico modo per farlo in questo momento, in maniera concreta, è ridare crescita economica al Paese. Tutto il resto verrà dopo, l’emergenza prima. Su come farlo, lo sappiamo e non mi ripeto: fate entrare in campo l’unico attore che può evitare il Grande Spreco. Lo Stato.

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Quando Maometto scala e vince la montagna della corruzione

Niente, l’articolo sul mercato del lavoro ve lo scrivo domani, 8 ore di lezione alla mia veneranda età sono tante, ma comunque credo che stenderebbero un bisonte!  Ma è stato bello. A parte la bellezza di Pisa e del suo Lungarno (foto di Francesco Chiantese) dai colori caldi e arditi dei palazzi, e la gioia e l’orgoglio che cresce con l’età di vivere in questo paese così pieno di tesori nascosti davanti agli occhi, è sempre bello tornare ad insegnare al Master di ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE.

Bravo Alberto Vannucci ad avere tirato su un progetto di questo tipo che andrebbe finanziato ancora di più dallo Stato per farlo diventare un centro internazionale di studi sulla Corruzione (ah, se solo lo Stato volesse individuare le eccellenze e investirci sopra, sarebbe così facile e così incredibilmente importante). Bravo Leonardo che assiste in aula, bellissimo conoscere ogni anno gli studenti dalle provenienze più diverse e dai medesimi aperti sorrisi.

Ieri sera a cena con Alberto, dopo averlo sentito parlare dell’iniziativa di Avviso Pubblico da lui appoggiata, gli ho detto che l’avrei portata a conoscenza dei miei lettori, chiedendogli a loro volta di leggerla e, se concordavano, di farsi portatori dell’iniziativa presso il loro Comune o la la loro Provincia o Regione.

Dal sito di Avviso Pubblico leggo:  Si tratta di un codice  che fornisce alcune precise indicazioni agli amministratori locali su  una serie di questioni specifiche, tra le quali: la trasparenza, il  conflitto d’interessi, il finanziamento dell’attività politica,  le nomine in enti e società pubbliche e i rapporti con l’autorità  giudiziaria. La Carta, già dalla sua  genesi, può considerarsi un primo tentativo di formulazione di una  politica anticorruzione proveniente dal basso, il tentativo di  rispondere ad un bisogno espresso da diversi amministratori locali di  dotarsi di uno strumento che rafforzi il rispetto dei dettami  costituzionali della diligenza, lealtà, onestà, trasparenze,  correttezza e imparzialità.

Mi piace molto. Lo trovate al sito qui. Alberto mi dice che è intenzionato a farne un progetto “wiki” migliorabile dal basso coi suggerimenti di tutti coloro interessati. Bello.

Insomma se la montagna non va a Maometto, se la legge anti corruzione che ci stiamo per dare fa acqua da tutte le parti, è bene che Maometto vada alla montagna e che ci si attrezzi dal basso per vincere la corruzione. E siccome sappiamo bene che la goccia scava la pietra, la vittoria arriverà, speriamo prima che dopo.

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The only Union bonds that work

I would like to draw your attention toward the evolution of labor cost per unit of output in the monetary union called United States of America (second graph) and the one called Disunited States of Europe (first one). Don’t they look similar?

Germany like California and Alaska like Italy? Well not weather-like, but competitiveness-like. How come these big differences in labor costs across states seem to drive “exit spreads” in Europe and not in the US while both have a monetary union?

Is it because the US have a banking union? Come on, try better. Is it because the US have a central bank that buys bonds in the market or because there are Union bonds in the US? Oh, let me tell you, nobody would have doubted of the impossibility of exit of less competitive US States even when there were no Union bonds and no Fed (XIX° century).

Actually this is not really true. Doubts in the USA about exit arose, especially during the split that led to the Civil war. Which proves that what drives a lack of concern for exit is … lack of conflict, Union. So the true question is… how to create Union in a union.

Oh, tough question. I guess each one should look into his own backyard and ponder how his marriage worked over its difficulties, or how a father worked out his disagreements with his children, or how a friendship lasted 50 years.

I guess there are 3 ingredients to that: mutual undestanding, help and support in times of hardship, and a somewhat shared view of life and of relevant values.

Take a union of States and create slowly over time  a bond. Yes a Union Bond, one that is made of mutual understanding, help and support in times of harship, shared national values, and you will get your Union, with a capital U.

The graph below shows what is a Union: the blue dots, where richer US states transfer permanently resources to poorer states. The red dots, are a union: EU states as diverse as the US ones in terms of income but with no intention of sharing risks (thanks to Antonio Foglia for the graph).

That simple. Now, Europe, what are you going to do about it?

 

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Ecco la prova che inchioda l’Europa: si può fare

Bella giornata ieri a Bologna presso l’Associazione Prometeia diretta da Paolo Onofri a discutere del loro rapporto di previsione. Oggi sarà giornata un po’ dura ma bella, insegno 8 ore al Master Anti Corruzione dell’Università di Pisa, diretta dal grande e instancabile Alberto Vannucci, mio collega. Non so se oggi avrò ancora tempo di scrivere, vorrei parlarvi di cosa emerge dal Rapporto sulle condizioni del mercato del lavoro in Italia, informazione molto interessante.

Vedremo se avrò il tempo, sennò domani.

Intanto però non resisto a farvi vedere queste due slide che ha presentato durante la tavola rotonda Prometeia  a cui partecipavo il banchiere Antonio Foglia. Quando le ho viste mentre si preparava a parlare gli ho detto “mi raccomando anche se ti mettono fretta queste 2 slides le devi commentare!”. E così ha fatto.

Ci raccontano dell’altra Europa, queste slide, quella nascosta dietro il velo delle politiche attuali, testardamente recessive e miopi, quella dell’Europa a portata di mano. Lo fanno descrivendoci … gli Stati Uniti di America, sì l’altra grande unione monetaria che non ha nessuna intenzione di fallire, dove il Mississippi può avere la peggiore competitività, può fallire sul debito e nessun operatore di mercato si sognerebbe di prezzare a spread come quelli odierni di Spagna, Italia, Grecia.

Guardate questo grafico senza leggere né titolo né nomi degli Stati, guardate solo i grafici: sono i costi del lavoro per unità di prodotto prevalenti in ogni stato. Assomigliano a quelli europei, vero? Peccato che noi … siamo l’Alaska e la Germania è … la California!

Già, in una unione monetaria si può convivere con costi del lavoro per unità di prodotto (CLUP) … ben diversi e … non  soffocare né rischiare di perdere il dollaro. Mi aveva rimandato, una lettrice assidua, ad un articolo di Rampini dove si diceva che negli Stati Uniti si andavano a riallinearsi, gli Stati Usa, tramite massicci spostamenti di persone o tramite urticanti deflazioni o forti aumenti di produttività fino a quando i CLUP non coincidessero. Ma no, dai. Come vedete  dall’incredibile slide sottostante, la soluzione magica che tiene in piedi l’unione degli Stati (oltre ad una banca centrale assai pronta a comprare titoli di Stato) sta … nella sua solidarietà. Qualcuno lo può chiamare anche il prezzo della diversità? Benissimo, chiamiamolo così: ma al Mississippi. se lo volete nell’Unione a stelle e strisce, bisogna non chiedergli riforme che lo facciano divenire la California, impossibile, ma dargli soldi e trasferimenti che non lo facciano sentire di serie B.

Il grafico sull’asse verticale delle ordinate riporta i redditi pro-capite in percentuale del reddito medio degli Usa (in blu) e degli stati dell’euro (in rosso): come vedete c’è grande variabilità in ambedue le Unioni, stati più ricchi che convivono con stati più poveri.

Ora però guardate sull’asse orizzontale delle ascisse: leggete i trasferimenti che avvengono nell’Unione in percentuale del reddito dello stato. Noterete come i punti rossi europei sono tutti concentrati vicini allo zero, nessuno che molla una lira (oopps un euro) all’altro, anche se più povero. Notate invece la nuvola blu americana: gli stati più ricchi americani (in alto verticale) danno molti trasferimenti (a sinistra in orizzontale) agli stati Usa più poveri (in basso verticale) che non trasferiscono somme ma, appunto, le ricevono (a destra in orizzontale).

E già. L’Unione di stati funziona con la solidarietà. Ma anche questo non è vero: per arrivare a questo schema di trasferimenti ci sono voluti tanti decenni, più di un secolo. Prima gli Stati si sono dovuti conoscere (combattere addirittura), fidarsi, trovare un interesse comune che li unisse. Cultura, tolleranza, a volte con strappi cruenti.

Noi europei avremmo mezzi migliori: mettiamo i nostri giovani obbligatoriamente in viaggio durante un anno di liceo. Facciamoli conoscere i ragazzi. Altro che il meraviglioso Erasmus, molto molto di più.

E intanto cominciamo ad aiutare gli Stati in difficoltà, si creerà il più grande debito di tutti, quello che si ripaga sempre, il debito di riconoscenza.

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Combattere la corruzione si può e si deve. Venite al Convegno?

Lunedì prossimo a Roma col Master che dirigo abbiamo organizzato un bellissimo convegno (credo!). Se volete venite!

Ecco il programma:

 

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Tanto rigore per nulla? 5 economisti ed 1 sindacalista ne parlano …

A ClassTv Msnbc la scorsa settimana abbiamo parlato di crisi con colleghi e rappresentanti dei lavoratori. Varie visioni disponibili del modo di affrontare la crisi. Spero sia utile.

Se vuoi vedere qui il video della trasmissione, clicca qui.

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I 10 dubbi che mi attanagliano sulla spending review

Primo. Non è un dubbio, è una certezza. La madre di tutte le riforme è quella della Pubblica Amministrazione, come dice il Presidente della Confindustria. La forza di una economia saldamente basata sulla libertà d’impresa ha bisogno di uno Stato forte e non invasivo a supporto. Se perdiamo la battaglia della competitività con Cina, Germania e Stati Uniti è perché a loro modo il loro Stato funziona (molto) meglio del nostro. Il che significa anche che lo Stato non si rottama, si restaura, operazione su cui dovremmo essere particolarmente portati.

Eccoli, i miei 10 dubbi.

a)    I restauri non si fanno in emergenza ma con pazienza. Quando in emergenza per ridurre il debito vendemmo tanti gioielli di famiglia privatizzandoli, primi anni Novanta, senza prima liberalizzare il mercato di riferimento, perdemmo un’occasione trasformando monopoli pubblici in privati o lasciando oligopoli con pari concentrazione senza permettere a più imprese di entrare aumentando benessere ed occupazione maggiormente. Oggi rischiamo di fare la stessa cosa: invece di riorganizzare la Pubblica Amministrazione, tagliare. Buttando con l’acqua sporca (quanta?) il bambino dalla finestra.

b)    Abbiamo già sperimentato la chiusura di enti pentendocene, come per l’Istituto del Commercio Estero. Non faccio nomi di altri Istituti a rischio che mi pare una follia chiudere, ma ci si pensi bene a chiudere quello che va rafforzato e razionalizzato ma che ci serve tanto.

c)     Siamo in recessione. I tagli faranno aumentare la portata della recessione facendo ulteriormente crollare entrate aumentando deficit e debito pubblico.

d)    Tagliare la spesa per non tagliare l’IVA? Mi fa un po’ … sorridere. Da sempre insegniamo ai nostri studenti che un taglio di spesa pubblica è più recessivo di un pari aumento delle tasse, non fosse altro che perché la spesa pubblica riduce direttamente il PIL con minore domanda a imprese e occupazione, mentre l’aumento delle tasse non si traduce 1 ad 1 in minori consumi delle famiglie perché in parte quel minore reddito si traduce in minori risparmi.

e)    I tagli lineari fanno male perché, colpendo le amministrazioni buone e quelle cattive parimenti, deprime lo stimolo a migliorarsi. Quando leggo che i contratti in vigore nella sanità d’imperio vedranno ridotti del 5% il loro valore, a parte pensare alle imprese in questo momento in difficoltà di liquidità e alle prese con ritardati pagamenti, penso anche che non si distingue tra quei contratti fatti bene che hanno portato tramite la concorrenza in gara a prezzi vicino ai costi con quei contratti fatti male che hanno lasciato ampi profitti ad un potenziale cartello di imprese. Perché trattare ugualmente questi due casi? Perché ancora ci manca all’appello – dopo mesi che da questo blog lo chiediamo - la capacità di non aggiudicare la gara (futura, non passata!) in mancanza di trasmissione dei dati ad una unità centrale che può approvare o bloccare un contratto dal prezzo diverso da quello considerato “normale”? Una riforma piccola piccola e allora perché non farla? Abbiamo paura di ispezionare i cantieri? Non lo sappiamo fare? Avanti!

f)      I sindacati fanno la voce grossa e in parte fanno bene a tutelare i loro iscritti quando questi vengono attaccati indiscriminatamente (tagli lineari anche per i dirigenti? Quelli più bravi come quelli meno bravi devono andare a casa?) ma non c’è dubbio che il grande sindacato, quello che dialoga nel manifatturiero con il padronato per trovare modi per migliorare la propria produttività e raggiungere moderazione salariale in una fase di difficoltà, quel Dr. Jekyll là, si trasforma in Mr. Hyde quando parliamo di settore pubblico. Là il sindacato difende i peggiori dipendenti, non emarginandoli e non distinguendo tra bravi e meno bravi. Sarebbe tempo che il sindacato si facesse una bella review interna, una bella review dei suoi peccati e lavorasse anche sul fronte pubblico a favore del Paese.

g)    A proposito di sindacati, un’altra battaglia da fare sarebbe quella di ancorare i salari a Nord e Sud della Pubblica Amministrazione all’inflazione locale. Aumentare i salari al Sud dei dipendenti pubblici quanto quelli del Nord porta a salari reali pubblici troppo alti al Sud e dunque minore interesse dei giovani meridionali a lavorare nel settore privato che può pagare solo salari più bassi a causa della sua minore produttività. File chilometriche ai concorsi pubblici del Sud, da ridurre per ottenere maggiore imprenditorialità là dove ci sono tante energie e idee che spesso non diventano impresa.

h)    La spending review inglese non è solo tagli: le prime pagine della SR del governo Cameron, non certo un governo a favore della spesa pubblica, mostra i settori strategici (scuola, sanità, ecc.) dove aumentare la spesa e solo dopo mostra dove trovare i soldi. Tagliando quei rami secchi ritenuti meno importanti. Dibattito assolutamente assente in Italia. E se i 200 milioni alle scuole ed università private sono esattamente questo, beh, allora avremmo gradito su tale materia un dibattito ben più trasparente ed importante. Ah, già che siamo in tema, leggo di fondere le piccole università. Beh ecco un ottimo esempio. Stiamo combattendo una battaglia per portare nel giro di 10-15 anni il tasso di laureati al 40% della popolazione. Oggi siamo 24° su 27 in Europa, con il 18%. Un vero problema. Sappiamo bene che per fare ciò abbiamo bisogno di tante piccole università non di ricerca e scuole professionali avanzate, altro che ridurre gli atenei. Questa è una riforma che fa male al Paese ma lo vedremo solo tra 20 anni, il danno che avrà fatto.

i)       Ah un dettaglio. I sudditi britannici da tempo sono abituati a non sentirsi più dire “eliminare gli sprechi senza ridurre i servizi” ma “aumentare i servizi premiando chi si sforza”. Ecco, si dice a Roma che è fuffa, ma non credo: il modo in cui si porge un messaggio conta perché rivela come si intende affrontare un problema.

j)       Non è vero che il nostro settore pubblico è ampio. Le slide di Confindustria mostrano un settore ben più piccolo di quanto non sia in tanti altri Paesi. Il problema non è ridurlo ulteriormente è di metterlo dove serve di più e pretendere che lavori meglio.

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Obama ci mostra come si fanno gli Stati Uniti Europei

Ecco guardate un po’ come come si fa una Unione di diseguali per che abbia successo.

Dopo la riforma Obama che prevede l’estensione dell’assicurazione sanitaria ad altri 17 milioni di cittadini che vivono al di sotto del 133% della linea di povertà si tratterà di aumentare la spesa pubblica in ogni Stato.

Chi pagherà? Ogni singolo Stato perché la riforma è stata fatta dal Governo centrale illuminato che sa che tutti devono adeguarsi allo standard deciso all’alto? O, riconoscendo l’importanza del rispetto delle diverse condizioni di partenza ogni Stato contribuirà a seconda del suo livello di ricchezza, magari con un maggiore supporto da parte dello Stato centrale per gli Stati più poveri?

La seconda che abbiamo detto. Ecco i dati tratti da New York Times:

 

Nei cerchi in rosso gli Stati che ricevono la più bassa percentuale del loro PIL dallo Stato centrale: New York, Massachusetts, District of Columbia. Sono stati ricchi.

Sotto, nei cerchi in verde gli Stati che ricevono la più alta percentuale del loro PIL dallo Stato centrale: Mississippi, Alabama, Arkansas. Sono stati poveri.

 

Il Governo federale centrale americano da sempre sa che l’Unione si basa sulla solidarietà. Anche e soprattutto quando si tratta di fare riforme che ovviamente come sempre costano di più ad alcuni e meno ad altri. E che spesso sono gli Stati più poveri ad avere maggiori costi dall’adeguarsi a nuovi standard.

Ecco perché gli Stati Uniti Europei devono nascere sotto spoglie diverse di quelle che pensiamo di dargli in questi giorni. Ne va dell’Unione degli Stati Uniti Europei.