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Gramsci, Europa ed euro

Il mio pezzo uscito oggi su sito Micromega

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Sono state ore drammatiche quelle che ha vissuto  la nostra Repubblica poco prima del 2 giugno. Momenti in cui si è arrivati a preoccuparsi dell’ordine pubblico, visto che nel giro di poche ore un’intera e ampia classe di persone, con l’apparente abbandono del programma del cambiamento giallo-verde a seguito della rinuncia del premier incaricato Prof. Conte, aveva visto sfumare davanti ai propri occhi la possibilità di ottenere un reddito di cittadinanza sostanzioso nonché una riforma fiscale di riduzione delle imposte altrettanto sostanziosa, basata sulla flat tax. Come non pensare che questo scenario non avrebbe potuto  generare tensioni e sfociare addirittura nella rivolta?

I rischi di sommovimenti dell’ordine pubblico sono spesso figli di una qualche patologia nell’ordine sociale, inteso anche, a monte, come legittimità e autorevolezza delle nostre classi dirigenti. Come scrisse Gramsci, nei suoi “Quaderni del carcere”, in tali momenti di crisi si verificano delle transizioni, che danno vita a un “interregno”: “se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più “dirigente”, ma unicamente “dominante”, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” A distanza di quasi 100 anni, queste parole risuonano pregnanti e attagliate alla condizione della nostra Italia. Ovviamente in un contesto diverso: nello specifico in un contesto altamente globalizzato, per noi europeistico, perché legato a istituzioni di stampo europeista.

Come frenare questi fenomeni morbosi e riuscire a garantire come minimo una transizione serena?

Certamente molto ha fatto il Presidente della Repubblica Mattarella al riguardo quando ha rifiutato di siglare la nomina del pur competente Prof. Savona. Come d’altronde immaginare si potesse allocare allo scranno più alto della politica nazionale un economista di prestigio che scriveva solo tre anni orsono “il grado di riuscita del Piano B è in funzione del livello di segretezza che si riesce mantenere” per “…lasciare la zona euro in fretta”, senza che la popolazione italiana si fosse esplicitamente pronunciata al riguardo come, a questo punto, potrà fare nel dibattito verso  le prossime elezioni politiche che vedrà due schieramenti contrapposti sul tema euro?

Per proseguire nell’alveo democratico che garantisce la minimizzazione dei rischi di un interregno “morboso”, è stato bene procedere nella stessa direzione, non accontentandosi di un competente governo tecnico inviso alla maggioranza degli elettori. Sarebbe stato come mettere benzina sul fuoco. Le alternative chiare che rimanevano erano quelle di un governo politico subito, come è stato, che confermasse a parole e nei fatti la permanenza nell’area dell’euro senza se e senza ma; oppure di nuove elezioni politiche nelle quali, appunto, il tema dell’euro doveva finire per divenire il nostro referendum, a valle del quale e solo a valle del quale un Governo anti euro sarebbe stato legittimato popolarmente a stampare carta moneta intitolata lira.

In ambedue i casi si poneva comunque la questione, per chi desidera perorare la causa della moneta comune europea come chi scrive, di come convivere nell’euro nella crescita e non nello scontento: nel primo caso un Governo giallo-verde nell’euro dovrà essere capace di ottenere dall’Europa politiche che rimettano in piedi quelle zone dell’Italia in cui il disagio è più immediato; nel secondo il partito pro-euro avrebbe dovuto saper argomentare in campagna elettorale, per non essere destinato alla sconfitta, come si può restare dentro l’euro e non  vivere strozzati dalle decisioni di Bruxelles.

La risposta in ambedue casi è una sola: pretendere dall’Europa la non applicabilità per l’Italia del Fiscal Compact, che ha impedito in questi anni la ripresa degli investimenti privati (chi mai li avrebbe fatti sotto la mannaia delle varie clausole di salvaguardia di aumento dell’IVA, più o meno credibili non importa?)  e l’utilizzo della leva degli investimenti pubblici tanto cara sia a Roosevelt negli anni 30 che a Obama nel post 2008 di fronte a problemi simili, di ordine economico e sociale.

Facendone cosa, di questa “libertà fiscale”? La soluzione ottimale anche a livello politico rimane quella di bloccare il deficit al 3% del PIL per 5 anni, non obbligando al bilancio in pareggio, e utilizzando le risorse così liberate per un Piano Straordinario di Solidarietà via appalti pubblici là dove più necessari, ovvero dove la disoccupazione è più alta, in Meridione certamente, ma soprattutto presso quelle classi della popolazione che sono a basso titolo d’istruzione.  Il Piano Straordinario di Solidarietà dovrà applicarsi prima di tutto agli appalti nel settore edilizio: scuole, carceri, abitazioni in zona sismica 1. Questi appalti dovranno partire in tempi rapidissimi, con legislazione straordinaria che garantisca che i controlli ANAC avvengano a valle sui cantieri e non a monte sulle procedure.   Come per i terremoti? Certamente, perché di questo trattasi: di un terremoto sociale che merita il massimo dell’attenzione.

Un’Europa e un’Italia che comprendessero la portata della sfida non si farebbero bloccare dagli inutili vincoli contabili che mai caratterizzarono la prima fase dell’Europa che sognava e garantiva solidarietà. Un’Europa e un’Italia che fossero all’altezza di questa sfida vedrebbero gli spread annullarsi, nella certezza della forza del progetto comune europeo.

Se un nuovo deve nascere, che nasca sulla base dei valori condivisi del passato che sembriamo aver dimenticato: solo la solidarietà può mettere al centro delle future generazioni un progetto di pace sostenibile e duraturo fatto di sviluppo, tolleranza reciproca ed equità.

Il primo segnale lo avremo da subito, con il programmatico previsto per i prossimi 5 anni dal Documento di Economia e Finanza del nuovo Ministro dell’Economia e del nuovo Presidente del Consiglio: sarà facile capire da subito se tira aria di Europa vera o di una di gattopardiana memoria.

Grazie per spunto Gramsci!

12 comments

  1. Antonello S.

    06/06/2018 @ 10:51

    Carissimo Professore,
    Lei scrive di “…mettere al centro delle future generazioni un progetto di pace sostenibile e duraturo fatto di sviluppo, tolleranza reciproca ed equità”.
    Ma è sicuro che il ricorso sistematico alla negazione del Fiscal Compact, così come un eventuale richiesta degli Euro-bond o comunque di un meccanismo che possa garantire quei trasferimenti necessari in uno Stato sovrano, in presenza di aree economicamente più svantaggiate, possano garantire la riuscita del progetto di pace che Lei auspica?
    Sono passati 18 anni dalla moneta unica, e nonostante l’evidente peggioramento dei dati socio-economici, finora la situazione non è ancora esplosa grazie al diffondersi di una capillare propaganda eurista dei media principali (come notiamo plasticamente in questi giorni) ed all’utilizzo del cosiddetto “metodo Juncker” ( proporre agli elettori misure formulate in modo sufficientemente incomprensibile perché questi non manifestino reazioni. Se queste invece si manifestano, le proposte vengono ritirate, e poi ripresentate dopo un po’, magari rendendole ancora meno comprensibili).
    Ora i nodi stanno cominciando a venire al pettine, anche perchè la storia ci ha insegnato che tutte le unioni monetarie non supportate giuridicamente da uno Stato sovrano, hanno sempre avuto vita breve.
    Ora, siccome gli “Stati Uniti d’Europa” sono un progetto praticamente impossibile da perseguire, perchè anche in questo caso la storia ci ricorda che le aree geografiche e gli Stati moderni sono sempre stati imposti con il sangue, io mi chiedo e Le chiedo perchè continuare a subire le disfunzioni apportate dalla moneta unica?
    Non sarebbe preferibile mantenere la sola UE, che già di suo regolamenta importanti e consistenti elementi sociali ed economici?
    Il mio auspicio diversamente dal suo, sarebbe quello di una pacifica e concordata dissoluzione dell’Eurozona, con un ritorno alle bance centrali autonome (magari sfilandole dal controllo dei grandi gruppi privati).
    Ma lei è troppo intelligente per ignorare perchè ciò non sta avvenendo, aldilà ovviamente della risibile storiella del sogno europeo.

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    • Credo, al contrario, che stia avvenendo e che ci stiamo lentamente avvicinando alla fine dell’eurozona e della sovranità europea. Sarà l’inevitabile frutto della non solidarietà europea, ormai evidente. Il che non significa che non smetta di lottare per essa (non degli Stati Uniti d’Europa per carità) ma credo che il nostro amico Bagnai avrà avuto alla fine ragione, avendo io sottostimato l’imbecillità delle classi dirigenti ed aristocratiche. Al limite potrebbero imporsi col sangue, a quel punto ci vedremo tutti in montagna, con fucili e bisacce.

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  2. Intanto alla LUISS presentano il libro in cui si spiega perché e come potrebbe (condizionale eufemistico) essere necessario limitare la democrazia privando alcuni cittadini del diritto di voto.
    La prefazione è di Sabino Cassese…e non me ne stupisco affatto…

    https://twitter.com/LuissLUP/status/995318659764629504

    PS: le ricordo che “solidarietà” vuol dire una sola cosa e cioè che la classe media rinuncia a tramandare in eterno “interamente” la sua rendita di posizione socio economica (ossia “mobilità sociale”).
    È per mantenere quella rendita di posizione che hanno votato per i partiti del neoliberismo, prima Thatcher e Reagan poi, molto peggio, Clinton e Blair.
    Il risultato è stato che una volta sconfitti lavoratori e sindacati anche la classe media è stata messa sotto attacco e oggi deve lottare per potersi salvare.
    Per farlo ha bisogno dell’appoggio di lavoratori, disoccupati, precari.
    Non ha scelta, da sola è destinata alla sconfitta.
    Se la classe media “locale” – società civile e PMI – avrà il coraggio di parlare di “mobilità sociale” in termini di “ideale” e non di “strumento” adatto alla gestione dell’ordine di cui fino a oggi sono stati i custodi per conto delle oligarchie cosmopolite “non-locali”, allora si ricreerà “il popolo” cioè una comunità in cui i subalterni si riconoscono nella leadership che li guida e che offre loro in cambio la GARANZIA che i figli dei subalterni avranno LE STESSE POSSIBILITÀ dei figli delle classi privilegiate.

    Questa è una idea che solo gli intellettuali sono in grado di far passare r suggerisco che si diano una mossa perché la seconda metà del 2018 e il 2019 rischiano di essere abbastanza turbolenti.

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  3. Questo è quello che inchioda la sinistra nel sua amletica dipendenza dal fantasma di un padre, Marx, che non ha il coraggio di reinterpretare.

    Una mobilità sociale che sia “strutturale”, compensata da un welfare di prima classe che garantisca una vita dignitosa con la possibilità per tutti di risalire rapidamente; che proprio in quanto strutturale – ossia si sa che oggi a me domani a te – di per se stessa sdrammatizza le differenze di classe implementando in maniera veramente sentita la solidarietà, oggi inficiata dall’incontenibile esigenza di distinzione sociale; questa mobilità sociale che deve diventare un principio fondante “è” in concreto quella nebulosa promessa marxiana di “possesso in comune dei mezzi di produzione” e l’altrettanto ambiguo obiettivo delle “società senza classi” di cui tutti parlano e nessuno sa cosa siano.
    Sono concetti confusamente messianici perché non si confrontano con l’ineludibile esigenza di gerarchia in qualsiasi organizzazione e con il fatto che ovviamente chi è in una posizione di vertice avrà dei privilegi economici, sociali, culturali e soprattutto costruirà una rete di relazioni impossibile per chi si trova in posizioni subalterne.

    Ma come scriveva L. B. Namier a proposito del parlamento inglese, l’aporia di un sistema gerarchico è che funziona solo quando l’élite vuole rappresentare un popolo di cui “sente” di fare parte essa stessa ma – non comprendendo che il sistema per non entrare in contraddizione “deve” evolversi nel segno della diffusione non solo del benessere ma anche della partecipazione al momento della decisione politica – nel tentativo di assicurare la propria permanenza e riproduzione “coopta” una fascia sociale intermedia la quale, essendo priva di autentico potere, ricchezza e prestigio, si porrà come obiettivo esistenziale la distinzione sociale fine a se stessa.

    In altri termini, la gerarchia consente l’ordine e la possibilità di realizzare dei progetti ma IL MANTENIMENTO DELLA GERARCHIA (il fatto di tramandarla per privilegio di classe) comporta una eccedenza o monopolio del privilegio che nega intrinsecamente i presupposti per i quali si era accettata quella gerarchia.

    Questo significa che la classe media se non si pone come soggetto politico autonomo portatore di una nuova idea di sistema rivolgendosi al popolo, finirà per essere “sussunta” dalla oligarchia che nel frattempo, con l’aiuto della stessa miope classe media, aveva sussunto il lavoro e i sindacati privando i subalterni del loro potere contrattuale economico e politico.

    La classe media quindi HA ASSOLUTAMENTE BISOGNO di una classe subalterna dotata di un suo potere contrattuale- per quanto questo possa crearle dei problemi – altrimenti si avvita in un sistema delle disuguaglianze che implica la progressiva concentrazione del privilegio (e dei capitali, come stiamo vedendo) e alla obliterazione dei ruoli sociali intermedi (cioè della classe media).

    Il potere, la ricchezza, il prestigio sociale sono obiettivi naturali nella nostra società e sono il suo autentico motore verso il progresso ma possederne il monopolio ne mette in cortocircuito i presupposti.
    L’unica soluzione all’incipiente insolubile contraddizione di questa aporia è nel porre come “principio comunitario” l’impossibilità di “mantenere e tramandare” il privilegio ossia, appunto, la mobilità sociale.
    È una scelta etica, spirituale, religiosa, di lotta, non è una questione di governance che si limita ad adattarsi a un esistente postulato arbitrariamente secondo gli interessi della classe dominante (che paga fior di professori, intellettuali e opinionisti di basso livello per far passare l’idea che si tratti di un dato di fatto “oggettivo” immutabile).

    Chieda a un suo collega antropologo del rito del potlatch, la distruzione volontaria delle eccedenze di ricchezza che secondo alcuni studiosi aveva la funzione di impedire che la disuguaglianza diventasse strutturale portando alla disintegrazione della comunità.
    Noi “NON” dobbiamo distruggere nulla, dobbiamo imparare che la vera ricchezza, il vero profitto, è “condividere” e lei che insegna ai giovani sa che è vero.

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  4. L’Italia (una parte…) ricomincia a tirare fuori gli attributi.

    1) A Rotterdam la delegazione di Assoporti si alza e se ne va dalla conferenza dell’ex ministro degli esteri e del commercio belga De Gucht che stava insultando l’Italia

    2) il nazista Gunther Oettinger minaccia gli italiani e viene obbligato a rettificare dichiarando profondo rispetto per l’Italia dopo una veemente reazione sui social

    3) Salvini obbliga la UE a parlare per la prima volta di solidarietà nella gestione dei migranti. Quelli di prima accettavano immigrati in cambio di centesimi di flessibilità fiscale

    4) La Francia insulta l’Italia e Conte non va più al meeting con Macron pretendendo delle scuse

    5) Tria cancella l’incontro con l’omologo le Maire

    6) Giornalisti italiani escono dalla sala conferenze stampa dell’Europarlamento dopo che una portavoce della Commissione europea non autorizza una domanda a Mogherini e Katainen sulla vicenda Aquarius

    7) il professor Piga cancella tutti i post in cui scriveva “Forza Mario” (coi punti esclamativi :D :D :D ), quelli in cui sosteneva quell’incapace politico di Renzi, e pubblica una serie di articoli di cui i primi sono intitolati:

    -”Forza Beppe, io sto con te!”

    -”Dai Salvini, fai vedere che il vero Matteo sei tu!!”

    -”Lo avevo sempre detto, ho avuto ragione io!!!”

    Meno male va’, se c’è l’orgoglio significa che abbiamo finalmente superato la tragedia della sconfitta della seconda guerra mondiale.

    Provocata manco a dirlo dai sempre periclitanti impiastri di borghesia medio alta, quelli che hanno sempre bisogno di un potere a cui potersi asservire…

    Ora siamo nella fase di passaggio, come giustamente ha scritto lei che ha letto attentamente Gramsci, nell’ “interregnum”, e chi ha gli oculos videndi già si prefigura i futuri sviluppi, quando a svegliarsi sarà veramente “il popolo”.

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    • Allora si possono sbattere i pugni sul tavolo! Ma va!
      Per ora sono solo pugni.
      Per ora, oggi si legge che il deficit 2019 scenderà come per Padoan allo 0,8% di PIL: domani sul sole ne scrivo.
      Temo che i pugni non si trasformeranno mai in sciabolate. Ma aspetto.

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      • Intanto ha visto che hanno nominato Borghi e Bagnai alle commissioni bilancio e finanze?
        E’ felice, lo so.

        Per quanto riguarda le sciabolate la mia idea, che avremo modo di verificare, è che non sarà necessario battere troppo i pugni ossia sarà sufficiente reclamare i propri legittimi diritti e il sistema eurozona o salta o si aggiusta.
        Per di più considerando la nuova posizione geopolitica dell’amministrazione Trump direi che la Germania potrebbe ritrovarsi in una serie di guai che la spingeranno o ad ammorbidirsi o a decidere di mollare la moneta unica.

        Ho la sensazione che ai livelli profondi il cambiamento sia già avvenuto ma che ce ne si accorgerà anche in superficie solo fra qualche mese.

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        • To’, qualcuno ha capito che Trump non ha più interesse in una UE germanocentrica (come detto proprio nel post sopra)…ci mettono sempre un po’ ma alla fine ci arrivano…

          Se Trump riesce a sistemare la questione israelo palestinese viene rieletto ossia si salva da quello che secondo lui è il pericolo principale, il dilagare della Cina.
          Per farlo ha bisogno di Putin come mediatore/garante in medioriente che è la linea di faglia con Pechino.
          Ma la Russia gli è indispensabile anche per costruire un mondo multipolare cioè evitare una insostenibile posizione di confronto a due con i cinesi, dato che DT ha capito che insistere sulla egemonia in solitaria porterebbe l’America alla sconfitta per oevrstretching (e attenzione al Sudamerica a fine 2018…).

          La Germania non serve più perché intanto la UE era stata pensata dagli US in funzione antirussa e non ce n’è più bisogno.
          Anzi la Russia è vista come un potenziale alleato ma la Germania sta brigando in tutti i modi per accordi con Mosca solo a patto di vederla fortemente indebolita (vedi il ruolo tedesco in Ukraina).
          Gli europei sono litigiosissimi e antipatici per cui il germanocentrismo ordinatore non ha più alcun senso nella visione di Trump…

          In altre parole l’Italia ha una opportunità clamorosa per diventare il perno di un nuovo mondo multipolare nel settore strategico collocato a metà fra le faglie europee e mediorientali avendo tradizionalmente una capacità superiore in fatto di mediazione anche con il nord Africa che risulterebbe utilissima agli americani,

          Dobbiamo solamente avere l’intelligenza di portare in cortocircuito le evidenti aporie del sistema UE e diventiamo il centro dell’Europa.
          La nostra tattica deve essere, per usare una terminologia anni 70 di stile democristiano, “l’ostracismo propositivo”.

          Viene da dire “Forza Matteo, Forza Luigi”…non è d’accordo, prof?

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