Apparso oggi su Il Mulino.
https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:3887
*
Il Documento di Economia e Finanza non è la stessa cosa della Legge di Stabilità. Questa traccia le decisioni del governo su spese e tasse per l’anno a venire; quello, così voluto dall’Europa, nasce per indicare ad imprese e famiglie il contesto economico di medio termine, 3-4 anni, all’interno del quale si troveranno ad operare a seguito della programmazione governativa. Ha uno scopo rilevante, il c.d. DEF: quello di dare certezze a tali componenti sociali, influenzando le loro aspettative future, sperabilmente in maniera tale da cementare il loro ottimismo all’interno di una cornice di crescita e stabilità.
I giornali si sono sperticati a raccontare, come d’altronde il Premier Gentiloni, di una manovra “espansiva”, semplicemente perché per il 2017 non è prevista che una manovrina di poco più di 3 miliardi di aggiustamento. Ma il DEF non riguarda il 2017, ma gli anni dal 2018 al 2020. E ben più appropriate appaiono al riguardo le parole del Ministro Padoan, che ha parlato di “una politica fiscale particolarmente stringente” che “fa parte degli accordi europei”. Ovvero del famigerato Fiscal Compact, l’accordo intergovernativo che stabilisce come, senza se e senza ma, il Governo italiano debba raggiungere in pochi anni il bilancio in pareggio.
Spesso si è fatto notare come il Fiscal Compact non sia mai stato operativo, visto che ha permesso di rinviare, di anno in anno, il raggiungimento del pareggio. Una austerità sulla carta, ma non nella sostanza, che prometteva tagli di spesa pubblica e aumenti delle tasse senza mai realizzarli. Peccato che imprese e famiglie non si siano certo mai fidate di una tale rassicurazione: ansiose di ottenere certezze, le loro aspettative si sono congelate nel pessimismo, evitando di consumare ed investire nel dubbio che poi il Governo portasse a termine i piani annunciati di riduzione drastica della domanda pubblica e di aumento della pressione fiscale.
Con Gentiloni ed il suo primo DEF di questo aprile è tuttavia avvenuto un cambio di passo, ancora più austero, mai adottato da nessun Governo prima del suo: la decisione di confermare, e non rinviare, l’anno di pareggio di bilancio, al 2019. Lo stesso anno di pareggio promesso da Renzi nell’aprile del 2016. Avendo tre anni a disposizione Renzi era stato ben più moderato nella sua promessa di austerità e riduzione del deficit: nel 2016, aveva infatti promesso che per il 2017 il deficit su PIL sarebbe sceso dello 0,5 di PIL, circa 8 miliardi di euro, dal 2,3 a 1,8%. Ora Gentiloni con il DEF 2017 raddoppia, annunciando che il deficit dal 2017 al 2018 scenderà dal 2,1 all’1,2%, di 0,9 di PIL, 15 miliardi. Una manovrona dovrà a tal fine essere prevista, così come quella, analoga, per portare dall’1,2% allo zero il deficit nel 2019. Con tutto ciò che ne consegue per l’impatto su una economia, quella italiana, sfibrata da un decennio di recessione, prima, e di stagnazione ora. Una manovrona che ha obbligato il Tesoro addirittura ad abbassare le proprie stime di crescita per quegli anni, dall’1,2% all’1%, due anni che avrebbero dovuto segnare la ripresa della crescita nel nostro Paese.
Della manovrona non parlo io, lo dice senza giri di parole l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, preposto a monitorare per conto dell’Europa i conti pubblici italiani: “… il quadro per il 2018 e 2019 risente del mantenimento della disposizione di aumento delle aliquote IVA nel 2018 e dalla previsione di un ulteriore aumento di 0,9 punti dell’aliquota base nel 2019. Nell’insieme, il gettito associato ammonta a 19,6 miliardi nel 2018 e 23,3 miliardi nel 2019, corrispondenti rispettivamente al 1,1 e all’1,3 per cento del PIL”.
Una straordinaria austerità che consegna l’economia italiana alla stagnazione per il prossimo decennio ma, forse ancora più importante, che consegna l’equilibrio politico del Paese e forse del continente ai movimenti populisti, sancendo dunque la fine di una costruzione comune europea.
La soluzione? L’unica sarebbe quella di far rifiatare l’economia italiana finché non abbia ritrovato l’ottimismo di intraprendere nuovamente, scongelando le aspettative pervase di pessimismo che l’avviluppano da tempo. 70 miliardi sono a disposizione, per un piano di supporto all’economia, all’occupazione, specie di chi soffre maggiormente (piccole imprese, giovani, Meridione, edilizia sostenibile) e di abbattimento del rapporto debito-PIL, sinora invece sempre cresciuto a causa della stupida austerità. 20 miliardi derivanti da una vera spending review, mai fatta da nessun Governo, più 50 dal tenere il deficit sul PIL bloccato al 3% come chiedeva il vecchio trattato di Maastricht, e non in pareggio, al quale si tornerà solo dopo che sarà tornato il sole.
Purtroppo questo Governo non sembra pronto per un passo simile, anzi. Tra 5 mesi, quando si tratterrà di decidere se apporre la firma sull’inserimento definitivo del Fiscal Compact, tutto fa presumere che supinamente accetteremo il nostro fato, confermando l’austerità, la mancanza di solidarietà e l’inevitabile fine dell’Europa.
15/04/2017 @ 09:20
Nessuno parla dei 500 mld di debito in più che l’Italia ha fatto dal 2011 attuando politiche di controllo del debito. Questa è la verità scomoda che nessuno dice e che, da sola, giustifica l’ovvia fine dell’Europa. Speriamo che la fine dell’Europa avvenga nel più breve tempo possibile.
15/04/2017 @ 10:10
La mia impressione è che, oltre ad apporre la firma sull’inserimento definitivo del Fiscal Compact, il Governo Gentiloni, in vista delle prossime elezioni politiche del 2018, abbia preparato la classica patata bollente alla coalizione che risulterà vincente.
Siccome i sondaggi vedono avanti i 5stelle (e non ci saranno nel breve tempo motivi per sovvertire tale andamento), quale occasione migliore per consegnare il tubero incandescente nelle mani della coalizione “populista” che potrebbe dover governare il nostro Paese nel prossimo futuro.
La diabolica trama consisterebbe nell’indebolire il presunto (e sicuramente traballante) esecutivo con una serie di paletti economici insormontabili che avrebbero l’effetto (sospinti da un’accurata e studiata propaganda) di peggiorare la crisi e quindi delegittimare il suo inesperto operato, facendo rimpiangere i precedenti e più istituzionali governi pro-europeisti (e pro Fiscal Compact).
Se ciò potesse sembrare troppo fantasioso allora possiamo tranquillamente ritenere che abbiano fatto, come già molte altre volte in passato, una semplice operazione di lifting provvisorio, trasferendo la “monnezza” dei provvedimenti scomodi da affrontare sotto il tappeto, lasciando comunque l’onere delle pulizie generali a chi li sostituirà in futuro.
15/04/2017 @ 11:57
No, no, non troppo fantasioso. Ma rileva anch’esso per giudicare lo stato delle cose e l’attenzione alla gente che soffre.
15/04/2017 @ 16:17
Forse, forse, meglio lasciare l’Europa e l’Euro. Meglio un grande trauma che sconvolge un’intera generazione, che uno stillicidio infinito, imposto, che elimina qualsiasi speranza e inibisce gli stimoli. Siamo quello che siamo, probabilmente neanche un trauma ci può cambiare…
17/04/2017 @ 12:37
Caro Professore, secondo le regole del Tscg, il fiscal compact doveva entrare in vigore dopo la ratificazione per via parlamentare di almeno 12 fra i paesi firmatari.
Tale circostanza è intervenuta a fine 2012, quindi l’Italia è stata chiamata a tenerne conto fin dalla Legge di Stabilità dell’autunno 2013.
Come vede a tutt’oggi la flessibilità applicativa resta ovunque elevata.
Ma è sul fondo del ragionamento che il suo software keynesiano appare inceppato…
Reclamare flessibilità di spesa per l’oggi, rimandando il rigore “solo dopo che sarà tornato il sole” è -in Italia come altrove- assunto privo di qualsiasi fondamento, politico ed economico, visto che il nostro debito (fra l’85 ed il ’95, periodo relativamente “soleggiato” è salito di ben 40 punti…senza che nessuna riforma degna di questo nome sia stata posta in cantiere…
Temo proprio che da noi i giochi siano finiti…e che dopo elezioni “normali” in Olanda, Francia e Germania, saremo gli unici (grazie anche alla miopia di tanti acuti intellettuali e picconatori euroscettici) a ritrovarci impantanati nella melma del peggiore populismo.
Ps
I suoi cari 70 mld (ammesso e non concesso…) sarebbero in buona parte assorbiti dall’aumento del servizio del debito e per il resto ripiomberebbero in quella spesa improduttiva da dove Lei con straordinaria energia avrà contribuito a tirarli fuori…
17/04/2017 @ 13:18
E’ una critica che non accetto. Perché io indico l’unica via. E’ ovvio che lei ha ragione a dire “ma i politici farebbero poi colà” e “guardi cosa fecero allora”. E sa cosa? E chi se ne frega. Dal punto di vista normativo ho il dovere di indicare l’unica via. Dal punto di vista “positivo” ho il dovere di scommettere che una forza politica lo faccia proprio all’interno del suo programma. Il resto lo lascio agli altri, ce ne sono già troppi.
17/04/2017 @ 18:30
Ammiro la sua buona fede ma, ne abbiamo già discusso, è proprio sul piano normativo che la sua tesi non è suffragata.
Disporre, per ipotesi, di 70 mld per il rilancio…senza aver posto mano (come per vincoli cogenti ha fatto la Spagna) alla riforma, per consolidamento, del sistema creditizio, senza incentivare la concentrazione della piccola e media industria per sottrarla all’eccessiva dipendenza dal credito bancario…serve a ben poco.
Non può fare astrazione della insostenibilità di un percorso basato solo sul deficit e sulla spesa…in un sistema per di più poco “virtuoso” come il nostro.
Potrebbe forse indicare ai suoi lettori l’esempio di un paese (comparabile per taglia e struttura) che ci sia riuscito…?
17/04/2017 @ 20:38
Sulle PMI se lei mi segue siamo a posto, è un cavallo di battaglia assieme ai giovani, basta che veda il blog. Sul sistema creditizio sono favore di un suo deconsolidamento per essere coerente con un sistema pro PMI. Nessun Paese è comparabile perché nessuno ha mai conosciuto una trappola istituzionale come quella a cui siamo sottoposti. A livello politico, pochi esempi di unione monetaria: Usa ed India quelli di successo, e si ricordi di non guardarli oggi ma a 10 anni dalla loro nascita per imparare qualcosa su di noi. Nessuna astrazione, ne abbiamo troppe là fuori, di modelli vecchi per situazioni che nulla hanno a che fare con questa.
17/04/2017 @ 21:00
Caro Professore, siamo agli antipodi!
Quando parla di deconsolidamento bancario ha probabilmente in mente il “famigerato” modello delle banche cooperative…
E quando parla di pmi pensa agli gnomi con 3 soldi di tesoreria in balia del primo vento avverso o nel migliore dei casi alle eccellenze nostrane ingoiate in un battibaleno da LVMH o Kering…
Il tutto sotto perenne perfusione di uno stato gonfiato a colpi di deficit e di debito con le chiavi del default in mano ai mercati finanziari…
Proprio un bel modo di difendere il sistema Italia, non c’è che dire…
17/04/2017 @ 21:13
Lo stesso seguito da Stati Uniti, Giappone, Cina, India, Corea del Sud (no, non del Nord), Brasile, Sudafrica… come documento da anni sul blog. Se lei non mi legge la capisco, anche se si perde molto, ma non mi può attribuire quello che non dico.
26/04/2017 @ 23:22
“Peccato che imprese e famiglie non si siano certo mai fidate di una tale rassicurazione: ansiose di ottenere certezze, le loro aspettative si sono congelate nel pessimismo, evitando di consumare ed investire”.
Diffidenza?
4 milioni e 598mila italiani in condizioni di povertà assoluta nel 2015.
Tra 2009 e 2015 più di 100mila imprese fallite.
Chi non rientra in queste categorie può continuare a vagheggiare l’(altra)Europa.
Oppure contribuire a far cessare la mattanza.