E così sembrerebbe che l’Italia non abbia superato il test della valutazione, così temuto, da parte della Commissione europea. Che, nelle sue previsioni invernali, avrebbe decretato che l’Italia “cresce” sì, ma meno di tutti gli altri Paesi.
Non vi è dubbio che parte della performance italica sia legata ad una scarsa capacità del Paese di “rimettere la propria casa in ordine” tramite delle riforme, soprattutto – come sanno i lettori di questo blog – con una spending review che cancelli gli sprechi, specie nella fetta enorme di PIL generata dagli appalti pubblici, ed utilizzi quelle risorse per investire appropriatamente in professionalità: dei giovani, nelle scuole, nelle università, nell’amministrazione degli stessi appalti con personale qualificato e ben remunerato. Ma, è bene ricordarlo, nessun impulso è venuto mai al riguardo dalla Commissione europea; semmai questa si è spesa per un Jobs Act irrilevante nei fatti e creatore di maggior precarietà in un momento di alto pessimismo, rafforzandolo, senza poi applicarlo all’unico settore dove forse poteva essere più rilevante e d’impatto, la Pubblica Amministrazione.
Lo ammette la stessa Commissione che questa riforma aveva perorato, senza tuttavia chiedersi il perché: “… la creazione netta di posti di lavoro è prevista calare paragonata al biennio 2015-16, quando fu sospinta da una riduzione triennale nei contributi sociali. Sull’orizzonte previsionale, la crescita dell’occupazione è destinata a essere più forte in termini di ore lavorative che di numero di occupati, in parte a causa del minor numero di accordi per ridurre l’orario lavorativo. Ciò implica, assieme ad una maggiore partecipazione della forza lavoro, che il tasso di disoccupazione è destinato a rimanere sopra l’11% sull’orizzonte temporale” delle previsioni della Commissione.
Destinata? Strano verbo. Non c’è il minimo dubbio che le politiche economiche della Commissione europea e di chi gliele detta abbiano generato un destino perverso che ci ha condotto alla maglia nera in Europa. Ma come ignorare che la politica economica esiste invece proprio per modificare il destino delle recessioni e il benessere della gente?
Già. Perché oltre a fare le riforme (quelle giuste), in una crisi da domanda come questa c’era da fare ben altro, agendo sulla leva della domanda pubblica per stimolare in primis gli investimenti pubblici e, a seguito, quelli privati grazie al ritrovato ottimismo di imprese e lavoratori-consumatori.
Ma questo la Commissione non è che non lo capisca, semplicemente non lo ammette. E non lo ammette perché non è obbligata a farlo, a rendicontare il suo operato. Basterebbe chiederle di essere ogni anno obbligata a motivare gli errori di previsione commessi perché questo giochino di irresponsabilità condonata terminasse. Una sorta di procedura d’infrazione che l’obbligherebbe a rientrare in canoni consoni di comportamento.
Emergerebbe che un anno fa la Commissione europea prevedeva per l’Italia una crescita dell’1,3% per il 2017, ridottasi per l’ennesima volta a 0,9% un anno dopo. Come mai? Semplice, per la stima errata degli investimenti, previsti l’anno scorso crescere del 4,8% e ridottisi miseramente ad un ottimistico, tutto da verificare, +2,4%. Ma, tranquilli, c’è sempre il 2018, che la Commissione prevede oggi gli investimenti in crescita al più modesto ma sempre ambizioso +3,1%.
Per chi voglia sapere come mai i modelli della Commissione, esattamente come quelli del Tesoro italiano (che ai primi sono obbligati a convergere per motivi squisitamente politici), sono costantemente errati nella sovrastima della performance italiana, non dobbiamo aggiungere altro che quanto segue.
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Dall’analisi del quadro programmatico italiano così come sintetizzato nelle stime contenute nel Rapporto dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) sulla politica di bilancio 2016, l’Italia nel 2018 e 2019 è prevista mantenere stabile (con l’eccezione di un previsore privato, quello C, per un anno, vedi Tabella) la sua performance di crescita economica nel biennio 2018-2019. Le prime stime della Commissione concordano con tale visione di stagnazione strisciante che non riduce la disoccupazione.
Eppure sono aspettative, quelle sul nostro futuro, incredibilmente ottimistiche. Per capire perché, basterà ricordare che incorporano al loro interno la manovrona del biennio in questione, che è così sintetizzata dall’UPB:
“… il quadro per il 2018 e 2019 risente del mantenimento della disposizione di aumento delle aliquote IVA nel 2018 e dalla previsione di un ulteriore aumento di 0,9 punti dell’aliquota base nel 2019. Nell’insieme, il gettito associato ammonta a 19,6 miliardi nel 2018 e 23,3 miliardi nel 2019, corrispondenti rispettivamente al 1,1 e all’1,3 per cento del PIL”.
Una manovra, quella in arrivo, di più dell’1% del PIL nel 2018 e dell’1,5% del PIL nel 2019! Una manovra “monstre” figlia dell’idiotico Fiscal Compact. Una manovra “monstre”, che dovrebbe avere un impatto negativo mostruoso sulla crescita italiana. Eppure le previsioni di cui sopra sembrano non accorgersene.
Delle due l’una: o l’Italia senza manovra sarebbe cresciuta moltissimo (e questo potrebbe avvenire solo nell’evento di una fortissima accelerazione del commercio mondiale) nel 2018 e 2019 ed è la manovrona che riporta il PIL ai livelli stagnanti di oggi oppure le stime dell’impatto della manovrona sul PIL sono state artatamente sminuite per non far saltare i conti pubblici italiani e il Governo di turno.
Qual è la verità? I moltiplicatori di impatto, cioè solo del primo anno, del modello Istat sono stati pubblicati nel Rapporto UPB sulla politica di bilancio 2016 p. 24. Il modello Istat si caratterizza per moltiplicatori di impatto (stesso anno) contenutissimi, inverosimili, che nascondono errori di misurazione non ancora sanati (perché?). Il moltiplicatore di impatto dell’IVA (circa 0,1!!, ovvero per una manovra dell’1% del PIL come quelle del 2018, il calo del PIL è dello… 0,1% e non dell’1% almeno, come sarebbe corretto in base alle evidenze empiriche dei paesi in difficoltà come l’Italia). Idem per il modello del Tesoro.
Ci credo che con questi moltiplicatori ridicoli la crescita non si riduce! Altro che 0,9% di PIL nel 2018 se la manovra verrà attuata: torneremo certamente allo zero!
Qualcuno dirà, ma quella manovrona non verrà mai fatta, l’Italia sta mentendo e la Commissione lo sa e lo accetta. Se mai fosse vero, e non lo sappiamo, questo non vuol dire che il Fiscal Compact ed i suoi annunci non abbiano avuto e continuano ad avere un terrificante impatto sulla crescita che, anche questo, non è considerato nei numeri pubblicati, portando ad un ulteriore tipo di sovrastima della crescita.
Infatti, il moltiplicatore ufficiale di cui sopra, così artatamente basso, è basato sull’assunzione che una mega manovra domani abbia impatto solo sul domani (quando avverrà) e non sull’oggi (in anticipo). I modelli, cioè, non tengono conto del fatto che una manovrona di questo tipo sia anticipata sin da oggi da consumatori e imprenditori e che questi oggi, subito, riducano consumi e investimenti!
Come è stato detto a porte chiuse da un mio collega: “si dovrebbe applicare il moltiplicatore anche al momento (in genere fra 2-3 anni) in cui le tasse aumentano in virtù della clausola (per portare il deficit a zero), cioè si dovrebbe prevedere una recessione in questo momento”. La strisciante stagnazione a cui assistiamo oggi è figlia di queste aspettative pessimiste sul futuro, che i modelli della Commissione e del Governo italiano non considerano, perché non sono strutturati per farlo, chissà perché.
L’inganno su cui gioca la Commissione Europea non è innocuo: uccide l’economia italiana e sfibra il nostro tessuto sociale e politico. Il Governo italiano e le autorità italiane rilevanti dovrebbero usare modelli verosimili, che imparino dagli errori di previsione passati e che mostrino questo ripetuto inganno: ne va della salvezza del nostro Paese e dell’Europa tutta, niente di meno. Facendo questo, denuncerebbero il Fiscal Compact per quello che è: una macchina infernale che uccide l’Europa, contribuendo a far sì che a fine anno il Governo italiano possa rifiutarsi di firmare per il suo inserimento nella Costituzione europea (il Trattato) il proprio harakiri.
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Le previsioni delle Commissione dell’inverno 2016 e 2017
https://ec.europa.eu/info/publications/european-winter-economic-forecast-2016_en
Grazie a S.
22/02/2017 @ 16:52
Ciao Gustavo, grazie dell’interessante post e dei link. Visto che la Commissione e’ pagata dai cittadini, questi avrebbero il diritto di poter credere in simili pubblicazioni. Si potrebbe prevedere un meccanismo di peer-review per documanti di tale importanza?
Poi nei documenti linkati non ci sono i nomi degli autori, la scelta puo’ avere motivazioni ma e’ poco trasparente. Almeno dirci chi sono i principal investigators dovrebbero dircelo, forse cosi’ questi ricercatori si rifiuterebbero di scrivere certe cose…
23/02/2017 @ 19:03
Concordo!
22/02/2017 @ 19:19
La Commissione Europea non si sbaglia nei modelli. Stanno attuando un deliberato piano di distruzione dell’economia del nostro paese. Non capire che rimanere dentro alla UE non è possibile perché non è riformabile è un grave errore
26/02/2017 @ 21:06
Caro Professore,
La sua tesi ricardiana è lungi dal cogliere nel segno.
La bassa crescita di oggi non può essere spiegata con la manovrona recessiva prossima ventura…
L’”anticipazione negativa” non trova molti riscontri empirici (l’indicatore risparmio
non varia)
La sua spending revue rimane una manovra tutto sommato difensivista…indispensabile per carità ma insufficiente per rispondere ad una crisi di domanda, sovrastata peraltro da una crisi del debito…
Smettiamola di dare la colpa agli altri…
Se vuole aumentare la spesa pubblica di 3,4,5% l’anno, (90 mld di debito in più), lo dica!
Poi però ci spieghi come mai in Francia con 57% di spesa pubblica, 4,5% di deficit,
disavanzo primario cronico, 100% di debito, ci sono 3 mln di disoccupati ed una crescita a 1%…!
26/02/2017 @ 21:26
Non credo sia ricardiana, ma totalmente keynesiana sulla componente autonoma degli investimenti dovuta a animal spirits. Se poi le diminuzioni di reddito sono prese come permanenti, l’adeguamento dei consumatori come lei ben sa è tutto nei consumi non nei risparmi. E Dio sa se sono prese come permanenti.
La spending review ha tre valenze: una sulla curva d’offerta e dunque di lungo periodo, l’altra politica, perché nulla ci verrà concesso senza di essa. La terza? Fonte di finanziamento. La spesa pubblica rimane dove è in percentuale del PIL. Portando il deficit al 3% per anno, sono circa 10 miliardi. Con 30 miliardi di spending, arriviamo a 40 mld.
Vuole paragonare la Francia all’Italia? Su sia serio, prenda una valigia e si faccia un tour de France.
27/02/2017 @ 19:01
Eppure rileggendo il terzultimo ed il penultimo paragrafo del suo testo è difficile non pensare alla teoria
dell’equivalenza di Ricardo o al teorema di Ricardo Barro…
Credo che gli animals spirits di cui parla, abbiano bisogno di ben altro che di una spending revue per determinare le loro scelte d’investimento…
E comunque per un buon keyensiano studiare a fondo il caso francese come anche quello spagnolo potrebbe essere oltremodo istruttivo…
(Spero che dopo il tour de France non mi inviterà ad andare alla corrida…)
27/02/2017 @ 23:40
Lei ha molte ragioni. No la Vuelta no