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Più deficit, nell’euro, ma speso bene

Il mio articolo oggi sul Sole 24 ore.

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Il Presidente Jimmy Carter, premio Nobel per la Pace per il suo sforzo nei negoziati di pace internazionale, ebbe modo di rimarcare come “a meno che ambedue le parti non vincano, nessun accordo potrà essere permanente.” Non dovrebbe dunque sorprendere che Movimento 5 Stelle e Lega si siano uniti in un contratto che contiene ambedue le proposte che più caratterizzano le richieste del proprio elettorato, rispettivamente reddito di cittadinanza e flat tax: qualsiasi altro accordo contenente solo una o nessuna delle due avrebbe avuto vita breve.

E’ pur vero, tuttavia, che anche gli accordi monitorati dall’ex Presidente Usa non avrebbero avuto lunga vita in assenza di un beneplacito assenso della comunità mondiale che ne osservava da vicino, per suoi interessi geopolitici o per qualsiasi altra ragione, i contenuti.  Analogamente è difficile pensare che la nuova coalizione che si appresta a governare il Paese possa procedere senza tener conto del contesto internazionale, e più specificatamente europeo, in cui si trova a operare. Non a caso, già lo stesso “programma di coalizione” contiene una prima importantissima concessione a tali aspettative esterne quando non menziona in alcun rigo delle sue fitte 58 pagine la possibilità di un’uscita dalla moneta unica, dall’eurozona. Tale assenza marca un’evoluzione ragguardevole dei programmi delle due forze politiche rispetto alle loro posizioni passate al riguardo, e andrebbe ribadita con forza da tutte le forze parlamentari italiane, sia quelle del (prossimo) Governo che quelle di opposizione, quando coinvolte in qualsiasi sede di confronto internazionale con istituzioni di altri paesi dell’Unione europea e non, affinché le esigenze di stabilità del Sistema Paese non vengano ad essere messe in dubbio da strumentali posizioni di alcuni per mero opportunismo politico interno.

Una tale rinuncia ovviamente apre tuttavia nuovi sfide per la coalizione in pectore. Questa è stata infatti eletta per supplire ai fallimenti di un certo tipo di politica economica tutta basata su annunci di convergenza pluriennale “senza se e senza ma” verso il bilancio in pareggio, che crescita non solo non hanno saputo generare ma, anzi, solo decurtare e tarpare: ad oggi l’Italia è, sola in Europa, inviluppata in una crisi più lunga e più profonda di quella della Grande Depressione degli anni Trenta. Rinunciando alla dubbiosa espansione via uscita dall’euro, non resta dunque che la leva dell’espansione fiscale per venire incontro alle promesse elettorali. La dimensione di questa leva apparentemente poggia su tre assi: quanto ridurre la pressione fiscale, quanto aumentare la spesa pubblica e come finanziare, in (extra) deficit, con tagli di sprechi e/o riduzioni di detrazioni fiscali tali due componenti. Quest’ultima dimensione, quella del finanziamento di minori tasse e maggiori spese, è quella su cui l’Europa sta concentrando la sua attenzione, ed è difficile che il nuovo Governo potrà spuntare uno spazio di deficit maggiore del 3% del PIL. Tenuto conto della resistenza politica che genererebbero i tagli delle detrazioni e la lentezza con cui si potrebbero ottenere i fondamentali tagli degli sprechi (che richiedono una riforma strutturale della qualità delle stazioni appaltanti di cui la coalizione non pare conscia), tutto ciò porterà ad avere a disposizione risorse che permetteranno di ottenere al massimo, oltre ai 17 miliardi del reddito di cittadinanza, una flat tax ben meno aggressiva di quanto non promesso sino ad oggi. La famosa crescita, con cui la Lega e i 5 Stelle contano di consolidarsi, anche riducendo il rapporto debito-PIL, stenterà dunque a crearsi, affidandosi solo ai consumi dei meno abbienti.

Ben più potente sarebbe affidarsi all’unico meccanismo di utilizzo di risorse che garantisce al contempo un incremento certo della domanda alle imprese e loro maggiore competitività: un deciso aumento degli investimenti pubblici, mai menzionato chiaramente nel programma di 58 pagine. Bloccare il deficit al 3% del PIL e riavviare, specie al Meridione ma non solo, gli investimenti in costruzioni, scolastiche, carcerarie, antisismiche e nelle infrastrutture critiche avrebbe permesso al Paese di lanciare veramente all’Europa un segnale di stabilità ed al contempo di garantire la crescita dell’occupazione, specie presso le fasce più deboli della popolazione, richiesta dall’elettorato.

Non resta che attendere il primo passo del Governo, il DEF programmatico, prima di abbandonare ogni speranza.

11 comments

  1. Prof. Piga,
    ritiene fattibile una rinegoziazione in sede europea del tetto del rapporto deficit/pil ad un 4/5% (per tutti i paesi europei ovviamente, non solo per l’Italia), come auspicato da Krugman? Per fattibile non intendo solo la fattibilità politica (saranno d’accordo la Germania ed i suoi satelliti?) ma anche quella economico/finanziaria.

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  2. Ho letto che ha collaborato alla stesura del contratto fra Lega e M5S
    Bene, ce n’è voluto ma alla fine è andato a parlare con loro
    D’altronde ognuno ha i suoi tempi

    Se vuole sapere cosa lei (politicamente) farà in futuro chieda pure

    PS. si ricorda il “Forza Mario, Forza”?
    Aspetto il post con “Forza Matteo, Luigi e Beppe”

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    • In realtà non sono andato, né sono venuti loro. Sono stato contattato dal Prof. Della Cananea (che lui sì è stato chiamato dall’On. Di Maio) che come collega mi ha chiesto di far parte della sua squadra.
      Non credo di dover dire forza a loro perché mi sembra che al contrario di Monti vadano nella direzione da me tracciata 6 anni addietro, rinunciando alle idiozie sull’euro. Tuttavia dirò loro forza matteo, forza luigi, non fate il reddito di cittadinanza che distrugge la dignità umana e non fate la regressiva flat tax che è inutile a stimolare la domanda, ma fate investimenti pubblici. Come sempre, si dimostrerà che avevamo ragione. E’il bello di non fare politica ma di essere liberi docenti. Bellissimo.

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  3. Quindi è andato a collaborare col M5S su chiamata del prof della Cananea
    Non è proprio sportivissimo lei :D

    Poi guardi cosa succede alla sua Europa

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    • Mi deve perdonare ma non capisco il riferimento sportivo.
      E che succede alla mia Europa? Quello che avevamo previsto da 6 anni, meglio di altri. Tutto qui.

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  4. Allora è proprio convinto…

    Per quanto riguarda l’Europa si è dimostrato che per iniziare vagamente a pensare di riuscire a ottenere qualcosa bisogna mettere sul piatto, magari non esplicitamente, l’uscita; e che era indispensabile l’intervento di partiti populisti cioè il contrario di Forza Mario che ovviamente, come lei sa, non è servito a nulla.
    Lei diceva l’esatto contrario ma se vuole le dico che ha avuto ragione.

    L’euro così non funziona, i tedeschi non ci pensano minimamente a cambiare i trattati quindi credo che il suo sogno (o “fogno” come dice il suo collega) si rivelerà un errore per il quale alcuni hanno pagato e altri molto più comodamente no.

    La flat tax e il reddito di cittadinanza sono sbagliati ed è vero che occorrono piuttosto gli investimenti ma quello se permette lo sanno tutti, il problema era come fare accettare l’idea ai politici e all’opinione pubblica spaventati dalla disinformazione sul debito pubblico.
    Inoltre una eventuale nuova politica espansiva riporterà il lavoro a ritrovare la sua coesione per rivendicare una diversa distribuzione e una maggiore partecipazione al processo decisionale politico (e aziendale).
    Ossia la stessa situazione degli anni 70 che hanno spinto la media borghesia preoccupata dall’avanzare delle classi subalterne a votare per i neoliberisti, solo che oggi quella scappatoia autolesionista non è più disponibile.

    Lei mette tutto sul piano economico e secondo me lo fa perchè non riesce nemmeno a concepire l’idea che l’economia sia solamente il terreno su cui si svolge un conflitto (o competizione) fra gruppi sociali (non classi che è riduttivo).
    La crisi è il travaglio del passaggio a un nuovo paradigma collettivista e l’avanzata dei populisti di classe media è, come diceva quel signore, solo l’interregnum fra una fase e l’altra.

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    • Ma è lei che non capisce che l’economia non è secondaria! Guardi qua: “era indispensabile l’intervento di partiti populisti cioè il contrario di Forza Mario che ovviamente, come lei sa, non è servito a nulla”. Indispensabili? Ma i partiti populisti sono solo i figli di questa situazione economica :-) , di cui abbiamo sempre previsto la nascita in caso di assenza di politica fiscale espansiva! Se i partiti che abbiamo sollecitato (come solleciteremo questi se pronti a fare politiche disastrose) avessero… Ma non hanno. Anche questi partiti populisti verranno spazzati via se non … L’economia ha generato il conflitto, non viceversa o chissà cos’altro che non ho capito dice lei.
      “Lo sanno tutti degli investimenti” :-) come no, adesso lo sanno tutti, come è comodo, meno male che esistono i blog, chissà dove era lei durante la battaglia referendaria e quando dicevano che il moltiplicatore della spesa pubblica non teneva conto della propensione marginale a importare ( :-) ) e dunque bisognava uscire dall’euro :-) .
      Se lei pensa che il lavoro degli anni 70 è uguale a quello di 50 anni dopo, mi dispiace dirle che paragona mele e pere. Globalizzazione, fine dei sindacati, automazione, rendono le sfide diverse, imparagonabili e le risposte date allora non attuabili oggi. Ma su questo sì sarebbe interessante confrontarsi perché di questo effettivamente abbiamo parlato troppo poco in questi anni (anche se in Revisiting Keynes lo avevamo previsto e discusso approfonditamente, basti vedere il saggio di Solow, di Fitoussi e la nostra introduzione).

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  5. Secondario è una parola che non ho usato.
    Casomai sovrastrutturale – al contrario di quello che pensano i comunisti – il che non esclude effetti di feedback.

    Lei in generale ha un approccio “gestionale”, di governance, ossia non prende in considerazione l’idea che il sistema abbia una sua genesi (in parole povere: che possa essere cambiato).
    Va solo “aggiustato”.
    Infatti dice: “I partiti che abbiamo sollecitato avrebbero dovuto…ma non hanno…”
    Però, come mai “non hanno”?
    Non se lo chiede.
    Eppure tutti sanno che le politiche restrittive fomentano il populismo, come tutti – anche Mario Monti – sanno che servono gli investimenti pubblici per crescere.
    Quindi è evidente che “non hanno” perché semplicemente “non potevano” dato che il loro scopo è politico ossia la limitazione della rappresentatività democratica.
    E’ una libera scelta questa della limitazione della democrazia?
    Solo in parte, in realtà è quasi del tutto obbligata: se si ragiona in termini di potere centralizzato e unico (non collettivo) si finisce per cercare di rendere irreversibile la posizione di egemonia acquisita dal proprio gruppo quindi è indispensabile legare le mani alle classi subalterne, prima al lavoro e poi alla classe media.

    Allora lei scrive:

    “Ma i partiti populisti sono solo i figli di questa situazione economica :-)

    e non vede che l’ascesa dei populisti – che (attenzione) pur essendo media borghesia di destra riprendono buona parte delle analisi comuniste/collettiviste (intervento dello stato mentre prima erano per le privatizzazioni; immigrati visti come il marxiano esercito industriale di riserva) – non è, come nella sua visione, un semplice noise gestionale ma è il sintomo dell’incipienza di un cambio di paradigma da una forma di potere centralizzato e verticistico a una collettivistica e diffusa.

    Non è l’economia ad aver generato il conflitto, è quel sistema dei rapporti politico sociali che noi consideriamo come un dato di natura oggettivo e immutabile a porre il conflitto come fondamento della propria riproduzione.
    La crisi economica è il manifestarsi della fase cronica del conflitto quando non esistono più soluzioni possibili che possano – qui è il punto – riportare a uno status nel quale siano ancora credibili le promesse fondative del consenso/sottomissione: miglioramento per tutti, democrazia, mobilità sociale, il mitologico “progresso”.
    Il conflitto cioè viene accettato sulla promessa che porterà esso stesso alla sua pacificazione mentre si inasprisce sempre di più fino a essere costretto a falsificare la sua promessa.

    Noi siamo a questo punto, di conseguenza il dissenso non è più ricomponibile all’interno di “questo” sistema.

    Qui inizierebbe la questione “linguistica” a cui non solo ho già accennato io ma anche – vorrei ricordare – Beppe Grillo, il che dovrebbe spingere a rifletterci sopra un po’ meglio.

    Per quanto riguarda il suo referendum l’ho firmato ma era evidente, e gliel’ho scritto, che per come lo avete portato avanti avreste fallito.

    In conclusione: lei non poteva in alcun modo convincere i “suoi” partiti a seguire le sue proposte perché quelle portano inevitabilmente a una perdita o quantomeno condivisione della egemonia di cui invece loro (o meglio le élite che li manovrano) vogliono (devono) conquistare il monopolio definitivo.
    Quindi gli unici potevano essere i populisti medio borghesi messi in pericolo da questa progressiva concentrazione del potere e dei capitali messa in atto dalle oligarchie.

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    • Come non mi chiedo perché non hanno. Lei deve leggere 6 anni di blog, non possiamo perdere tempo con queste accuse lei non…irrilevanti, sembra che voglia avere ragione.
      Non hanno perché: a) non volevano b) sono una massa di idioti. E il b) è evidente dal fatto che in altri sistemi capitalistici le politiche da me propugnate sono state fatte ed hanno messo in salvataggio occupazione e lobby al potere, i.e. Usa. Non è vero che “tutti sanno”, legga Musil, l’Uomo senza qualità, e troverà la stupidità. Durante le due guerre simili idiozie hanno portato al nazismo. Lo sapevano, ma la stupidità si ripete. Come minimo ti aspetteresti che preservino i loro interessi meglio.
      L’obiettivo non è limitare la democrazia, è arricchirsi, preservando il potere, la democrazia non è disfunzionale a ciò. Se pensano che lo sia, sono idioti che non capiscono che la democrazia è la loro sola salvezza. E lei dovrebbe capire che la democrazia non ha relazione evidente con nulla di quel suo mondo ideale che pensa sia a portata di rivoluzione.
      Se lei avesse ragione sull’economia, si dovrebbe chiedere perché nell’area dell’euro tanti paesi non hanno rivoluzioni all’italiana malgrado hanno un modello di classe identico (rapporti sociali economici).
      Grazie di averlo firmato, ne sono onorato.

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