Gran parte della nostra mancata crescita dipende dalla scomparsa, da oltre un decennio, di aumenti di produttività… Il secondo motivo è la dimensione delle nostre imprese, che sono troppo piccole. La produttività è tanto più bassa quanto più piccole sono le imprese. Perché imprese troppo piccole non hanno risorse sufficienti per investire in ricerca e sviluppo o anche solo nelle costruzioni di siti internet che consentano di gestire operazioni interne all’azienda o di dialogare con fornitori e clienti. In Francia e Germania le imprese grandi (con più di 250 addetti) sono intorno al 40 per cento del totale. In Italia sono la metà, mentre le micro imprese, quelle con meno di 10 addetti, sono il 45 per cento in Italia, a fronte del 15 per cento in Germania. Le ragioni hanno radici lontane e soluzioni non ovvie, ma anziché illuderci che per riprendere a crescere basti qualche intervento sulla domanda, vogliamo mettere questo tema in cima all’agenda di politica economica?
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
C’è molto da recuperare, perchè la realtà, purtroppo, è quella indicata dal Professor Gustavo Piga, ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata: in Europa le Pmi generano il 58% della ricchezza nazionale, ma vincono soltanto il 29% delle gare d’appalto, con un indice di discriminazione del 29% nelle gare d’appalto europee. in Italia, il Paese delle Pmi, questa discriminazione è massima, e raggiunge il 47%. Per colmare questo gap – sostiene Merletti – occorre vigilare sull’attuazione del Codice con un meccanismo che garantisca alle piccole imprese l’effettiva partecipazione alle gare. Nulla di strano o eccezionale, visto che negli Stati Uniti è una prassi consolidata e che l’Europa non lo vieta. E soprattutto mi auguro che il Governo dia un segnale chiaro di attenzione alle piccole imprese, presentando finalmente alle Camere il disegno di legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, previsto dallo Statuto delle imprese. Altrimenti saremmo autorizzati a pensare che il premier Renzi condivide il giudizio espresso oggi sul ‘Corriere della Sera’ da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina che hanno così scarsa stima e conoscenza delle piccole imprese italiane da sbagliare addirittura il loro peso percentuale sul totale delle aziende italiane, riducendolo dal 95%, certificato dall’Istat, ad un improbabile 45%.
Comunicato stampa Confartigianato.
http://www.confartigianato.it/2016/04/p42868/
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Perché le imprese italiane sono piccole e come fare per farle crescere? Da Alesina e Giavazzi non è dato ricevere risposte.
Da Confartigianato invece arriva la risposta chiarissima: mancanza di attenzione.
Immaginate di avere un figlio, appena nato, e di non proteggerlo nei primi 10 anni della sua vita. Di fargli attraversare la strada da solo. Di non mandarlo a scuola per imparare. Di chiedergli di correre gare di 100 metri assieme a maggiorenni ben più veloci di lui. Di fargli pagare una tassa sull’acquisto della sua bici per ottenere risorse per contrastare l’inquinamento causato dalle auto che lui non guida. Che futuro pensate avrà vostro figlio, riuscirà a sopravvivere? Improbabile.
Da Renzi ci si aspetta che emani un disegno di legge per le PMI da 2 anni. E’ obbligatorio farlo, se non lo farà entro il 30 giugno sarà il terzo anno consecutivo che violerà un suo specifico compito, battendo addirittura Monti e Letta quanto a ripetizione dell’infrazione. Renzi manca di soluzioni come Alesina e Giavazzi? Si sforzi, si guardi intorno.
Protegga le piccole per farle crescere. Gli consenta gare di appalto riservate come negli Stati Uniti, sul sotto soglia, per le PMI europee, l’Europa non fiaterà. Metta un rappresentante delle piccole in ogni stazione centrale d’acquisto per verificare che i capitolati grandi non discriminino contro le piccole. Permetta che ogni amministrazione pubblica statale, regionale, comunale che ha il potere di emettere norme, regolazioni, determine o circolari, sia autorizzata a farlo solo dopo che abbia dimostrato che questa non pesi di più sulle piccole che sulle grandi, minandone la competitività e produttività. Anche perché probabilmente quelle regole sono state messe per danni che generano le grandi, non le piccole. Gli Stati Uniti lo hanno fatto con il Regulatory Flexibility Act, noi perché no?
E’ facile essere amici dei grandi. Ma un leader si riconosce dalla sua capacità di stare vicini ai più deboli, si ricordi Presidente.
26/04/2016 @ 10:22
Buongiorno
La gentil metafora del “bambino” da far crescere con attenzione sarebbe più adatta al mondo delle startup…
Per le nostre micro imprese si tratta in verità di “nani” che a causa della loro taglia industriale (funzione simmetrica della loro striminzita tesoreria) soffrono e soffriranno pene d’inferno nel contesto globalizzato…più che un decreto governativo, sarebbe auspicabile un po’ di sano colbertismo che spinga ad aggregazioni settoriali sul modello francese o tedesco…
26/04/2016 @ 11:48
Allora. E’ un punto molto importante, e tenuto da conto dagli Usa che proteggono per soli 9 anni e dalla Corea che riserva per PMI innovative. Ci sarebbe tanto da scegliere. Ci sono settori dove start-up rilevano poco ma in cui la domanda pubblica può aiutare a divenire più competitivi. Sulle aggregazioni sono scettico, penso sempre che qualsiasi bambino prima si fa da solo poi si allea (sposandosi o altro). Un punto rimane su cui riconcordo: il colbertismo in questo caso è prezioso, direi vitale. Ma totalmente assente.
26/04/2016 @ 19:51
Preferirei separare i “bambini” (startup) dai “nani” (pmi con meno di 250addetti) poiché molte di queste aziende hanno più di cinquant’anni e sono ostinatamente “nubili”.
Lei ne conoscerà centinaia in tutti i settori (tessile, calzature, alimentare, indotto auto, meccanico, metalli, legno,trasporti ecc).
I punti comuni sono : estrema dipendenza dalla domanda di settore, dipendenza dal credito bancario, continui problemi di tesoreria quindi scarsa capacità di innovazione e nessuna possibilità di accedere ai mercati finanziari.
Non è sbloccando per decreto l’accesso alle gare d’appalto che si risolverà il problema. Bisogna politicamente innescare un circuito virtuoso fra banche (più grandi e più solide) erogatrici di credito e servizi finanziari specializzati ed imprese che settorialmente beneficino di incentivi fiscali ed altri vantaggi vincolati alle aggregazioni.
Bisognerebbe infine convincersi che “piccolo è bello” è una bufala che profitta soltanto ai gruppi esteri che fanno shopping di competenze italiane…