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La trasparenza che fa male alle PMI

Ci sono un numero non piccolo di obiezioni da portare al disegno di legge delega sul recepimento della nuova Direttiva sugli appalti or ora approvato alla Camera, e magari ne parleremo in un altro post.

Ora è tempo di congratularsi col lavoro della Commissione, e dell’On. Raffaella Mariani in particolare, per avere mandato in soffitta l’anacronistica richiesta, proposta dal Senato, di “prevedere in ogni caso la pubblicazione degli … avvisi e bandi in non più di due quotidiani nazionali e in non più di due quotidiani locali, con spese a carico del vincitore della gara“.

In Portogallo ogni gara, in qualsiasi momento della sua fase, è gestita informaticamente, senza alcun passaggio cartaceo. Semplice anticipo temporale della Direttiva europea che ci chiede di adeguarci e essere come loro nel giro di pochi anni. E non sembra che vi sia meno trasparenza delle gare, anzi.

Ma in Italia non riusciamo nemmeno a far passare la fase più semplice, quella della pubblicazione del bando. Eh già, perché la decisione della Commissione alla Camera è stata così accolta dal Presidente della Commissione Ambiente Realacci: “presenterò un emendamento alla Camera già lunedì, perché credo che i bandi degli appalti debbano essere descritti e pubblicati sui giornali. È una bella misura di trasparenza che va reintrodotta (con) una norma che garantisca la piena legalità delle gare. Preciso che non costerà un solo euro alle tasche dei contribuenti perché le spese ricadranno, come già in passato, quando la cosa è stata applicata efficacemente, sulle società vincitrici dell’appalto“.

Ma va. Un costo che non passa sui contribuenti? E secondo Realacci cosa faranno le imprese tartassate una volta che verrà reintrodotto questo costo addizionale? Non lo scaricheranno per caso sul prezzo in gara d’appalto così che alla fine lo pagherà proprio il contribuente? E non ha pensato Realacci che la sua misura è l’ennesimo costo fisso che pesa più sulle piccole imprese che sulle grandi?

Non è solo questione di sussidiare coi soldi dei contribuenti l’industria dell’editoria, misura politica su cui il Parlamento può certo ragionare ma senza gettare nebbia sulle ragioni vere della proposta, è dunque anche questione di scoraggiare partecipazione e crescita delle imprese.

Personalmente spero che Realacci perda la sua battaglia e che cerchi, se lo ritiene utile, di aiutare l’editoria con misure meno distorsive.

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