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Benvenuti all’Isola delle Sirene (Famose)

Gli economisti, o alcuni di loro, non imparano mai dal passato. Le economie, loro invece, le ripetizioni del passato le rivivono spesso in maniera identica, riaprendo cicatrici profonde che finiscono per non rimarginarsi mai. Impareremo mai dal passato per evitare il ripetersi di errori marchiani e dall’impatto devastante?

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Ricorderete tutti la storia di questo lustro appena trascorso. Mentre gli Stati Uniti, che la crisi finanziaria avevano avviato trasmettendola a tutto il mondo come un virus, nel 2011 avviavano la loro ripresa grazie ad un mix (non sempre sapiente) di politiche monetarie e fiscali espansive, noi europei affondavamo, proprio in quell’anno, dando vita ad una seconda recessione che ha distrutto posti di lavoro, aumentato le ineguaglianze, messo a rischio la costruzione europea.

La ragione la conoscete: proprio quando gli imprenditori del Vecchio Continente cominciavano a rialzare il capo timidamente immaginando di riprendere gli investimenti i leader politici dell’euro decidevano di inventarsi la macchina infernale del pilota automatico chiamato Fiscal Compact, che richiedeva aumenti di tasse e riduzioni a casaccio di spese per cercare (inutilmente, ovviamente) di ridurre il debito pubblico sul PIL. Senza paracadute, senza la sicurezza che la ripresa sarebbe stata sostenuta dalla presenza della manona pubblica, come invece è percolato nelle aspettative statunitensi, decisero di ritirarsi come un gregge, smettendo di investire  e generando appunto la seconda recessione consecutiva del decennio. Vedere i dati per credere.

Oggi ci troviamo in una situazione identica, o quasi, a quella di allora. Grazie ad una politica monetaria finalmente più sapiente siamo forse riusciti ad evitare la quarta recessione consecutiva (notate che l’Italia crescerà nel 2015 dello 0,6%, quanto Padoan prevedeva a novembre nella legge di stabilità prima del QE di Draghi: senza quest’ultimo saremmo dunque stati in realtà a parlare oggi di valori nuovamente negativi della crescita). Ma l’economia è fragilissima e gli imprenditori sono ancora scossi dal trauma di due stop consecutivi: non dobbiamo ripetere l’errore del passato. Dobbiamo fermare la macchina dell’austerità ora, esattamente con la stessa determinazione con cui si muove la Grecia, con la stessa semi-grandeur francese, con la stessa furbizia spagnola.

Padoan è in questi momenti alle prese con il vero ed unico documento rilevante ai fini della politica economica (non è certo la Legge di Stabilità, che arriva quando i giochi sono fatti): il Documento di Economia e Finanza, da presentare ad aprile. E parrebbe dai giornali che stia già pensando a dove trovare le risorse per far quadrare gli inquadrabili conti italo-europei, le astruse ed ottuse richieste dell’Europa masochista e sadica che stanno mettendo in ginocchio un intero progetto di sviluppo in comune.

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Lo intuiscono i nostri amici Alesina e Giavazzi che si lanciano immediatamente ad avvertire Renzi (su cui pare abbiano un qualche ascendente) dalle pagine del Corriere della Sera su cosa scrivere all’interno del DEF.

http://www.corriere.it/cultura/15_marzo_22/fate-prima-legge-stabilita-96379086-d064-11e4-a378-5a688298cb88.shtml

Se Renzi dovesse cedere ai canti di queste due sirene il naviglio Italia si sfrangerà drammaticamente sugli scogli, interrompendo definitivamente il viaggio ambizioso verso l’ignoto dell’Europa dell’euro.

Le 2 sirene partono dall’evidenza che la spesa pubblica è pressoché stabile nel suo complesso per dichiarare il fallimento della stagione dei tagli mai partiti e rilanciare, chiedendo finalmente che questi avvengano.

Follia. Le 2 sirene sanno bene che se il totale della spesa è rimasto pressoché costante è perché, a fronte di un continuo ed inesorabile aumento dei trasferimenti dovuti alle pensioni (valore che non incide contabilmente sul PIL, è solo redistribuzione tra cittadini), la costanza della spesa totale si è avuta con un calo drastico (nominale ed ancora più drammatico reale) di tutta la spesa corrente e capitale del Paese. Dal 2012 al 2015, recita la Nota di Aggiornamento del DEF, la spesa totale per stipendi, consumi intermedi e spese in conto capitale scende (in valore monetario!) di 4 miliardi (in un periodo di inflazione!) mentre sale di 20 miliardi quella per pensioni.

Bene direte voi? Assolutamente no. Essendo tali tagli di spesa avvenuti a casaccio, linearmente, senza trovare quella parte di loro che veri sprechi erano (dovuti a corruzione, collusione o incompetenza), il PIL e l’occupazione sono crollati: in ogni documento della BCE e della Banca d’Italia (non proprio dei templari dell’anti austerità) si legge che la domanda interna è rimasta debole a causa della riduzione della domanda pubblica (che è, ripetiamolo, la spesa non per pensioni: stipendi, acquisti di beni e servizi e lavori pubblici, che soli rappresentano domanda vera per le imprese, oltre all’export al di fuori dell’area euro grazie alla svalutazione).

Le nostre sirene continuano ad affermare che bisogna ridurre “subito” la spesa per evitare l’aumento della tassazione, tramite l’Iva. Nel dire questo non mettono in dubbio la bontà di tale schema proveniente dall’ottusa Europa. Invece di dire “no all’aumento delle tasse, no al taglio a casaccio della spesa” cantano al prode timoniere le virtù di meno tasse e tagli a casaccio (“subito”) pur di soddisfare le richieste del Fiscal Compact. Solo pochi mesi fa si erano temporaneamente alleati al coro del “fermiamo la riduzione del deficit”, ma ora probabilmente pensano – erroneamente – che basterà Draghi a togliere le castagne dal fuoco.

E perseverano.

La ricetta è chiara: tagliare le spese, innanzitutto per evitare un aumento dell’Iva e poi per poter ridurre stabilmente le aliquote fiscali. Ma i tempi sono cruciali. È in atto una timida ripresa dell’attività economica, per ora sostenuta soprattutto dalla domanda di esportazioni grazie alla svalutazione dell’euro. Il momento per agire è oggi….  E il solo modo per farlo credibilmente è tagliando la spesa.”

Peccato che la ricetta ha fallito ovunque ed è la causa dei nostri mali: il taglio a casaccio della spesa è quello che mostra i moltiplicatori recessivi più ampi per l’economia italiana, e le nostre 2 sirene lo sanno bene.

Lo sanno tanto bene che poi accennano a quale sia la vera soluzione: “ridurre gli sprechi ed evitare la corruzione negli appalti pubblici è importante ma non basta se l’obiettivo è una riduzione della pressione fiscale di cui famiglie e imprese si accorgano”. Già, ridurre gli sprechi (cosa che richiede tempo e professionalità e che il Governo Renzi continua a rinviare) non basta e non si può fare perché ci si mette troppo tempo, bisogna fare tagli a casaccio.

E così abbiamo finalmente teorizzato il nuovo modello A&G. Benvenuti all’isola delle sirene: non bastava quella dei famosi.

5 comments

  1. Rolando Bagnoli

    23/03/2015 @ 10:55

    Certo quando uno prende una boccata di ossigeno, occorre intervenire subito per non farlo respirare, altrimenti c’è il rischio che sopravviva.

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  2. Fabio Fraternali

    23/03/2015 @ 19:19

    Chiar. mo Professore,

    Ho ascoltato con vivo interesse, via youtube, un Suo intervento alla Camera. Ho trovato estremamente interessante la proposta della creazione della carriera del buyer pubblico indipendente. Per agire con professionalità sistematica sulla spesa e non con il bisturi dell’emergenza. E sarebbe un possibile contrasto alla corruzione.

    Ci sono passi avanti in tal senso? Grazie

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  3. Fabio Fraternali

    24/03/2015 @ 08:31

    Chiar.mo Professore,

    ho seguito con vivo interesse un Suo recente intervento (14/07/2014) presso la Camera dei Deputati sul tema degli appalti pubblici. Mi ha colpito molto la Sua proposta di istituire la carriera del buyer pubblico indipendente per agire sistematicamente sui processi di approvvigionamento e sulla spesa con professionalità adeguate e non con l’irrazionalità dell’emergenza.
    Vorrei chiederLe se ci sono sviluppi in tal senso. Grazie

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  4. A&G non sono folli, perseguono un progetto politico ben preciso di deflazione che si può tranquillamente desumere dalla pletora di documenti che lo descrivono. Il progetto di integrazione europea stesso è folle, così come concepito, e l’euro stesso, quantunque avesse funzionato senza far indebitare follemente alcuni paesi e accreditare altrettanto follemente altri, avrebbe costretto tutta l’europa ad inseguire il paese più deflazionistico sulla china della crisi di domanda. Non ci sono alternative allo scioglimento dell’UM e dell’UE. Lasciamo in piedi gli accordi commerciali, costruiamo una identità comune sui valori di solidarietà e fratellanza che sono la cifra del nostro continente, ripartiamo da un patto costituzionale che li includa, e da lì diamo origine aagli stati uniti d’Europa.

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