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Mind the E: Renzi cambi bene il MinistEro

L’occasione fornita dalle dimissioni del Ministro Lupi è ghiotta come non mai. Nei prossimi giorni Renzi avrà infatti il modo di effettuare una mossa decisiva per il futuro benessere del Paese. No, non avete capito, non è quella di cambiare il Ministro delle Infrastrutture. E’ cambiare, radicalmente, il MinistEro.

E farne, cambiandone nome e connotati, finalmente, quello che tutto il mondo è impegnato a fare per rilanciare la competitività del proprio sistema Paese: un vero, solido, significativo Ministero della Qualità della Spesa. Lasciando il controllo della Quantità della spesa (e vincolando i due Ministeri ad attuare un attento coordinamento tra di loro) al Ministero dell’Economia e Finanze di Via XX Settembre.

Al Ministero della Qualità della Spesa spetterà l’arduo compito di … ?

Beh è semplice: di gestire tutto quello che riguarda quella incredibilmente importante galassia, finora ignorata, degli appalti di beni, servizi e lavori che occupa addirittura il 16% del valore aggiunto che viene creato ogni anno in Italia, fattore di spreco o rilancio a seconda di come viene gestito. Sconvolgente che un Paese come il nostro non abbia mai pensato a gestirlo, vero?

I suoi compiti? Sfidanti ma essenziali.

Primo, urgentissimo. Far recepire immediatamente la nuova Direttiva europea sugli appalti come ha già fatto da qualche settimana fa il Regno Unito, senza alcun fronzolo ulteriore, frutto di sudditanza e dibattiti infiniti con le varie lobby: fare un rapido copia ed incolla del testo europeo, evitando di metterci tre anni e passa come nel caso del recepimento della precedente direttiva. Una scelta di questo tipo avrebbe non solo il pregio della trasparenza ma anche della susseguente stabilità del quadro normativo, essenziale per gli operatori: sarebbe infatti impossibile a quel punto apportare nei prossimi anni modifiche (finora infinite se guardiamo ai precedenti testi legislativi) vista l’autorità della fonte normativa, quella europea.

Secondo, accelerare, ultimare ed avviare il tavolo degli aggregatori delle commesse di beni e servizi, coordinandone le riunioni e fissando le direttive per l’approccio che queste (Consip, le Consip regionali e metropolitane) dovranno seguire quando appaltano. Cosa comprare (quanto “verde”  e quanta “innovazione” immettere negli acquisti pubblici non può certamente essere demandato alle Consip, mere stazioni appaltanti), da chi comprare (imprese con disoccupati? Imprese con portatori di handicap?) per dar seguito alle raccomandazioni europee, dove investire i risparmi derivanti dalla spending review (quali infrastrutture, quali manutenzioni, quali acquisti strategici).

Terzo, avviare immediatamente e gestire un database di tutti i contratti pubblici, centralizzando su una sola piattaforma (non le gare, cosa che ucciderebbe le piccole imprese) la fornitura obbligatoria da parte delle stazioni appaltanti di ogni dato rilevante per stabilire la tipologia di gara, permettendone il confronto con gare analoghe, ed il suo esito finale. A valle di ciò coordinarsi con Autorità Anticorruzione, Direzione Antimafia e Autorità Antitrust per i controlli a campione sulla base dei dati ricevuti ,facendo uso della Guardia di Finanza e di altre unità specializzate delle Forze Armate.

Quarto, monitorare come fa negli Stati Uniti d’America la Small Business Administration, la stesura dei capitolati delle più importanti stazioni appaltanti per verificare che tali gare non siano discriminatorie rispetto alle capacità delle piccole imprese. In ognuna di queste stazioni appaltanti (compresa ovviamente Consip) verranno “stazionati” rappresentanti esperti delle Confederazioni delle PMI che riportano direttamente al nuovo Ministero le proprie considerazioni in caso di mancato accordo sulle modifiche richieste.

Quinto, la creazione di un Fondo speciale del 10% dei risparmi generati dalla spending review, 2 miliardi l’anno circa, dedicati all’assunzione di 20.000 funzionari di carriera esperti di appalti, certificati, ammessi con concorso pubblico basato sulle loro competenze nel campo degli acquisti pubblici. A tali professionisti selezionati, dipendenti del nuovo Ministero, verrà permesso di svolgere una carriera professionalizzante come quella dei diplomatici e dei magistrati in cui la progressione di carriera sarà determinata dal raggiungimento di competenze e risultati all’interno delle stazioni appaltanti locali dove saranno destinati.

Se Renzi riuscirà ad annunciare questa rivoluzione organizzativa avrà la nostra completa ammirazione perché sarà riuscito finalmente a centrare la madre di tutte le riforme, ridando qualità alla nostra spesa pubblica e dunque competitività al nostro sistema economico, oltre che fiducia nella macchina amministrativa.

Tutto il resto è vecchia politica da rottamare.

2 comments

  1. Sono convinto che “Renzi riuscirà ad annunciare questa rivoluzione organizzativa” e anche che, di conseguenza, “avrà la nostra [vostra] completa ammirazione”.
    E sono anche convinto che poi farà tutt’altro, come sua abitudine.
    Ma davvero ancora qualcuno si aspetta qualcosa di decente (stavo per dire “buono” ma mi sembrava esagerato) da questo soggetto?
    Anche l’ingenuità ha un limite: poi cambia nome.

    Reply
  2. Concordo con ilbuonPeppe, da questo figuro che ci governa non c’è da aspettarsi alcunché. Ecco cosa ha combinato con l’unica “rifoma” (demagogica, per accontentare la rabbia popolare contro la politica individuando un capro espiatorio, che pesa solo per l’1,7% sulla spesa complessiva) che ha finora messo in opera ma con risultati disastrosi. Tagli indiscriminati alla spesa (dunque un ragionamento solo quantitativo e nient’affatto qualitativo) con conseguente tagli ai servizi per i cittadini e rischio occupazionale per migliaia di lavoratori, che quella professionalità richesta dal prof. Piga nel suo articolo hanno acquisito sul campo, senza che nessuno li aggiornasse con una programmazione professionalizzante ad hoc, e che ora si vedono trattati come merce avariata e da buttare. Naturalmente la conclusione dell’articolo, che posto qui sotto, è faziosa. L’editore de L’Espresso è il De Benedetti, un capitalista che certo non ha a cuore i problemi dei cittadini, dei lavoratori e meno che mai di quelli pubblici. L’autore del pezzo, infatti, non evidenzia che si tratta di una guerra tra poveri – cittadini senza servizi da un lato e dipendenti provinciali con figli e famiglie a carico dall’altro – e non del presunto “privilegio” di conservare lo stipendio ai dipendenti a danno dei cittadini. Guerra tra poveri innescata dall’austerity eurogermanica anti-welfare. Nessun privilegio per i dipendenti provinciali ai quali sono rimasti ormai pochi mesi di stipendio ancora sicuro: da giugno, ossia da quando il governo, dopo aver ridotto i trasferimenti statali, inizierà, per ripianare i suoi conti e presentarli “in ordine” a Bruxelles, a prelevare le entrate fiscali proprie delle Province – una vera incostituzionale rapina alle comunità locali alla faccia del “federalismo”, anziché tagliare, se proprio si deve, nei ministeri romani -, i bilanci provinciali non potranno essere chiusi, almeno a partire dal 2016, con conseguente dissesto di tutte le Province italiane non per mala amministrazione ma per volontà di un governo arrogante e “servo sciocco” della finanza transnazionale. Dopo aver letto, mi dica, professore, se è possibile riporre fiducia in Matteo Renzi, l’uomo delle slide e del nulla!

    DA L’ESPRESSO

    Enti locali

    Province, la riforma entra nel caos

    Slitta a data da destinarsi la presentazione degli elenchi del personale da trasferire alle altre amministrazioni: operazione che il cronoprogramma voluto dal governo aveva fissato al 31 marzo

    di Fabrizio Gatti

    23 marzo 2015

    La riforma delle Province entra ufficialmente nel caos. Slitta infatti a data da destinarsi la presentazione degli elenchi del personale da trasferire alle altre amministrazioni: operazione che il cronoprogramma voluto dal governo aveva fissato al 31 marzo. Nessuno degli enti, come ha anticipato il «Messaggero» , è in grado di rispettare l’obbligo previsto dalla legge. Un ritardo che non è soltanto responsabilità delle Province. Le Regioni hanno a loro volta ignorato le scadenze imposte per la riorganizzazione delle funzioni provinciali attraverso l’approvazione di leggi mirate. E senza riorganizzazione delle funzioni, non è possibile definire l’organico e di conseguenza gli eventuali esuberi e i trasferimenti.

    Tra i ventimila posti su circa 54 mila che il governo vuole tagliare, gli elenchi dovrebbero definire il destino di tutti i dipendenti che non hanno i requisiti per andare in pensione entro il 31 dicembre 2016 e che non lavorano nei centri per l’impiego, uffici che dovrebbero invece confluire nella futura Agenzia nazionale per l’occupazione.

    Soltanto la Toscana ha finora rispettato i tempi. Ma nulla è stato anticipato dalle altre Regioni, a pochi giorni dalla scadenza del 31 marzo. Molto più probabile che i provvedimenti previsti dalla riforma del sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio, siano rinviati a settembre. Soprattutto nelle regioni come Veneto, Liguria, Marche, Umbria, Campania e Puglia dove a maggio si vota per il rinnovo dei consigli.

    A differenza della riorganizzazione del personale, i tagli alla spesa provinciale imposti dal governo sono al contrario effettivi. Con pesanti conseguenze sui servizi ai cittadini che le Province hanno finora garantito. Uno dopo l’altro gli enti si ritrovano sull’orlo del dissesto. Mentre i conseguenti ritardi nei pagamenti dei fornitori stanno mettendo in difficoltà numerose imprese private. Le situazioni più gravi a Biella. E a Vibo Valentia, dove le conseguenze del dissesto hanno travolto anche i dipendenti provinciali: non ricevono gli stipendi da cinque mesi, ma nessun rappresentante del governo né della Regione sembra interessato alla loro protesta.

    Pesanti effetti anche in Sicilia dove la riforma delle Province e il loro commissariamento ha provocato l’immediato taglio dei servizi ai disabili: «L’assistenza scolastica per i casi molto gravi è passata da un rapporto di un operatore ogni studente a un operatore ogni 4 ragazzi disabili», racconta Angela Rendo, referente in Sicilia del Coordinamento nazionale famiglie disabili gravi: «Questo non solo ha causato licenziamenti di massa per chi lavorava in questo settore, ma anche servizi peggiori. Gli operatori, ad esempio, non possono contemporaneamente dare da mangiare a tutti i ragazzi gravi. E in classe i nostri figli non sono più assistiti adeguatamente. Per non parlare dei servizi di trasporto scolastico, mentre i palazzoni provinciali con i loro costi di gestione sono ancora tutti lì».

    Il risultato, come aveva denunciato l’inchiesta de l’Espresso «Gattopardi di Provincia» , è paradossale: di fronte alla mancata riorganizzazione delle funzioni e dell’organico, e al taglio netto delle risorse statali (più del 50 per cento in tre anni), le Province riformate da Graziano Delrio sono costrette a sopprimere servizi ai cittadini, mentre il costo per gli stipendi a dirigenti e dipendenti resta invariato. Insomma, è il caos.

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