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Perché la nostra classe politica non aiuta i giovani (e le PMI)

Man mano che si riduce il costo del debito pubblico e si eliminano spese inutili, possiamo creare nuovi spazi per investimenti nell’istruzione. La priorità dei prossimi cinque anni è fare un piano di investimenti in capitale umano. In materia di ricerca, occorre proseguire e affinare il progetto avviato dall’ANVUR per il censimento e la valutazione sistematica dei prodotti di ricerca. Bisogna inoltre rilevare per ogni facoltà in modo sistematico la coerenza degli esiti occupazionali a sei mesi e tre anni dal conseguimento della laurea, rendendo pubblici i risultati. E’ prioritario accrescere gli investimenti nella ricerca e  nell’innovazione, incentivando in particolare gli investimenti del settore privato, anche mediante agevolazioni fiscali e rafforzando il dialogo tra imprese e università. Bisogna rendere le università e i centri di ricerca italiani più capaci di competere con successo per i fondi di ricerca europei, sulla scorta del lavoro avviato nei mesi passati.

Agenda Monti

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Queste sono le 12 righe nel documento dell’Agenda Monti riservati all’università. Sì, che siano 12 righe mi sconvolge. Ma non è solo quello: è l’assenza di un senso di emergenza ed urgenza (man mano …), è il riferimento all’Anvur che nessun cittadino capisce, è il riferimento alle “facoltà” che, tecnicamente, non esistono più per legge, è la banalità degli ultimi due passaggi.

E’ soprattutto il chiedersi perché manca questo senso di emergenza, una voglia di costruire una università che raddoppi il numero di laureati, elimini i fuori corso, sappia attrarre i giovani ricercatori di valore che oggi non tornano, permetta un salto di eccellenza nella ricerca presso alcuni atenei di eccellenza che andranno creati con fior fior di finanziamenti, sostenga il miglioramento continuo nella didattica, senza assenze, senza baroni che delegano lezioni ai loro sottoposti.

Certo le 12 righe cresceranno man mano col tempo, ma l’imprinting è chiaro, si dice che il “buongiorno di vede dal mattino”. D’altronde 1 anno di Governo Monti non ha dato nulla all’università, né in bene né in male. Il che significa che abbiamo perso un anno di giovani da formare meglio e 1 anno di rientro di cervelli potenti.

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Il mio collega a Tor Vergata Lorenzo Carbonari mi ha scritto una mail rimandandomi ad un suo recente lavoro scientifico con un altro mio collega Vincenzo Atella (lavoro in attesa di pubblicazione). Ecco cosa dicono su gerontocrazia della classe politica e crescita economica (mia traduzione):

“Mostriamo nel nostro lavoro che le responsabilità delle élite non derivano esclusivamente dalla loro tendenza a mantenere lo status quo. Sono anche dovute alla loro incapacità di afferrare le opportunità che le nuove tecnologie ci danno, così (non) permettendo che (man mano … ) siano effettuate le migliori scelte per l’economia … Nel nostro modello  mostriamo come una classe politica “anziana”, il cui interesse personale potrebbe essere meno portato verso investimenti con un ritorno solo di lungo periodo, potrebbe finire per affievolire il processo di accumulazione di capitale umano a causa di riforme per l’istruzione pubblica inadeguate e di cattive scelte quanto a spesa pubblica sull’innovazione tecnologica”.

Insomma, se la classe politica è vecchia, se cresce la gerontocrazia nel Parlamento, il Paese smette di crescere perché non sa o non vuole fare le riforme che aiutano istruzione e innovazione.

Guardando a 7 paesi (Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda e Regno Unito) e 71 industrie, argomentano come la gerontocrazia (età media dei parlamentari), che tra l’altro aumenta nel tempo nei paesi considerati, genera, via cattivi investimenti pubblici, una decrescita  sensibile e significativa della produttività delle imprese. Minore crescita economica.

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Non è, lo ripeto, questione di rottamare o di giovani contro vecchi, o di grandi imprese vero PMi innovative.

I vecchi che io incontro (alcuni sono miei coetanei!!) mi parlano di una sola preoccupazione (oltre la giusta questione delle pensioni): dei giovani, dei loro figli e nipoti, del futuro incerto per questi. Il che significa che politiche, riforme, per i giovani e per l’innovazione sono volute da tutti.

E allora perché i politici non le fanno o non le propongono?

Due ordini di motivi se consideriamo politici “anziani”: o si ritiene che riforme di questo tipo non diano “ritorni elettorali” in tempi consoni alla loro età o sono talmente anziani che non conoscono quali sono le riforme giuste da fare, queste ultime richiedendo un sapere, quello innovativo, che per natura marcia più velocemente di loro.

Personalmente, mi sentirei di scartare il primo motivo: ripeto che una riforma a favore dei giovani riscuoterebbe un enorme successo elettorale, anche tra gli anziani, perché non sono altro che i genitori o i nonni di questi giovani. Converrebbe anche ai politici farla.

Mi sembra più probabile il secondo motivo: politici anziani hanno in mente che una università moderna sia una università simile a quella che conobbero venti-trenta anni fa e che l’innovazione (per esempio rilanciando il business della rete internet) sia simile quella prevalente negli anni novanta piuttosto che quella aggressiva e dinamica prevalente negli Stati Uniti oggi. Il problema è acuito dalla globalizzazione che rende il ritmo dell’innovazione un fattore decisivo di crescita in tempi anche brevi.

Non trattasi di rivoluzione, trattasi di discriminazione. Richiede “quote lattanti” in politica: persone che sappiano parlare il linguaggio delle imprese di oggi e che conoscano il mondo dei giovani di oggi. Persone ben più giovani di me. Magari noi possiamo guidarli con sapienza (se l’abbiamo) e aiutarli grazie alla nostra maggiore capacità di negoziare con le controparti politiche europee e mondiali nella prima fase della loro gestione del potere. Ma di loro al potere, dei loro errori naturali che faranno perché innovano, abbiamo un bisogno mostruoso. Mostruoso.

Diamoci da fare.

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