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Recherche o ricerca?

Oggi sul Sole 24 ore con il mio amico e collega Stefano Manzocchi

I destini industriali dei principali paesi dell’Europa continentale, che appaiono tanto diversi se si guarda alla produzione ed all’occupazione manifatturiera, sono accomunati da un deficit di presenza e competitività nei comparti delle nuove tecnologie dove si giocano molte delle fortune produttive di questi anni, in termini di innovazione, crescita e salari. Non è un caso che al centro della “Fase Due” del governo Monti vi siano l’agenda digitale e i provvedimenti per favorire le start-up, che nel resto del mondo contribuiscono significativamente all’innovazione.

Anche in altri Paesi dove il sostegno pubblico alle imprese ha tradizioni e successi più consolidati che da noi, è in corso il dibattito sulle nuove strade da intraprendere. Ad esempio in Francia,  con la revisione del CIR, il credito s’imposta per la ricerca, che tra pochi mesi compie 30 anni ed è uno degli strumenti più significativi nell’attivismo di politica industriale per la ricerca e sviluppo (R&S) delle imprese.

La Francia risulta prima nelle classifiche OCSE quanto a struttura fiscale capace di stimolarela R&S dell’industria: ad un euro di spesa complessiva in R&S corrisponde una sovvenzione fiscale di 0,425 euro (in Italia il contributo fiscale è di poco superiore al 10%, ed è più basso anche in Germania). Assieme a Canada, Giappone e pochi altri paesi, il regime fiscale francese prevede una facilitazione specifica per le PMI.  Eppure in Franciala R&S stenta a raggiungere il 3% del PIL richiesto dall’Agenda di Lisbona, e supera a fatica la media UE con poco più del 2%. Questo ritardo dipende soprattutto dal medio livello di R&S nel settore privato (1,3% di PIL contro comunque lo 0,6% delle imprese italiane, dati pre-crisi Eurostat 2008).

Pare importante seguire con cura il dibattito in corso in un Paese che ha scommesso da tempo sul credito d’imposta come leva pubblica per migliorare la competitività, non fosse altro che per commisurare le nostre novità di politica industriale con quelle dei principali partner UE.

Nella sua versione corrente susseguente alla riforma del 2008, il CIR si applica per il 30% alle spese per ricerca e sviluppo (R&S) delle singole aziende fino ad una soglia di 100 milioni di euro (per le PMI la percentuale a credito sale al 40 ed al 35% nei primi due anni di spesa). Sopra ai 100 milioni, la percentuale del credito d’imposta è del 5%.

Le stime fornite dalla Commissione Finanze del Senato francese parlano finora di un effetto leva di 1,31: ogni euro di credito d’imposta stanziato ha generato 1,31 euro di ricerca e sviluppo in più, con un effetto strutturale aggiuntivo sul Pil pari allo 0.5% in 15 anni. Secondo queste stime, il CIR è di fatto uno strumento fiscale capace di auto-finanziarsi nel lungo termine.

Il costo complessivo atteso del CIR francese per le casse pubbliche è di circa 5 miliardi per il 2014, il 20% della spesa totale in R&S francese, attorno a 26 miliardi di euro. Cifre imponenti rispetto a quanto possa fare oggi il governo italiano, anche razionalizzando tutti gli incentivi esistenti. Tuttavia, il punto da cogliere nel dibattito d’oltralpe non è il “quanto” ma il “come” si sostiene la ricerca con credito d’imposta.

Il 90% delle spese per R&S è sostenuto dalle stesse aziende che assicurano il 50% delle esportazioni francese. Tuttavia ai francesi non basta: se è vero che in quei settori dove si fa R&S le imprese francesi operano da pari a pari con le loro rivali estere, molti settori strategici e considerati di punta appaiono ancora come non presidiati. Da qui l’enfasi a supporto di nuove e piccole imprese per aprire la sfida della competitività anche a settori (ICT in particolare) dovela Franciasi sente ancora in ritardo.

La proposta attualmente al vaglio dei policy-makers prevede di ristrutturare il CIR eliminando la soglia di 100 milioni e differenziando l’aliquota a seconda della dimensione aziendale: 20 e 40% passando dalle grandi alle PMI. Alle piccole imprese inoltre verrebbe data l’opportunità di ricevere tale credito trimestralmente durante l’anno di pagamento delle imposte, per venire incontro alle loro maggiori esigenze di liquidità. Preoccupa anche in Francia la tendenza del CIR a non generare occupazione di giovani ricercatori (le spese finanziate sono in larga parte spese di personale) quanto maggiori salari per i ricercatori già in azienda, tendenza a cui l’amministrazione francese cercherà di porre rimedio.

In estrema sintesi, tre suggerimenti per la nouvelle vague delle politiche industriali cui aspira il nostro Paese: sostenere di più la ricerca e l’innovazione delle PMI che possa dare un contributo rilevante nei nuovi settori; guardare alle nuove industrie come l’ICT dove tutta l’Europa è in ritardo; favorire l’impiego di ricercatori giovani con conoscenze di frontiera.

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