Ieri ero a Verona. La bellissima Verona. Ho assistito per la prima volta, in diretta ed in presenza, ad un discorso di Monti.
L’occasione era ghiotta per ascoltare un collega che era diventato così importante per i destini contingenti e forse duraturi del mio Paese.
E’ piaciuto molto alla platea, specie ai molti giovani presenti, un elemento che mi ha stimolato ed incuriosito ancora di più a cercare di comprendere.
E’ piaciuto il suo discorso o la sua persona? Direi più la seconda. In fondo gli applausi sono venuti più all’inizio, alla fine e quando si arrestava e con leggiadria elegante, spontanea, ironica, interagiva con la platea. Durante il discorso e le sue risposte alle domande la platea era piuttosto annoiata o distratta.
Io non ero distratto. Ero attentissimo. Pendevo dalle sue labbra. Cercavo di capire il modo di ragionare, le enfasi retoriche, la comunicazione, il modello economico che sosteneva il suo pensiero. Ovviamente non è vero, come diranno alcuni miei lettori, che non c’è un modello economico o addirittura che c’è il modello economico dello sfruttamento “funzionale all’espansione del regime germanico”. Anzi, lui stesso ridicolizza tale visione in un passaggio specifico, rivendicando le sue origine nordiste ed il suo spasmodico interesse per i destini delle imprese del Nord.
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C’è una visione dell’Europa cauta. Attenzione. E’ cauto nel comunicare, non so invece quanto sia cauto nel progetto che ha in mente. Parla di una graduale, coordinata e condivisa cessione di sovranità, ma soprattutto gli sfugge, ma è solo un secondo: un “più la si sbandiera, meno la si riesce a fare”. Ecco una divisione fondamentale con il mio modo di vedere. In effetti questa Europa in questo anno è stata costruita nel segreto. Ma non per complotto, credo, per timore della democrazia. Un fallimento che genera altri fallimenti, a catena.
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Lo hanno ripreso i giornali, l’opinione di Monti è che i numeri di recessione e disoccupazione avrebbero potuto essere più bassi, ma solo al costo di “ripresentarsi successivamente, peggiori”. Quindi un Monti che è conscio che le sue politiche sono recessive ma che nel lungo periodo l’economia se ne gioverà.
Ci sono due modi di razionalizzare questa visione del Presidente.
a) “L’isteresi non esiste”: gli effetti di breve non hanno ripercussioni di lungo periodo. Non siamo d’accordo, ovviamente. Questa disoccupazione giovanile, tanto più si protrae, tanto più espellerà giovani dalla forza lavoro, per sempre. Senza il minimo dubbio. Questa crisi, tanto più si protrae, tanto più probabile renderà l’uscita dall’euro. Senza il minimo dubbio, a maggior ragione vista la tentazione di “non sbandierare” quali siano i piani futuri dell’Unione.
b) “Io sono come la Thatcher e Reagan”. Ovvero crisi oggi per espansione domani. Qui c’è una confusione drammatica. Quello per cui Monti si accomuna ai due leader degli anni ottanta immagino siano le politiche economiche restrittive sulla domanda: ma quelle furono fatte per ridurre le aspettative prima, e il valore attuale poi, dell’inflazione. Ed ebbero successo. Monti nel tagliare la domanda ha come obiettivo quello di stabilizzare il rapporto debito-PIL, e, al contrario di Maggie e Ronnie, sta fallendo pienamente in ciò. Monti potrebbe interrompermi e dirmi, no, in realtà io intendo fare le riforme, agire sull’offerta, come fecero Thatcher e Reagan, combattendo i sindacati nella pubblica amministrazione, riducendo le tasse, abbattendo i costi per le imprese. Appunto, neanche in questo il paragone tiene, nemmeno un po’: imparagonabile. E, attenzione, quando mi si dice che “lui ha avuto un solo anno”, ricordo che le cose più importanti di Thatcher e Reagan avvennero appunto il primo anno. Sì, non era un anno di elezioni, ma nemmeno per il tecnico Monti.
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C’è poi l’incredibile contraddizione, stridente, dei tanti giovani seduti accanto a lui, sorridenti, intenti a costruirsi un futuro che appare credibile, in fondo tanti di loro sono giovani brillanti laureati. Una parte del Paese è qui, mi dico, un’altra non è rappresentata.
E’ sempre così: quando si parla ad una platea spesso vi è un gruppo che ascolta, molto omogeneo. Se non è un discorso partitico, la bravura del relatore è quella di aprire spazi, far entrare nella sala la diversità, l’esigenza di comprendere ed accettare “gli altri”.
I giovani disoccupati, i giovani perplessi, dubbiosi, timorosi, sconfortati, arrabbiati, non sono entrati nella sala. No, non per i carabinieri che bloccavano l’ingresso ai più estremi che protestavano con bandiere, no, non sono entrati nel discorso di Monti.
Perché?
Forse quei giovani non ci sono perché il Presidente non crede nell’isteresi (e dunque non risponde al nostro appello).
Ma soprattutto non ci sono perché a sorpresa, nel 2013, totalmente inatteso e non dovuto, il Presidente Monti annuncia con squillo di trombe non ripreso dalla stampa: “il 2013 sia l’anno dell’investimento in capitale umano”. Va avanti esaltando l’importanza dell’istruzione e criticando quella parte più corporativa dei maestri. Ma rimango basito.
Come intende rendere il 2013 l’anno dell’investimento in capitale umano? In che modo? Con che politiche? Scuola? Università? Riforme? E quando avrebbe intenzione di avviare le politiche per quella che è probabilmente la più importante delle riforme del settore pubblico?
Incredibile. La verità è che quando una riforma la si annuncia senza crederci e senza renderla credibile, diventa automaticamente non credibile. Il che significa che ieri Monti ha ufficialmente chiuso le porte del 2013 all’investimento in capitale umano. Così, ufficialmente, distrattamente, con garbo ed eleganza.
03/12/2012 @ 13:35
Trovo molto interessante la fotografia che hai fatto sia di chi ascoltavi sia di come vedevi i tanti giovani che ascoltavano.
Non sono un esperto di economia ma vivo nel mondo produttivo il grave momento nel quale ci troviamo e mi permetto di fare qualche considerazione.
Personalmente dò merito al premier Monti e al suo governo di aver restituito al nostro Paese la credibilità internazionale che solo un anno fa aveva raggiunto un minimo storico, lavorando in una multinazionale USA lo verificavo ogni volta che andavo all’estero. L’azione di governo ha probabilmente fermato l’onda speculativa che almeno mediaticamente ci stava travolgendo.
Concordo in pieno sul fatto che la disoccupazione che sta montando mese dopo mese sia diventata la vera emergenza nazionale e la crescita dovrebbe essere misurata settimanalmente in numero di nuovi posti di lavoro prodotti oltre che che in termini di PIL: senza lavoro muore la speranza di un futuro migliore, i nostri giovani emigrano all’estero e il Paese si impoverisce drammaticamente.
Trovo assurdo che in Italia vi siano 100.000 posti di lavoro ben nascosti che non sono coperti da offerta o per mancanza di competenze o per mancanza di adeguata comunicazione.
Penso che ogni iniziativa del futuro governo debba andare in questa direzione e ogni soldo risparmiato tagliando sprechi, scovando evasione e lottando contro la corruzione debba andare ad alimentare un fondo di sostegno per creare nuovi posti e migliorare la comunicazione a proposito.
E’ questone di Governance ? Forse, non lo so se è il termine tecnico più corretto, penso che sia sicuramente questione di competenza per condividere e replicare le “best practices” e di volontà per combattere l’incredibile resistenza al cambiamento.
03/12/2012 @ 16:49
Ma è palese dove punta il Governo del Premier Monti.
1) Stendere il welfare, annichilendo definitivamente il SSN. Si risparmierebbero bei quattrini (parecchi miliardi di euro) e si scaricherebbero i costi sulle spalle dei cittadini. Sarebbe impopolare, ma gli frutterebbe spazio e denaro da riutilizzare DOPO. Guardate la Spagna che privatizza la sanità. Dubito che ciò però andrà a vantaggio dei giovani, almeno non di quelli che non siano nepoti o clientes vari, già inseriti nei clan giusti etnico, geografico, plutocratici, massonici, clericali, ecc ecc. Guardate cosa succederà a Roma-Bondi nel 2013: chiusura di tre quattro ospedali privati accreditati e chiusura di quattro-cinque grossi opsedali pubblici, oppure riduzione dei salari di tutti i lavoratori del SSN. Temo anche la CASSA INTEGRAZIONE per il pubblico impiego.
2) Stendere il LAVORO SUBORDINATO ed in particolare quello pubblico, appesantendo la riforma pessima della Fornero con l’ aiuto dei centristi, del PD e di ciò che resta del centrodestra ex berlusconiano (licenziamenti a gogo).
3) Stendere definitivamente l’ INPS e le pensioni nonchè le prestazioni accessorie di INPS (soprattutto cassa integrazione guadagni), riducendo le rendite.
4) Stendere il sindacato CONFEDERALE ultima realtà democratica e rappresentativa di un italia che torna ad essere feudale ed autoritaria
Questo governo Monti è lo strumento di un potere forte, oscuro, nascosto, oppressivo, antistorico, non elettivo, antidemocratico e soprattutto inviso agli italiani, che prima o poi se ne accorgeranno e si sveglieranno dal torpore che li avvolge. E saranno dolori di pancia, come sa bene chi studia la Storia.
Cosa resterà dell’ Italia da queste macerie fumanti in tempo max due – tre anni ?? Ben poco che ricordi la nostra Italia che ci ha permesso di prosperare. Un paese con sempre meno italiani, sempre più extracomunitari del sud e dell’ est, un paese che avrà perso le sue caratteristiche precipue a vantaggio di non si sa bene cosa.
La colpa e la responsabilità sarà stata anche nostra e della nostra inerzia attuale e recente e del nostro poco coraggio di denuncia
Franco Russo
04/12/2012 @ 13:48
Chi detiene il potere perché direttamente o indirettamente in esso coinvolto, sia che ne sia agente o fruitore dunque, teme la democrazia in quanto se il cittadino pigro facile alla delega – in fondo ma neanche tanto – fa il suo gioco, non lo fanno invece i
“giovani disoccupati, i giovani perplessi, dubbiosi, timorosi, sconfortati, arrabbiati” che mai saranno forza lavoro degna di questo nome, semmai sono già l’altra faccia della “bolla”.
Investimenti in capitale umano: baggianate (ovverro la versione meno elegante dell’espressione di Piga).
Anche se è proprio su una caratteristica del capitale umano che, pur conscia dell’incongruenza dato il contesto, vorrei soffermarmi: il rapporto intergenerazionale.
Ci sono (?) ancora (?) molte (?) famiglie in grado di supportare e sopportare economicamente e psicologicamente i “portatori di stage non retribuiti”, i “ragazzi” (mai età anagrafica fu piú indefinita) precari (d)a (una) vita; ma incominciano ad essere tante (!) le famiglie in cui ha agito la rottamazione, i cui componenti 50-60enni e ormai già tra gli esclusi dagli aventi diritto a “pensione”, non hanno piú nessuno che possa aiutare loro e i loro figli (e mi sembra inopportunamente pietistico aggiungere altro anche se sono costretta a toccare con mano come per i tecno-economisti puri sia solo una questione di numeri).
Ho anch’io il mio sogno (condiviso anche da altri), ma non voglio narrarlo, voglio invece elencarne le componenti:
1) uscita dall’€;
2) no a sviluppo e crescita infiniti, soprattutto di grande industria e G.d.o.;
3) sí a forme cooperativistiche o, comunque, in qualche modo, consociative, che recuperino l’attività produttiva tipica del territorio (che faccia uso e non abuso delle materie locali) e che sia messa in grado di offrire veri apprendistati. Omologamente no alla svendita dei terreni agricoli; sí, invece, alla riattivazione dell’agricoltura locale là dove sia ancora possibile e rilancio di quella che sta faticosamente resistendo (coltivazioni non esotiche, in regime di biologico, da vendersi a chilometro il piú possibile vicino a zero), con l’apertura a quei giovani che stanno studiando relativamente al settore primario;
4) sí a un sistema formativo che impieghi il doppio delle risorse umane rispetto a quelle attualmente in esso operanti: risorse giovani e mature (fino ai 40 anni) e adulte (oltre i 40 quindi), in affiancamento per un’istruzione il piú attenta possibile alle lacune da carenza di pari opportunità e in grado di godere di un costante apporto di esperienza esemplificata ed esemplificativa;
5) sí allo sviluppo di una vera e propria industria culturale per il mantenimento e la cura dell’esistente e la continua indagine in ogni settore, dalle risorse museali a quelle bibliotecarie; dalla difesa dei monumenti storici al recupero dal degrado delle aree urbane in decadenza; dalla tutela del paesaggio-ambiente all’analisi del fabbisogno tecnologico di tutti gli ambiti di civiltà. Importante l’immissione di tutte le competenze tecnologiche di giovani, i quali, applicandole nel senso indicato loro dall’esperienza degli adulti, potrebbero trarre orientamenti pratici da loro non ancora esperiti, cosí come potrebbero – i giovani stessi – individuare soluzioni a probelmi ritenuti sinora irrisovibili.
Risorse dalla finanza all’economia reale: il denaro deve essere solo mezzo di scambio; il valore può essere generato solo dalla creatività umana, dal lavoro come espressione della vita delle persone.
Penso che dei buoni tecnici che condividano il senso di quanto sopra sarebbero i migliori coadiutori di nuovi (non solo anagraficamente) politici: non se ne può piú di ignoranza, demagogia, populismo, corruzione, affarismo, personalismo o, al massimo, settarismo, avidità …