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Non posso immaginare cosa ci sia di piu’ bello al mondo della spending review.

Non basterà scendere dalla business alla economy. Dovremo anche verificare che non si comprino troppi biglietti economy. E che si impari a comprare i biglietti economy col giusto anticipo. O ad andare in treno. O ad usare la videoconferenza.

Qualsiasi cosa si faccia bisognerà dunque avere il potere di bloccare appalti scritti male, per fabbisogni non giustificati e contratti chiusi a condizioni non vantaggiose.

Tutto ciò richiede centralizzazione dati, potere ispettivo e autorizzativo nonché tante risorse di personale competente ben pagato per l’ente che dovrà essere a capo della strategia di controllo e della spending review.

Ma bisogna anche ridurre il peso dei controlli per chi controlla per non renderlo ben presto un pachiderma affossato da un compito troppo gravoso. Ovviamente bisogna ridurre, aggregandole, il numero di stazioni appaltanti, sono veramente troppe, subito.

Ma ricordiamoci che secondo Bandiera, Prat e Valletti l’80% degli sprechi è dovuto ad incompetenza e non a corruzione e io in parte ci credo: per ridurre il lavoro di chi controlla dal centro bisognerà investire nelle competenze degli acquirenti pubblici in basso. Come nelle Filippine, per ogni stazione appaltante (una volta ridotte di numero) si esigerà un  piano triennale di miglioramento concordato volto a raggiungere obiettivi di competenza e performance al quale si legheranno ampi bonus per il personale in caso di raggiungimento.

Nessun bonus ai dipendenti che appartengono a stazioni appaltanti dove una delle persone avrà concluso un appalto con corruzione. La corruzione calerà perché i corrotti avranno meno incentivi a chiedere tangenti sia perché investire in competenze avrà un ritorno economico, sia perché chi lavora in squadra con i potenzialmente corrotti sorveglierà che all’interno della propria squadra nessuno metta in pericolo il successo dell’organizzazione.

E’ una sfida stupenda la spending review, non è tagliare, è dare alle imprese profitti, know-how e reputazione da spendersi nel mercato globale, ed ai giovani e meno giovani lavoro e competenze là dove lo Stato vuole sviluppare la presenza del settore pubblico nell’economia. E’ far pagare le tasse per qualcosa che serve a tutti, compresi a quelli che pagano le tasse. E’ ridurre la tassazione per ottenere gli stessi servizi e massimizzare i servizi per una data tassazione.

Non posso immaginare cosa ci sia di più bello al mondo della spending review. Perché vuol dire ridare a questo Paese l’immagine che gli avevano dato i nostri nonni alla fine della Guerra: un Paese di gente che lavora, con entusiasmo e coesione, per il bene individuale e comune e per sentirsi orgogliosa, con diritto, di essere italiani. Sorrida Bondi, lei è un uomo fortunato.

Grazie Ric.

3 comments

  1. Siamo d’accordo ma con una precisazione senza la quale tutto diventa troppo incerto (e premetto che quello che seguirà non intende essere polemica ma solo avvalorare valutazioni a fini di verifica e dialogo).

    “Spending review” significa “recuperare” risorse pubbliche per moltiplicarne le possibilità di innescare il moltiplicatore, cioè A SPESA INVARIATA I RISPARMI DELLA SPENDING REVIEW NON SIANO DESTINATI A SGRAVI FISCALI MA A DIVERSE E ULTERIORI OCCASIONI DI SPESA VIRTUOSA.
    In recessione non diminuisco la spesa pubblica, neanche per diminuire le tasse (semmai posso fare entrambe le cose, aumento spesa e diminuzione tasse, ma solo se avessi spazi di politica monetaria…e non è MMT, ma keynes ortodosso).
    E SPESA VIRTUOSA non vuol dire che mira al “profitto”, cosa che riguarda gli investimenti privati, ma che viene DIRETTA VERSO IMPRESE CHE FANNO PROFITTO EFFETTIVO O A SOGGETTI PRIVATI CON ALTA PROPENSIONE AL CONSUMO, realizzando cioè l’essenza di sostegno occupazionale e della domanda (C+…I di riflesso) a cui risponde la politica di SPESA pubblica (che non è un costo ma una VOCE ATTIVA del reddito nazionale, come giustamente lei evidenzia nel post precedente, essendone il COSTO, invece, le TASSE).

    Quindi tagliare la spesa, diminuendone l’ammontare, in un momento di crisi (crescita prossima o inferiore allo zero) per trasformarle in sgravi fiscali in misura equivalente significa…decrescita-recessione.
    E’ questione di propensione al consumo (c) e del suo “reciproco”.

    Infatti, D (delta)Y= 1/(1-c) x DG, per cui se diminuisco la spesa (DG negativo), avrò un effetto moltiplicatore negativo superiore a 1, con DY negativo “moltiplicato”.

    E non solo: DY, come pure si sa, è correlato anch’esso a un moltiplicatore di DT, cioè dell’eventuale sgravio di tassazione.
    Cioè, come è noto, DY= DT x [-c/(1-c)], dove, con evidenza, il moltiplicatore dello sgravio fiscale è sì > 1 , ma inferiore al moltiplicatore di G (1/(1-c).

    Anzi, in presenza di DT negativo (con riflesso su aliquota impositiva in diminuzione cioè “t” negativo), il moltiplicatore della variazione negativa della spesa sarà ancora superiore. Infatti, DY= 1/[(1-c) x (1-t)] (meno per meno di “t” fa…più).

    Ora, questa precisazione che rammento anzitutto a me stesso, ci dice che trasformare tagli di spesa in tagli di tasse, in situazione recessiva o comunque di crescita “trascurabile”, porta a diminuzione del reddito-PIL, dato che, comunque, la crescita da sgravio fiscale sarà sempre inferiore alla decrescita da taglio della spesa.

    Avrò cioè un’altra forma di austerità, sempre recessiva, ma un “pò” attenuata rispetto alla situazione suicida di diminuzione complessiva di spesa con aggiunta di ulteriori tasse.

    Infine, tutto questo è un palliativo se non risolvo la questione di (X-M), che, poichè è incorporato nel volume della variazione del saldo di bilancio pubblico, porterebbe, in assenza di correzione dei problemi di competitività da tasso di cambio reale (il cui reciproco è appunto l’indice di competitività), a una situazione di deficit pubblico che comunque tende a vanificare l’efficacia del sostegno al reddito della spesa pubblica.

    Ciò, poichè sappiamo che l’effetto dell’incremento di spesa è massimo quando la variazione del disavanzo è pari a 0 (e non quando ho pareggio di bilancio, aspetto diverso dalla invarianza del deficit).

    Comunque sia, insomma, se fuga di capitali (quindi neppure ho interessi\profitti reimportati di capitali collocati all’estero) e deficit corrente di export permangono a causa dei livelli del tasso di cambio reale (con calo di liquidità-solvibilità per il prolungarsi di tale situazione), – il che vuol dire “euro” e suo assetto basato su parametri di bilancio “one size for all, aside from inflation rate differential”-, la stessa efficacia della manovra fiscale può risultare insufficiente (anche solo per eliminare indebitamento pubblico aggiuntivo e raggiungere un sufficiente livello di crescita ai fini debito/PIL)

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  2. Roberto Boschi

    01/05/2012 @ 20:22

    @ Luca
    Alla tua rigorosa analisi, condivisibile in tutto, c’è credo, da aggiungere un corollario banale che, sembra ormai chiaro ai più: non è l’approccio keynesiano di sostegno alla domanda aggregata che si è scelto per tornare a cresce, ma è, purtroppo, l’approccio più lucidamente neo-liberista che sta orientando tutta la politica economica e fiscale del Governo Monti.
    Per il nostro Primo ministro la domanda deve ritornare dal Settore Privato, estero prima e interno poi, perché si è recuperata competitività costi (senza neppure il sostegno temporaneo della svalutazione) e, tramite questa via, quote di mercato per i nostri prodotti/servizi.
    E’ questa, d’altra parte, la strada che ci costringono a perseguire la Germania e la BCE, in cambio del sostegno “temporaneo” delle misure non convenzionali di politica monetaria (e, per ora, niente più).
    Quindi, mettiamoci il cuore in pace: le tasse e gli oneri sociali per le imprese ed i salariati non diminuiranno subito perché il bilancio non lo consente, ma diminuirà il costo reale del lavoro (grazie ad una disoccupazione a 2 cifre che porterà chi cerca lavoro ad accettare salari molto contenuti) e, per questa via, ritornerà parte della domanda estera persa.
    Grazie a questo ed anche alla diminuzione della domanda interna lato consumi, la bilancia corrente tornerà in attivo così che scomparirà anche la necessità di indebitarsi con i non residenti.
    Pazienza (anzi grazie a questo) se nel frattempo il PIL si sarà ridotto di molto punti percentuali: ripartiremo da lì.
    Sgombriamo anche il campo da un equivoco che potrebbe sorgere a questo punto. Non mi sembra, almeno da quanto lascia trasparire Monti nelle dichiarazioni che rilascia, che ci sia tracccia nelle manovre pensate/tentate/attuande/attuate di quacosa che assomigli alla “contrazione fiscale espansiva” tanto propugnata da Alesina & C: non è sul calo della pressione fiscale a seguito del taglio della spesa pubblica che si qualifica questo Esecutivo.
    La strada maestra perseguita non mi sembra quella di “meno Stato, più Privato”, ma quella di “meno costi di produzione e, per questa via, più profitti e (forse) maggiore competitività”.
    In questo scenario il richio vero è che, anche se tutto dovesse andare come il modello si aspetta (e non è per niente scontato, dato che nessuno, almeni che io sappia, ha mai tentato questa ricetta in una fase di piena recessione senza avere in mano le armi del cambio e della moneta), “manchi comunque il tempo per arrivare al, presunto, lieto fine”.
    Non potendo contare sulla svalutazione, la caduta della domanda interna rischia di avvitarsi ben oltre le ultime stime del Governo e, di consegunza, i ratios di deficit e debito pubblico non verrebbero rispettati, generando ancora più sfiducia nei mercati, con riflessi molto negativi sul costo del debito. Da qui la necessità di ulteriori manovre per rientrare negli obiettivi, con manovre pro-cicliche. Insomma la classica spirale recessiva che si auto-alimenta e allontana ad un tempo indefinito i (presunti e salvifici) risultati della politica “supply side” messa lucidamente in atto in questi mesi e propugnata anche per i prossimi.
    Riusciranno i nostri Eroi a portare l’impresa a compimento?
    Le probabilità che si rompa lo statuts quo dell’attuale assetto dell’Area Euro aumentano in modo proporzionale all’incancrenirsi della situazione di recessione in Italia e Spagna. Le tensioni sulle emissioni dei due Paesi si aggraveranno se i dati che usciranno nei prossimi mesi (sto pensando soprattutto agli indicatori anticipatori del ciclo quali i sondaggi PMI ed altri simili sul sentiment di imprese e consumatori) non daranno segni di miglioramento. In questo caso lo spread raggiungerà di nuovo livelli difficilmente sostenibili. A quel punto o l’Euro Zona farà un passo avanti, e questo vorrà dire anche domanda aggregata grazie ad Investimenti finanziato da Eurobond, o restare “tutti insieme appassionatamente” non sarà più possibile. Lo spettro del default si farà drammaticamente presente e minaccioso.
    E’ si, scenari molto preoccupanti si prospettano dietro le quinte di una discussione che può sembrare accademica!

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    • Caro Roberto,
      concordo e ho svolto in altre sedi questa tua stessa analisi (coincidente al 100%; l’ho appena ripetuta a cena ad una mia amica neo-laureata in economia che predilige il “marketing”…e le ho rammentato che la macroeconomia oggi è un “dovere civico”).
      Deflazione salariale e sentiment (sono dei romanticoni in fondo, ma molto in fondo), basati sulla “equivalenza ricardiana” di Barro, imperversano (con aggiunta di bizzarre teorie di correzione- quando? ma de che?- del deficit bdp senza aggiustamenti valutari)…solo che i conti alla fine tornano, purtroppo, solo con i cari vecchi schemi keynesiani, e come dici tu, queste teorie classiche-monetariste non solo non risulta che abbiano mai portato alcuno fuori dalla recessione (peraltro indotta) ma neppure che abbiano portato mai alla crescita

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