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La spinta gentile a non farsi del male con bevande zuccherate

Caveat: non sono esperto dei temi che seguono. Dibattito gradito.

Chi ha letto il bel libro “Nudge – la spinta gentile”  sa che l’attuale provvedimento sulla sanità (destinato ad essere modificato) nella parte riguardante le tasse sulle bevande zuccherate, rientra al bacio in quelle categorie di decisioni da parte di un governo c.d. paternalistico, ovvero che sa (o pensa di sapere) meglio di noi stessi cosa è bene per noi. Dissuadere con una tassa il consumo delle bevande zuccherate perché “dopo lo rimpiangeremo e oggi siamo incapaci di capirlo” non è forse paternalistico?

Un libertario si ribellerebbe: solo a me spetta decidere cosa è meglio per me.

In realtà si potrebbe dire che qui vi è in ballo anche una esternalità negativa: se tu mangi o bevi male, aumentano i costi della sanità a causa tua, e dunque le tasse che dovrò pagare a causa del tuo stile di vita e dunque mi corre l’obbligo di scoraggiarti dal farlo. Con una tassa?

Un dibattito simile a quello delle cinture di sicurezza dunque? Non esattamente, visto che in quello vi era l’elemento aggiuntivo che l’obbligo della cintura mi portava a guidare più veloce e quindi introduceva anche il dilemma tra meno danni da incidenti ma anche maggiori incidenti a causa della maggiore velocità. Certo la minore probabilità di morte o malattia che si accompagna a minore consumo di bibite gassose potrebbe portarmi a altri comportamenti dannosi (bere ancora più vino) che non avrei adottato in assenza di provvedimenti punitivi, ma le cose qui si complicano troppo e paiono di portata minore.

Al di là del buon articolo di Battista sul Corriere (perché allora non tassare tutto quello che è nocivo? E poi, ci mancano solo ancora più tasse) rilevo da questo interessante episodio estivo le seguenti cose:

a)    Il Ministro dell’Economia è contrario a rendere più costosi i giochi per paura di perdere gettito e il Ministro dello Sviluppo è contrario a rendere più costose le bevande per l’impatto sull’industria. Altri propongono di ricorrere ad una maggiore istruzione alimentare e comportamentale invece che a maggiori tasse. Perché no. Ma con un punto di attenzione: prendiamo atto che questi Ministri per forza di cose sarebbero altrettanto contrari ad una maggiore istruzione sui danni al cittadino di comportamenti nocivi derivanti da eccesso nei consumi di questi beni.

b)    Che tipo di tasse ha introdotto il Ministro della Sanità? Tasse su beni che vengono consumati in misura proporzionalmente maggiore dai cittadini più poveri. Trattasi dunque di imposte regressive. In un fase di ciclo negativo dove chi soffre di più sono i meno abbienti, non pare una bella idea. Una tassa su alcuni beni di lusso come gli yacht (che inquinano) non è stata presa in considerazione.

c)     Il libro Nudge propone una soluzione ai problemi qui illustrati: del c.d. “paternalismo libertario”. Ovvero non si impedisce né si fa pagare un ampio costo per comportamenti ritenuti dannosi per la persona stessa (quindi non si è paternalisti al 100%) ma si introduce un piccolo costo che tende a influenzare il comportamento finale dell’individuo se questo non ha un grande desiderio di consumare “scorrettamente” (non si è quindi libertari al 100%). Per esempio, in alcune mense scolastiche la Coca-Cola è stata posta su uno scaffale inclinato ad una distanza maggiore che non l’acqua naturale. Il bambino che volesse consumare la Coca-Cola dovrebbe allungarsi maggiormente per prenderla: se veramente ci tiene lo fa, altrimenti rinuncia. Oppure immaginate di vendere  autovetture a giovani che tendono a correre troppo su strada: una possibilità potrebbe essere quella di far fabbricare autovetture che fanno partire in automatico, superata una certa velocità, un musica che imbarazza vostro figlio davanti ai suoi compagni di viaggio, per esempio una sonata di Chopin.  Ciò lo porterebbe a rallentare.  Un piccolo costo simile è l’adesivo messo sui pacchetti di sigarette.

Uno Stato poco invasivo ma efficace è dunque uno Stato che applichi fantasia creativa per  ideare soluzioni nuove e intelligenti per ridurre comportamenti che nuocciono alla salute del singolo individuo ed impongono costi alla società, senza invadere (troppo) la sfera delle libertà individuali. Data la probabile maggiore ignoranza delle persone meno abbienti, sono strumenti che danno a questi ultimi maggiori benefici e dunque hanno l’effetto opposto delle tasse: sono strumenti potremmo dire … progressisti (ricorda un po’ “pubblicità progresso”? certo, ma si può fare ancora tantissimo in quel campo) nel senso che fanno più bene ai poveri che ai ricchi.

Le tasse a questo fine non sono questo strumento ideale perché invadono massicciamente la vita della persona e spesso in maniera subdolamente regressiva.

Il Ministro della salute potrebbe cimentarsi con esperti di comunicazione, economisti e psicologi per individuare questi strumenti alternativi, ma si ricordi sempre che avrà come nemici al tavolo del Consiglio dei Ministri altri colleghi meno interessati alla salute di lui.

11 comments

  1. Non penso che si tratti ne di paternalismo ne di libertarismo. Il fatto è che applicare una tassa sulla classe “povera” ha molta leva, vista l’ampia base. Ovviamente la classe politica deve andare a trovare quei beni che devono apparire come beni che giustificano questa tassa.

    Non credo proprio che il governo voglio scoraggiare l’assunzione di bibite gassate. Non penso che questa sia una loro preoccupazione alta nella loro agenda politica. Cercano solo di mascherare una maggiore tassazione dietro un fine “benefico” che noi cittadini da soli non potremmo capire (sic!).

    Per quanto riguarda la parte:

    “Uno Stato poco invasivo ma efficace è dunque uno Stato che applichi fantasia creativa per ideare soluzioni nuove e intelligenti per ridurre comportamenti che nuocciono alla salute del singolo individuo ed impongono costi alla società, senza invadere (troppo) la sfera delle libertà individuali. ”

    questa potrebbe essere una delle tante applicazione della GAMIFICATION: l’uso degli elementi ludici per creare incentivi in contesti non ludici.

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  2. Per esempio limitare le possibilità espressive della pubblicità di prodotti nocivi? Niente colori, niente donne semi nude, niente immagini fantasiose e solo il nome del prodotto in bianco e nero con gli ingredienti; lo stesso per le confezioni che devono essere anch’esse in bianco e nero tutte a caratteri uguali con solo nome e componenti.

    “Una tassa su alcuni beni di lusso come gli yacht (che inquinano) non è stata presa in considerazione”

    E nemmeno una patrimoniale per esempio del 5% sui patrimoni superiori ai 250.000 euro senza persone a carico ed escludendo la prima casa, che presumibilmente riguarda anche una buona maggioranza dei lettori di questo blog se non quasi tutti. Lei saprebbe dire che impatto avrebbe?

    Sul resto sono molto perplesso, come la sonata di Chopin ad alta velocità (suonata da chi?); a parte che a uno può anche piacere pure se è ragazzino (a quell’ età piace molto la seconda) ma questo genere di cose si fanno a Singapore che è un posto abbastanza tremendo dal punto di vista delle libertà personali (lì parte una campanella fastidiosissima).

    La libertà la si esercita scegliendo e casomai incentivando le buone abitudini più che dissuadendo dalle cattive (punto che lei non ha toccato…).

    Si potrebbero fare dei corsi di cucina alle elementari insegnando a scegliere gli ingredienti e a valutarne la qualità (ho visto un documentario su una scuola piemontese dove i ragazzini andavano tutti da una vecchia signora del paesino che gli insegnava a fare i tajarin e i ravioli al plin; erano entusiasti e imparavano a conoscere una parte della loro tradizione).

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    • Giacomo Gabbuti

      30/08/2012 @ 18:09

      Sbilanciamoci proponeva tempo fa di tassare le pubblicità dei prodotti nocivi – o ad esempio anche la pubblicità nello sport, che è fonte di pressioni e “distorce” la “sana” passione sportiva…

      Comunque io trovo piuttosto ilare che in questo paese ad ogni problema si risponda con “insegnare x nelle scuole”. Peccato che la scuola viene saccheggiata ed i professori considerati dementi. Immaginiamoci per un attimo la reputazione sociale del maestro di alimentazione.
      A volte penso che dire “insegnare a scuola” sia un modo elegante di dire “non facciamo niente”, per quanto spesso sia una soluzione intelligente.

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      • Io penso che bisognerebbe coinvolgere di più le famiglie e le comunità nell’ insegnamento. Un esempio è quello che ho citato della scuola piemontese.

        Il punto è che l’ insegnamento deve essere soprattutto una riflessione sulla “propria” cultura e origini culturali mentre oggi è solo un travaso di “cultura dominante”.

        Inoltre ribadisco che non capisco questa assoluta preminenza della “gentile dissuasione”; io metterei piuttosto l’ accento sull’ incoraggiamento delle buone abitudini da condividere insieme, sennò si resta sempre fra “paternalismo” e “elitarismo bonario” e non è che ci sia tutta questa differenza.

        Comunque è dalla scuola che nasce tutto, questo è vero, ma occorre cambiare a fondo i programmi.

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  3. Sta a vedere che a lei la sonata di Chopin piace suonata da Pollini…magari mi sbaglio…chissà…

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  4. In generale sono d’accordo con quel che dici. Dimentichi però che questo paternalismo già c’è: sigarette e alcolici, per esempio, godono di una tasaszione specifica.
    Una cosa che farei io, anche se non è strettamente pertinente all’articolo, è vietare qualsiasi forma di pubblicità su superalcolici, e gioco d’azzardo, come è stato fatto per il fumo.

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  5. Caro Professore, ritengo che sia un tentativo valido .
    Assodato scientificamente da anni il danno prodotto dallo zucchero (come dai cereali, altri prodotti alla base della ns. piramide alimentare) sulla salute umana – incremento di tutte le malattie degenerative – lo Stato risparmia soldi passando da una medicina curativa ad una preventiva, che salvaguarda la salute dei cittadini .
    Ovvio, invece di una tassa si dovrebbe fare vera e seria educazione alimentare, ma i tempi di reazione sono diversi .
    Cordialità.

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  6. E’ assolutamente evidente che nel caso specifico della proposta di tassa sulle bevande gassate l’obiettivo del governo sia di fare cassa.
    Ma comunque il problema è più generale stante il fatto che già esistono, e non solo in Italia, tasse sul tabacco e sull’alcol, obblighi di utilizzo del casco per i motociclisti e delle cinture di sicurezza per gli automobilisti e così via.
    Come Lei osserva, Professore, il problema è di non facile soluzione in quanto si intrecciano una serie di aspetti in contrasto tra loro: paternalismo puro e paternalismo libertario, libertà individuale, esternalità negative ed esternalità negative di quelle positive, il tutto in un intreccio micidiale che rende difficilissimo trovare una soluzione ottimale.
    Ma forse, per trovare la soluzione, è necessario andare alla radice profonda del problema. E dove sta questa radice profonda?
    A mio avviso sta, almeno per il caso italiano, in una distorsione profonda del concetto costituzionale di diritto alla salute.
    La prima cosa da puntualizzare è quella del significato da dare alla Costituzione. Le costituzioni nacquero all’interno di regimi monarchici assoluti per limitare i poteri del sovrano nei confronti dei singoli cittadini.
    In altre parole esse rovesciarono il paradigma “tu cittadino puoi fare solo ciò che il sovrano ti consente” in “tu sovrano puoi vietare al cittadino solo le cose qui definite e il cittadino è libero di fare ciò che crede purché ciò non vada a ledere l’analogo diritto di un altro cittadino o i diritti fondamentali qui stabiliti”.
    Il fatto che la sovranità sia poi passata dal monarca al popolo inteso come insieme di cittadini non altera assolutamente il significato di una costituzione. Il popolo sovrano non può decidere su vita, morte e miracoli del singolo cittadino. Al popolo sovrano si applicano gli stessi limiti che si applicano al re sovrano.
    Un diritto fondamentale stabilito dalla Costituzione è quello alla salute. Ma ciò si dve intendere come diritto fondamentale. I comportamenti dei singoli individui, nell’esercizio della loro libertà, non devono andare a ledere la salute degli altri cittadini. In questo senso la vicenda ILVA è esemplare. L’azienda, ivi inclusi i suoi dipendenti, non può ledere la salute delle persone che vivono lì nei dintorni, ovvero deve informare correttamente dei rischi che si corrono ad abitare nelle vicinanze e, nel caso, offrire una compensazione a chi, non volendo correre tali rischi, decide di spostare la sua residenza. Fossi stato il giudice di Taranto più che stabilire la chiusura dell’area a caldo avrei obbligato l’ILVA a comprare case nuove in altra zona ai cittadini inquinati.
    Detto questo è assolutamente evidente che il diritto alla salute se significa che nessuno può svolgere attività lesive della mia salute NON significa un obbligo agli altri di curarmi se mi ammalo e questo proprio in virtù del significatoprofondo di una costituzione: i limiti al potere del sovrano.
    Imporre a tutti di pagare per le cure ad una persona travalica lo spirito stesso di una costituzione. Non vi è concettualmente differenza tra questo obbligo e, per esempio, lo “ius primae noctis”.
    Resta però il fatto che un servizio sanitario nazionale (assumiamo che sia ben gestito, senza sprechi e ruberie) è una cosa utile.
    Ebbene, visto che è utile, esso nascerà come libera decisione contrattuale tra i cittadini. Visto in forma contrattualistica diventa assolutamente corretto dire che chi tiene comportamenti potenzialmente insalubri paghi di più. D’altra parte un domatore di leoni o un paracadutista pagano per l’assicurazione contro gli infortuni sicuramente di più di un ragioniere. La tasse sulle bevande gassate o sul tabacco dovrebbero direttamente andare al pagamento delle spese sanitarie.
    C’è comunque un però: come avviene per tutti i contratti deve esistere la facoltà per chi non lo desidera di non parteciparvi.
    E la cosa non sarebbe neanche difficile a realizzarsi. Basterebbe calcolare quanto è la spesa sanitaria media per cittadino e ridurre di tale ammontare le tasse che paga chi decide di non avvalersi del SSN. E chi non partecipa al SSN, dotato di apposita tessera individuale, potrebbe andare a comprare le sigarette senza la quota destinata al SSN.

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    • Stimolante, e si avvicina credo a dibattito americano su salute. Sul pagare di più con comportamenti insalubri ho qualche problema. Uno di definire cosa è insalubre (come nel caso di specie) sia valutare gli aspetti ovviamente regressivi della faccenda. Il fumo, guarda un po’, è stato tassato sempre più mano a mano che i ricchi ne fumavano di meno perché più avvertiti.

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      • Ammetterà però che è strabiliante il fatto che chi è più povero spenda di più per un consumo altamente voluttuario e pure stra-tassato come il fumo. Tra l’altro dico la cosa da fumatore non povero.
        Mille euro l’anno investiti in libri invece che in sigarette forse aiuterebbero i poveri a diventare meno poveri; non tutti, non sempre, ma molti sì.
        Forse il dubbio che ci dovremmo porre, e qui mi allaccio anche al suo post sulla meritocrazia, la ricchezza/povertà dipendono anche dal grado di consapevolezza che una persona riesce a sviluppare, cosa che può avvenire indipendentemente da ogni altra condizione.
        Un povero che capisse che certi comportamenti sono uno spreco, inutili, dannosi, molto probabilmente si ritroverebbe ricco.
        Non credo che sia un caso che il grande rifiorire che avvenne nel Rinascimento non sia stato legato a principi che spendevano in opere pubbliche o pensavano alla redistribuzione del reddito, ma a principi che spesero in modo incredibile in cultura (cultura, non scuola, è una cosa differente).
        Ecco, questa credo che sia la via maestra che dovremmo seguire quando si parla di spesa pubblica. Lasciamo da parte la questione grandi opere, sanità, pubblico impiego. focalizziamo di più lo Stato, i cittadini, nell’investire in cultura.
        Tramite la cultura i cittadini diventano padroni di se stessi senza il bisogno che lo Stato debba provvedere in qualche modo a loro a motivo della loro inconsapevolezza

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        • Ma no, non è incredibile! I modelli di riferimento sono diversi, lo stress è diverso, le pare che si possa pensare che si leggono libri con la stessa facilità? Come fa a dire che la consapevolezza non ha a che fare anche con il reddito e l’ambiente circostante? C’è meno tempo per pensare a tante cose!! Quanti Balottelli si sono persi per strada perché la strada è dura?
          Su investimento in cultura/istruzione, ci siamo in pieno d’accordo ….

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